“L’umanità è venuta a vedere la situazione di Haiti a partire dal 12 Gennaio, ma la crisi haitiana non dura da sei mesi, né da due anni... bensì da secoli”.
Agenzia Misna - Padre Regino Martínez Bretón, gesuita, si esprime così in una riflessione scritta a sei mesi dal devastante sisma di Gennaio, evidenziando che la crisi di Haiti, il paese più povero dell’America Latina - una crisi “economica, istituzionale, politica, sociale, umana” - ha radici ben più lontane nel tempo. “La crisi è cominciata nel 1804 e oggi ha 206 anni. Perché? Perché gruppi di schiavi aboliscono la schiavitù e si dichiarano uomini e donne liberi, ma di fronte a questo gli antichi paesi colonizzatori non li riconoscono...da lì comincia l’asfissia politica del processo libertario del popolo haitiano” afferma il religioso di ‘Solidaridad Fronteriza’, organismo dei Gesuiti che lavora in collaborazione con il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati e i migranti (Sjrm). Non deve stupire perciò, continua padre Martínez, che a sei mesi dal sisma “ancora non sia iniziato il processo di ricostruzione e costruzione di quella che potrebbe essere una nuova Haiti. Dopo aver speso milioni in acqua, cibo, farmaci, tende, che hanno appena mitigato e alleviato la fame, ora è perentorio l’inizio della costruzione di nuove città, per lo meno di quelle colpite, ma anche di quelle vecchie che non hanno avuto uno sviluppo possibile dal 1804, ma un processo di degradazione che in 206 anni di vita repubblicana non è stato possibile recuperare”. Il presidente René Preval, ricorda il gesuita, ha detto che di tutti gli aiuti offerti dalla comunità internazionale, il governo ha ricevuto e amministrato due miliardi di dollari. “Si sa dei milioni che ha dato la Francia.... Solo nella riunione di Punta Cana... sono stati riuniti 11 miliardi, ma dove sono?”. E’ difficile trascorrere sei mesi in una tenda in strada, dice ancora il gesuita, “e ora stanno comparendo i proprietari dei terreni occupati che costringono i terremotati ad andarsene, con le buone o le cattive”. Occorre avviare subito un processo di produzione, “soprattutto agricolo... perché se passano altri mesi si spenderanno per il cibo i soldi che possono essere usati per questa”. La situazione non coinvolge solo le persone colpite dal sisma – almeno un milione e 200.000 sono gli sfollati – “ma tutta Haiti” che patisce anche “l’indolenza delle autorità”. Da Dajabón, alla frontiera dominicana, padre Martínez lancia un appello alle autorità e a tutti gli haitiani affinché si diano da fare: “Che questi sei mesi – conclude – ci servano da esperienza per vedere come abbiamo agito, cosa abbiamo fatto e cosa possiamo fare da qui in avanti per la rinascita, lo sviluppo sociale e l’ingresso di Haiti nel campo delle tecnologie e nelle comunicazioni”.
Agenzia Misna - Padre Regino Martínez Bretón, gesuita, si esprime così in una riflessione scritta a sei mesi dal devastante sisma di Gennaio, evidenziando che la crisi di Haiti, il paese più povero dell’America Latina - una crisi “economica, istituzionale, politica, sociale, umana” - ha radici ben più lontane nel tempo. “La crisi è cominciata nel 1804 e oggi ha 206 anni. Perché? Perché gruppi di schiavi aboliscono la schiavitù e si dichiarano uomini e donne liberi, ma di fronte a questo gli antichi paesi colonizzatori non li riconoscono...da lì comincia l’asfissia politica del processo libertario del popolo haitiano” afferma il religioso di ‘Solidaridad Fronteriza’, organismo dei Gesuiti che lavora in collaborazione con il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati e i migranti (Sjrm). Non deve stupire perciò, continua padre Martínez, che a sei mesi dal sisma “ancora non sia iniziato il processo di ricostruzione e costruzione di quella che potrebbe essere una nuova Haiti. Dopo aver speso milioni in acqua, cibo, farmaci, tende, che hanno appena mitigato e alleviato la fame, ora è perentorio l’inizio della costruzione di nuove città, per lo meno di quelle colpite, ma anche di quelle vecchie che non hanno avuto uno sviluppo possibile dal 1804, ma un processo di degradazione che in 206 anni di vita repubblicana non è stato possibile recuperare”. Il presidente René Preval, ricorda il gesuita, ha detto che di tutti gli aiuti offerti dalla comunità internazionale, il governo ha ricevuto e amministrato due miliardi di dollari. “Si sa dei milioni che ha dato la Francia.... Solo nella riunione di Punta Cana... sono stati riuniti 11 miliardi, ma dove sono?”. E’ difficile trascorrere sei mesi in una tenda in strada, dice ancora il gesuita, “e ora stanno comparendo i proprietari dei terreni occupati che costringono i terremotati ad andarsene, con le buone o le cattive”. Occorre avviare subito un processo di produzione, “soprattutto agricolo... perché se passano altri mesi si spenderanno per il cibo i soldi che possono essere usati per questa”. La situazione non coinvolge solo le persone colpite dal sisma – almeno un milione e 200.000 sono gli sfollati – “ma tutta Haiti” che patisce anche “l’indolenza delle autorità”. Da Dajabón, alla frontiera dominicana, padre Martínez lancia un appello alle autorità e a tutti gli haitiani affinché si diano da fare: “Che questi sei mesi – conclude – ci servano da esperienza per vedere come abbiamo agito, cosa abbiamo fatto e cosa possiamo fare da qui in avanti per la rinascita, lo sviluppo sociale e l’ingresso di Haiti nel campo delle tecnologie e nelle comunicazioni”.
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