domenica, aprile 25, 2010
Arginare la diffusione della malaria significa ridurre anche il numero di persone che muoiono a causa di Aids e malnutrizione. Significa inoltre migliorare la salute delle madri in gravidanza e la salute dei loro bambini. E’ quanto sottolinea il direttore generale dell’Unicef, Ann M. Veneman, nel suo messaggio in occasione dell’odierna Giornata mondiale di lotta contro la malaria. E’ inaccettabile – si legge nel documento – che oltre 850 mila persone continuino a morire, ogni anno, a causa di una puntura di zanzara.

Radiovaticana - Il bilancio potrebbe essere, in realtà, ancora più pesante come spiega, al microfono di Eliana Astorri, il direttore dell'Istituto di clinica delle malattie infettive al Policinico Agostino Gemelli di Roma, Roberto Cauda:

R. – Io credo che, come in tutti i casi di malattie infettive, noi sottostimiamo il numero. Si tratta ovviamente di stime, proprio perché la maggior parte dei casi avvengono nel sud del mondo, soprattutto nell’Africa subsahariana. Noi, in qualche modo, proprio per la difficoltà di acquisire dei dati certi, abbiamo una sottostima. Ma io credo che abbia poca importanza se sono un milione o due milioni. Sono comunque un numero enorme e questo deve sollecitare l’interesse da parte del nord del mondo. Questo è il messaggio. Per l’opinione pubblica bisogna dare il messaggio che è una malattia grave, che è curabile, potenzialmente prevenibile, ma per la quale oggi c’è un numero enorme di persone, soprattutto bambini, che muoiono.

D. – Lei parlava delle zone più colpite come l’Africa sub sahariana. Ma l’Asia, l’America Latina in che condizioni sono?

R. – Sono anch’esse aree colpite, proprio perché oggi nel nord del mondo, nei Paesi cosiddetti industrializzati, la malaria è un ricordo, più o meno recente, ma comunque è un ricordo. Le forme di malaria che noi oggi osserviamo sono le malarie cosiddette da importazione. I turisti e chi va per ragioni di lavoro in queste aree può acquisire la malaria. E la malaria deve essere riconosciuta precocemente, perché è una malattia molto grave. Ma, essendo anche una malattia prevenibile, grazie ad una profilassi, chiunque si metta in viaggio per queste aree è pregato di prestare la dovuta attenzione di rivolgersi ai medici, ai centri - e ne esistono tanti in Italia – che possono dargli il consiglio di come fare la profilassi, cioè premunirsi per non acquisire la malaria.

D. – Quindi, quando noi ci rechiamo in aree dove c’è la possibilità di essere punti da una zanzara anofele, assumiamo una terapia antimalarica prima di partire, durante la permanenza e dopo il rientro e questo esclude completamente il pericolo di contrarre la malaria?

R. – Direi proprio di sì. Si prendono comunque dei farmaci che consentono di prevenire la malattia. Ovviamente, non ci sono solo i farmaci. Ad esempio, chi va in Africa sa che dormire sotto una zanzariera riduce moltissimo il rischio di malaria. Faccio un esempio: il governo ugandese ha distribuito gratuitamente in aree anche molto remote una rete che copre il letto e questo ha permesso, in assenza di una profilassi che per chi vive in quelle aree sarebbe certamente non indicata, di ridurre di molto il rischio malaria.

D. – Per chi la contrae esistono farmaci che possano curarla?

R. – Certamente sì. Il riconoscimento del trattamento precoce permette di curare efficacemente la malaria, che se curata in ritardo o non curata può portare anche a morte. Esistono dei farmaci, non ne esistono invero molti, e a complicare lo scenario c’è il fatto che per uno di questi farmaci, la clorochina, è avvenuto il fenomeno della resistenza farmacologica. Teniamo presente che il farmaco più vecchio, il chinino, era l’estratto della corteccia di un albero che viene dal Sudamerica, e sono stati proprio i missionari Gesuiti a riconoscere queste proprietà curative nel 1600 e lo hanno introdotto in Europa. E noi ancora oggi utilizziamo il chinino.

D. – Questi farmaci perché non arrivano in Africa, ad esempio?

R. – C’è sempre un problema di natura economica. A questo punto, però, c’è anche un problema di diffusione e di mentalità, a mio giudizio ovviamente. Io credo che ci possano essere delle difficoltà, ad esempio, per raggiungere aree remote del continente africano, che chi lo conosce sa essere un’entità splendida, ma molto dispersiva.

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