mercoledì, febbraio 03, 2010
del nostro collaboratore Riccardo Sturani

Il direttore dell'Istituto Ecumenico di Bossey ci riceve nel suo studio, seduto alla scrivania. Si tratta del prof. Ioan Sauca, prete ortodosso e vecchio studente dell'Istituto. È un uomo di mezz'età, un po' tarchiato, che ci parla in un francese inappuntabile, con un leggero accento dell’Europa dell'est. Un'icona di stile bizantino domina la parete di fronte all'entrata della stanza. La figura è nel complesso bonaria, ma gli occhi e gli angoli della bocca tradiscono l'interrogativo: un prete cattolico ed un giovane italiano sono venuti a parlare con lui, ma ne ignora il motivo.
L'Istituto Ecumenico di Bossey è un luogo di incontro, di dialogo e di formazione sostenuto dal Consiglio Ecumenico delle Chiese che ha sede a Ginevra. Raccoglie studenti da tutto il mondo e di tutte le confessioni cristiane. Un vero microcosmo. È situato in un antico castello, luogo incantevole, immerso nell'ordinata campagna svizzera a pochi chilometri da Ginevra. Vi si tengono corsi universitari e seminari di approfondimento su temi ecumenici.

Ci presentiamo: padre Renato della missione cattolica italiana di Ginevra ed il sottoscritto, uno dei membri della sua comunità. Il direttore non riesce a celare un accenno di diffidenza o forse l'abbiamo solo interrotto in un momento di intenso lavoro. Ginevra ha una grandissima comunità di immigrati, in cui gli Italiani sono presenti in maniera massiccia. Ha, inoltre, una storia di apertura al mondo e di internazionalità nota a tutti, essendo sede dell'ONU e di circa 200 Organismi internazionali.

La compresenza di diverse etnie e l'ufficiale internazionalità non si sono sempre compenetrate in maniera efficace. Le comunità cattoliche venute da altrove (come l’italiana, la spagnola, la portoghese...), proprio perché ricche di una fervente umanità, non sono necessariamente le più attente al dialogo ecumenico o interreligioso. Per i loro fedeli è molto naturale cercare di ricreare un pezzo del paese che hanno lasciato e ricostruire un ambiente familiare, piuttosto che continuare nella ricerca di un delicato equilibrio in ambito religioso.

La nostra curiosità, tuttavia, è capace di rompere il ghiaccio, cominciando con domande pratiche. Il direttore ci racconta dei seminari che organizzano e che sono generalmente di breve durata e di grande qualità, a cui partecipano poche decine di persone, laici o religiosi, selezionate in base ai loro interessi. Qui si prepara, infatti, un master o una licenza in ecumenismo. Ci confessa, pure, che i giovani provenienti da Africa, Asia, Americhe, Oceania... sono tra di loro gentilissimi i primi giorni, ma i problemi, le divergenze e i conflitti sono ben nascosti sotto il tappeto. Poco dopo immancabilmente scoppiano, e il loro compito di insegnanti di teologia è quello di fare da infermieri e da dottori per guarire le ferite!

Gli studenti vivono nelle stanze del castello, da cui non è previsto si allontanino per tutta la durata dei loro corsi di un anno o due, anche se è possibile partecipare anche a soli seminari brevi di poche settimane. Un’equipe di ragazzi volontari si occupa di aiutare nelle faccende pratiche (lavanderia, cucina, pulizie etc.) dando una grossa mano a mandare avanti l'Istituto, e nel frattempo approfittando per imparare l'inglese, che e' la lingua ufficiale del Castello di Bossey.

Gli studenti sono così messi nelle condizioni ideali per dedicarsi all'apprendimento ed al confronto reciproco. In particolare non condividono tra loro solo lo studio, ma anche i momenti di ricreazione, i pasti, le passeggiate e a volte anche la stanza da letto.

Accade all’inizio che le persone che vengono a partecipare ai seminari siano animate da ansia di missionarietà e che cerchino in maniera più o meno palese di presentare agli altri la superiorità della propria confessione religiosa. Sono pronti a combattere vere battaglie intellettuali per sconfiggere le idee altrui, ma ben presto si accorgono che un tale atteggiamento non può essere mantenuto a lungo. Quando, infatti, le persone sono animate da un genuino senso di religiosità e di anelito per l'assoluto, non possono non rendersi conto di quanto il loro stesso desiderio sia presente anche negli altri che hanno seguito percorsi di fede diversi. Ciò non è affatto equivalente al tanto temuto relativismo, ma è il riconoscimento di un processo interiore che è un tratto meravigliosamente comune all'essere umano.

E il fatto di vivere insieme ogni istante della giornata avvicina le persone come poche altre cose: per avere un corretto dialogo sulle idee come sulle esperienze, non si può prescindere dal contatto umano. Non si possono astrarre i pensieri dall'essere umano nel suo insieme: prima di tutto viene la persona, il suo bagaglio di esperienze, di sentimenti, di aspirazioni. Poi, le sue idee e, talvolta, i dogmi e le abitudini inveterate, per cui il rispetto dell’altro è una vera chiave d’oro!

Il direttore ci confessa, infine, che quando le persone entrano in un contatto vero, trovano sempre più aspetti che li uniscano rispetto a quanti li dividano, riuscendo ad avere una discussione costruttiva anche su argomenti su cui non ci si trova d’accordo! Ci sorprende, in fondo, sapere che là dove persone di buona volontà parlano e soprattutto vivono insieme, la comprensione e la stima reciproca fioriscono. “Ci sono molti fiori nel mio giardino, ma una sola è l'acqua” conclude il nostro direttore, mostrandoci dalla finestra il delizioso giardino del castello. Ma, evidentemente, lui pensava ad altro!

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