«L’ascolto è l’attitudine di una persona veramente libera, perché liberata da se stessa, dalle sue costrizioni e dalle sue passioni. Inversamente, il non ascoltare, dice Gabriel Marcel (+1973), pensatore e scrittore francese, è rifiutare all’altro “di raggiungermi al di dentro e di farmelo diventare interiore”. È diffidare di lui. È privarlo, in qualche maniera, della sua dignità e quindi delle sue possibilità. È rifiutargli di essere ciò che è».
Mentre siamo nel pieno dei mesi estivi che recano in sé l’impronta tutta moderna della “vacanza”, una specie di vuoto, una pagina bianca che molti non sanno come riempire e che, per questo, o stracciano consumandola in pigrizia o ricolmano con la stessa frenesia del resto dell’anno, la parola di Dio della 16a domenica del tempo ordinario ci immerge nelle profondità del nostro cuore, là dove possiamo sentire anche il battito di Dio. In particolare il brano lucano, quello che riporta l’episodio delle due sorelle Marta e Maria (Lc 10,38-42), ci interroga sul nostro modo di stare vicini al Cristo, un modo che non si abitua mai alla sua vicinanza e all'intimità umana e spirituale che lui ci dona.
Quel brano da sempre è stato visto come la contrapposizione tra il fare e il contemplare, la vita attiva e la vita contemplativa. Da un lato miserabili quelli che devono condurre la vita attiva, nell’interno delle cucine e fucine, uffici e strade; e dall’altro lato beati quelli che sono nella nobiltà del della contemplazione. È una lettura assolutamente fuorviante. Il fare e l’ascoltare non sono due modelli di professioni da subordinare, ma da associare.
Maria, che conosce bene Gesù, sa sempre ascoltarlo, stupefatta e incantata, come fosse la prima volta. Tutti conosciamo il miracolo della prima volta, per un'amicizia o per un amore, ma poi ci si abitua. Dimentichiamo che l'eternità in cui noi siamo immersi anche sulla Terra, se accogliamo Cristo, consiste nel non abituarsi. Là il miracolo della prima volta si ripete sempre. E' il miracolo di Maria di Betania, seduta ancora una volta ai piedi di Gesù, a bere le sue parole, i suoi silenzi e i suoi occhi. Gesù, cultore trepido e tenero dell'amicizia, non cerca servitori, ma amici che gli lascino fare delle cose grandi, come Maria di Nazareth: «Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente» (Lc 1,49). Il centro di tutta la fede è ciò che Dio fa per noi, non ciò che noi facciamo per lui.
Il primo servizio da rendere all’amico è ascoltarlo, cioè prestargli orecchio, andargli incontro, aprirsi a lui uscendo fuori dal guscio del proprio io, con-sentire (simpatia) e provare com-passione, entrare in co-munione e immedesimarsi (empatia). Bisogna che colui che ascolta accetti di abbassarsi, di cancellarsi, di rinunciare a se stresso, di «morire a se stesso». Egli deve «”abbandonare” ciò che crede di essere o di rappresentare» (J.-Ch. Leroy). L’ascolto è l’attitudine di una persona veramente libera, perché liberata da se stessa, dalle sue costrizioni e dalle sue passioni. Inversamente, il non ascoltare, scrisse Gabriel Marcel (+ 1973), pensatore e scrittore francese, è rifiutare all’altro «di raggiungerci al di dentro e di farcelo diventare interiore». È diffidare di lui. È privarlo, in qualche maniera, della sua dignità e quindi delle sue possibilità. È rifiutargli di essere ciò che è.
Maria sa ascoltare. È pronta a donare, a donarsi, a donare se stessa. Così il suo ascolto è una delle forme più alte della disponibilità e della confidenza, di amore e di rispetto. Ella non tanto guarda e contempla Gesù, quanto si lascia guardare e contemplare da lui. E poi si affaccia all'oceano interiore di quegli occhi e si legge in quello sguardo. Una sorta di contagio ti prende quando sei vicino ad un uomo come Gesù, l'unico, in questo senso. è qualcosa più importante ancora del “fare”: il “perché fare”, il cuore e la ragione ultima della vita.
«Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose» (Lc 10,41). Gesù non contraddice il servizio, ma l'affanno; non il desiderio, ma la dispersione dei desideri: una sola è la cosa di cui c'è bisogno. E non dice quale sia. Sedersi ai piedi di Cristo ci fa pellegrini dell'essenziale o sentinelle che vigilano tra superfluo e necessario, tra effimero ed eterno. Qual è la sola cosa necessaria? Vivere per amare veramente e amare per vivere pienamente, e, così, prepararsi a vivere eternamente (S. Palumbieri). Non c'è vita eterna lontano dall’amore. Non c’è infinito né assoluto, né pace, né gioia al di fuori di relazioni umane improntate all'amore. «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile. La sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’Amore, se non si incontra con l’Amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (RH 10).
Marta e Maria non si oppongono. I loro atteggiamenti sono complementari. Marta non può fare a meno di Maria, perché il nostro servizio ha l’unica sorgente che fa grande il cuore. Maria non può fare a meno di Marta, perché non c'è amore di Dio che non debba tradursi in gesti concreti. L’amica e l’ancella sono due modi di amare, entrambi necessari, i due poli di un unico comandamento: «Amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo» (cfr. Mt 22,37-39), e di un’unica beatitudine: «Beati quelli che ascoltano la Parola e la vivono ogni giorno» (Lc 11,28).
In ognuno di noi c’è una Marta e una Maria, che si tengono per mano, nell'ascolto di Dio e nel servizio ai fratelli. Quando questo viene vissuto realmente, nulla può separare un essere umano dall'altro, nulla impedisce l'ascolto della Parola di Dio sulla nostra vita e sul nostro futuro celeste.
Betania... proviamo a immaginare la scena. Verso la fine del pomeriggio, quando il caldo di Gerusalemme cede il passo al vento, Gesù scendeva la valle del Cedron e risaliva il monte degli Ulivi, per superarlo e raggiungere il piccolo villaggio di Betania. Chissà quando aveva conosciuto le sorelle e Lazzaro, forse suoi coetanei Per lui quel villaggio rappresentava una pausa di normalità, una sosta, un refrigerio. Lasciàti indietro anche gli apostoli, forse ritrovava in quella casa di campagna gli odori e le luci della sua piccola Nazareth. Forse davanti ad una focaccia cotta dimenticava la tensione che provava nella Gerusalemme che uccide i profeti e abbandonava il dolore sordo che gli stava crescendo nel cuore vedendo la sua missione duramente contrastata. A Betania poteva parlare liberamente, sentirsi accolto, svestire il ruolo del Rabbì, abbandonare i panni dell'accusato per ritrovare, per qualche momento, il piacere dell'amicizia e della complicità. Commuove fino alle lacrime vedere Dio umanato intessere una relazione, chiedere ascolto, sedersi intorno ad un tavolo, ridere e scherzare. Se potessimo, di quando in quando, invitarlo, ascoltarlo, preparargli, come Abramo, un pasto caldo e una bevanda fresca! Diventassimo capaci, ogni tanto, di ascoltare ed accogliere il suo desiderio di salvarci, le sue fatiche e il suo dolore nel vedere la società travolta dalla violenza e dal limite, dall’«illegalità diffusa e dalla criminalità organizzata, dalla mancanza di rispetto per la sacralità della vita e la dignità della donna», come disse il mons. Antonio Ciliberti, durante la sua omelia tenuta nella cattedrale di Catanzaro il 16 luglio, festa di s. Vitaliano, patrono della città, e dirgli che può contare su di noi per realizzare il mondo che ha nel suo cuore.
Rimettiamo la contemplazione/l’ascolto/il silenzio nel cuore delle nostre giornate, come sorgente di pace e di gioia. Marta realizza la beatitudine dell'accoglienza e dell'ospitalità. Anche lei sa che l'ascolto del Maestro è l'origine di ogni incontro. Sa pure che se questo incontro non cambia la vita, resta sterile e inconcludente. Marta nutre il Cristo che Maria adora. Non c’è una contemplazione autentica che non sfoci nel servizio. È sterile una carità che non inizi e non termini nella preghiera/contemplazione. Ascoltare la parola di Gesù, restare ancorati a lui, farlo diventare ospite fisso della nostra vita suscita in noi una profondità che nulla può travolgere.
Siamo ormai nel cuore dell'estate: in ferie per i più fortunati o o nelle città arroventate. Lasciamo entrare la freschezza dello Spirito accogliendo Gesù e la sua parola, sussurrata ai nostri cuori. A lui rivolgiamo questa preghiera:
O Figlio divino, nostro tenero fratello, rendici disponibili all'amicizia e al servizio ai fratelli; aiutaci ad essere servizievoli come Marta e poco prima o poco dopo come Maria, seduta ai piedi di Gesù, estasiata dalla sua presenza e dalla sua parola; rendici consapevoli che per amare davvero occorre essere Marta e anche Maria.
di Padre Piotr Anzulewicz, OFM Conv
Mentre siamo nel pieno dei mesi estivi che recano in sé l’impronta tutta moderna della “vacanza”, una specie di vuoto, una pagina bianca che molti non sanno come riempire e che, per questo, o stracciano consumandola in pigrizia o ricolmano con la stessa frenesia del resto dell’anno, la parola di Dio della 16a domenica del tempo ordinario ci immerge nelle profondità del nostro cuore, là dove possiamo sentire anche il battito di Dio. In particolare il brano lucano, quello che riporta l’episodio delle due sorelle Marta e Maria (Lc 10,38-42), ci interroga sul nostro modo di stare vicini al Cristo, un modo che non si abitua mai alla sua vicinanza e all'intimità umana e spirituale che lui ci dona.
Quel brano da sempre è stato visto come la contrapposizione tra il fare e il contemplare, la vita attiva e la vita contemplativa. Da un lato miserabili quelli che devono condurre la vita attiva, nell’interno delle cucine e fucine, uffici e strade; e dall’altro lato beati quelli che sono nella nobiltà del della contemplazione. È una lettura assolutamente fuorviante. Il fare e l’ascoltare non sono due modelli di professioni da subordinare, ma da associare.
Maria, che conosce bene Gesù, sa sempre ascoltarlo, stupefatta e incantata, come fosse la prima volta. Tutti conosciamo il miracolo della prima volta, per un'amicizia o per un amore, ma poi ci si abitua. Dimentichiamo che l'eternità in cui noi siamo immersi anche sulla Terra, se accogliamo Cristo, consiste nel non abituarsi. Là il miracolo della prima volta si ripete sempre. E' il miracolo di Maria di Betania, seduta ancora una volta ai piedi di Gesù, a bere le sue parole, i suoi silenzi e i suoi occhi. Gesù, cultore trepido e tenero dell'amicizia, non cerca servitori, ma amici che gli lascino fare delle cose grandi, come Maria di Nazareth: «Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente» (Lc 1,49). Il centro di tutta la fede è ciò che Dio fa per noi, non ciò che noi facciamo per lui.
Il primo servizio da rendere all’amico è ascoltarlo, cioè prestargli orecchio, andargli incontro, aprirsi a lui uscendo fuori dal guscio del proprio io, con-sentire (simpatia) e provare com-passione, entrare in co-munione e immedesimarsi (empatia). Bisogna che colui che ascolta accetti di abbassarsi, di cancellarsi, di rinunciare a se stresso, di «morire a se stesso». Egli deve «”abbandonare” ciò che crede di essere o di rappresentare» (J.-Ch. Leroy). L’ascolto è l’attitudine di una persona veramente libera, perché liberata da se stessa, dalle sue costrizioni e dalle sue passioni. Inversamente, il non ascoltare, scrisse Gabriel Marcel (+ 1973), pensatore e scrittore francese, è rifiutare all’altro «di raggiungerci al di dentro e di farcelo diventare interiore». È diffidare di lui. È privarlo, in qualche maniera, della sua dignità e quindi delle sue possibilità. È rifiutargli di essere ciò che è.
Maria sa ascoltare. È pronta a donare, a donarsi, a donare se stessa. Così il suo ascolto è una delle forme più alte della disponibilità e della confidenza, di amore e di rispetto. Ella non tanto guarda e contempla Gesù, quanto si lascia guardare e contemplare da lui. E poi si affaccia all'oceano interiore di quegli occhi e si legge in quello sguardo. Una sorta di contagio ti prende quando sei vicino ad un uomo come Gesù, l'unico, in questo senso. è qualcosa più importante ancora del “fare”: il “perché fare”, il cuore e la ragione ultima della vita.
«Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose» (Lc 10,41). Gesù non contraddice il servizio, ma l'affanno; non il desiderio, ma la dispersione dei desideri: una sola è la cosa di cui c'è bisogno. E non dice quale sia. Sedersi ai piedi di Cristo ci fa pellegrini dell'essenziale o sentinelle che vigilano tra superfluo e necessario, tra effimero ed eterno. Qual è la sola cosa necessaria? Vivere per amare veramente e amare per vivere pienamente, e, così, prepararsi a vivere eternamente (S. Palumbieri). Non c'è vita eterna lontano dall’amore. Non c’è infinito né assoluto, né pace, né gioia al di fuori di relazioni umane improntate all'amore. «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile. La sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’Amore, se non si incontra con l’Amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (RH 10).
Marta e Maria non si oppongono. I loro atteggiamenti sono complementari. Marta non può fare a meno di Maria, perché il nostro servizio ha l’unica sorgente che fa grande il cuore. Maria non può fare a meno di Marta, perché non c'è amore di Dio che non debba tradursi in gesti concreti. L’amica e l’ancella sono due modi di amare, entrambi necessari, i due poli di un unico comandamento: «Amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo» (cfr. Mt 22,37-39), e di un’unica beatitudine: «Beati quelli che ascoltano la Parola e la vivono ogni giorno» (Lc 11,28).
In ognuno di noi c’è una Marta e una Maria, che si tengono per mano, nell'ascolto di Dio e nel servizio ai fratelli. Quando questo viene vissuto realmente, nulla può separare un essere umano dall'altro, nulla impedisce l'ascolto della Parola di Dio sulla nostra vita e sul nostro futuro celeste.
Betania... proviamo a immaginare la scena. Verso la fine del pomeriggio, quando il caldo di Gerusalemme cede il passo al vento, Gesù scendeva la valle del Cedron e risaliva il monte degli Ulivi, per superarlo e raggiungere il piccolo villaggio di Betania. Chissà quando aveva conosciuto le sorelle e Lazzaro, forse suoi coetanei Per lui quel villaggio rappresentava una pausa di normalità, una sosta, un refrigerio. Lasciàti indietro anche gli apostoli, forse ritrovava in quella casa di campagna gli odori e le luci della sua piccola Nazareth. Forse davanti ad una focaccia cotta dimenticava la tensione che provava nella Gerusalemme che uccide i profeti e abbandonava il dolore sordo che gli stava crescendo nel cuore vedendo la sua missione duramente contrastata. A Betania poteva parlare liberamente, sentirsi accolto, svestire il ruolo del Rabbì, abbandonare i panni dell'accusato per ritrovare, per qualche momento, il piacere dell'amicizia e della complicità. Commuove fino alle lacrime vedere Dio umanato intessere una relazione, chiedere ascolto, sedersi intorno ad un tavolo, ridere e scherzare. Se potessimo, di quando in quando, invitarlo, ascoltarlo, preparargli, come Abramo, un pasto caldo e una bevanda fresca! Diventassimo capaci, ogni tanto, di ascoltare ed accogliere il suo desiderio di salvarci, le sue fatiche e il suo dolore nel vedere la società travolta dalla violenza e dal limite, dall’«illegalità diffusa e dalla criminalità organizzata, dalla mancanza di rispetto per la sacralità della vita e la dignità della donna», come disse il mons. Antonio Ciliberti, durante la sua omelia tenuta nella cattedrale di Catanzaro il 16 luglio, festa di s. Vitaliano, patrono della città, e dirgli che può contare su di noi per realizzare il mondo che ha nel suo cuore.
Rimettiamo la contemplazione/l’ascolto/il silenzio nel cuore delle nostre giornate, come sorgente di pace e di gioia. Marta realizza la beatitudine dell'accoglienza e dell'ospitalità. Anche lei sa che l'ascolto del Maestro è l'origine di ogni incontro. Sa pure che se questo incontro non cambia la vita, resta sterile e inconcludente. Marta nutre il Cristo che Maria adora. Non c’è una contemplazione autentica che non sfoci nel servizio. È sterile una carità che non inizi e non termini nella preghiera/contemplazione. Ascoltare la parola di Gesù, restare ancorati a lui, farlo diventare ospite fisso della nostra vita suscita in noi una profondità che nulla può travolgere.
Siamo ormai nel cuore dell'estate: in ferie per i più fortunati o o nelle città arroventate. Lasciamo entrare la freschezza dello Spirito accogliendo Gesù e la sua parola, sussurrata ai nostri cuori. A lui rivolgiamo questa preghiera:
O Figlio divino, nostro tenero fratello, rendici disponibili all'amicizia e al servizio ai fratelli; aiutaci ad essere servizievoli come Marta e poco prima o poco dopo come Maria, seduta ai piedi di Gesù, estasiata dalla sua presenza e dalla sua parola; rendici consapevoli che per amare davvero occorre essere Marta e anche Maria.
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