mercoledì, marzo 31, 2010
Intervento di Flavia Liberona, direttrice esecutiva della Fundación Terram, pubblicato da La Nación il 29 marzo 2010 e liberamente tradotto da Umberto Mazzantini

GreenReport - Quando si sono cominciate a risolvere le prime emergenze dopo il terremoto di 8,8 gradi della scala Richter, queste hanno lasciato il passo alla valutazione dei danni che riguardano infrastrutture e installazioni di ogni tipo, pubbliche e private. La distruzione causata dal terremoto e dal successivo tsunami è un fatto chiaro e convincente, che ci chiama a riflettere rispetto alle intenzioni di alcuni settori di costruire in Cile degli impianti di produzione elettrica nucleare. Basta analizzare la vaga o semplicemente nulla informazione sulla quale contiamo adesso, a un mese dal sisma, rispetto allo stato dei danni prodotti in infrastrutture chiave come, per esempio, le condotte e/o gli emissari che scaricano nel mare reflui urbani o industriali nelle regioni più colpite; qualsiasi alterazione in questo tipo di impianti può potenzialmente produrre una contaminazione degli habitat marini o della fascia costiera in vaste zone, però nessuna autorità ha informato la comunità.

E' facile immaginare quanto sarebbe aumentato il livello di incertezza dopo il terremoto in uno scenario nel quale il Paese avesse avuto una centrale nucleare. Niente indica che lo Stato avrebbe avuto una reazione migliore, con la differenza che staremmo parlando di un livello di danni completamente differente, per la possibile gravità della contaminazione nucleare e per la difficoltà di rimozione della sua persistenza nel tempo, che può colpire durante varie generazioni, come sappiamo dall'esperienza di Chernobyl.

Le installazioni nucleari sono molto complesse ed implicano la gestione di tecnologia specializzata di ultima generazione, con standard di costruzione ed operativi molto elevati. Ma anche con la tecnologia antisismica più avanzata, nessuna installazione nucleare avrebbe superato con successo movimenti tellurici come quelli che si sono registrati in Cile. Dopo l'ultimo terremoto è stata riconfermata una verità conosciuta da tempo, che però molti sembrano dimenticare: questo è uno dei Paesi più sismici del pianeta e dobbiamo aspettarci sisma di più di 8 gradi Richter in diversi punti del territorio ogni 25 o 30 anni. Due dei cinque terremoti più forti registrati nel mondo sono successi nel nostro Paese.

In Giappone, spesso citato come esempio di Paese sismico in grado di sviluppare l'energia nucleare, un terremoto di 6,8 gradi Richter provocò gravi danni all'impianto nucleare Kashi-wazaki-Kariwa, al punto che diverse delle sue unità sono state fermate negli ultimi tre anni. Ci chiediamo cosa accadrebbe se il Cile costruisse una centrale nucleare nel nord, come si è proposto, se si ripeterà un evento come il 27 di febbraio. E' fondamentale che comprendiamo che il Cile non ha le condizioni di sicurezza per pensare a questo tipo di produzione elettrica, e scartarla in maniera definitiva. E' ora che pensiamo che siamo un Paese che ha molte zone a rischio e che questo dovrebbe essere preso in considerazione per l'installazione di case, industrie inquinanti e, a maggior ragione, per impianti nucleari.

Rispetto al caso giapponese, bisogna tener presente che è una nazione che ha sviluppato la tecnologia più avanzata riconosciuta a livello mondiale e, sebbene in quella occasione non si e riportato un episodio di contaminazione associato al terremoto, non è riuscito a rendere pienamente operativa la centrale, mantenendo bloccati investimenti significativi. Il Giappone è un Paese sviluppato, che probabilmente può permetterselo, però, può il Cile arrischiarsi a fare un investimento così col rischio di doverlo bloccare per anni per ragioni di sicurezza, dopo un futuro terremoto, tsunami o eruzione?

Peggio ancora, considerando che non è chiaro chi finanzierà questo investimento, data anche l'avidità di coloro che promuovono l'energia nucleare, sembrerebbe esistere il presupposti che sarebbe finanziato in parte con fondi pubblici. Le stime del governo e delle imprese private non sono state in grado di fornire una cifra definitiva del costo della ricostruzione, però la stima ufficiale è di 30 miliardi di dollari, tanto per le infrastrutture pubbliche che private.

Il governo deve riassegnare i fondi del bilancio, dare le priorità all'utilizzo dei fondi per la riparazione e la ricostruzione delle infrastrutture pubbliche e dare sostegno all'occupazione. L'opzione più sensata sarebbe quella di riutilizzare i fondi destinati nell'attuale bilancio alla ricerca nucleare, opzione sempre più discutibile, e riorientarli per soddisfare le richieste di altri settori, per esempio per soluzioni di energie rinnovabili non convenzionali, tecnologia già disponibile e che permetterebbe una maggiore indipendenza e decentralizzazione in materia energetica nel Paese.

E' tempo che coloro che per anni hanno promosso la lobby nucleare e che hanno lavorato per convincere amministratori e istituzioni pubbliche perché col denaro di tutti i cileni andassero avanti nella promozione delle centrali ad energia nucleare, si ritirino dalla scena. Il 27 di febbraio la natura si è espressa con forza e con molta chiarezza: Il Cile non è un Paese con le condizioni per l'installazione di energia nucleare.


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