Dal Mezzogiorno continuano ad arrivare pessimi segnali sul fronte dell’economia. Secondo il Rapporto Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno, presentato oggi, una famiglia meridionale su cinque non ha i soldi per andare dal medico. Forte preoccupazione anche per l’aumento dei senza lavoro. Per il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, serve una "profonda modifica" delle politiche di sviluppo per il Sud.
RadioVaticana - Un Mezzogiorno in recessione, colpito duramente dalla crisi nel settore industriale, che da otto anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord. Cosa, questa, mai avvenuta dal dopoguerra a oggi. Lo Svimez dice che il Pil nel 2009 “è tornato ai livelli di dieci anni fa”. Basta pensare che nel 2008, nel 30% delle famiglie al Sud sono mancati i soldi per i vestiti, e 8 su 100 hanno rinunciato a beni alimentari essenziali. Un meridionale su tre è a rischio povertà. Due le cause principali di questa recessione: investimenti che rallentano e famiglie che non consumano. Queste ultime, infatti, hanno ridotto al Sud la spesa del 2,6% contro l'1,6% del Centro-Nord. Mentre gli investimenti industriali sono crollati del 9,6% nel 2009, dopo una già marcata flessione nel 2008. Ne consegue che il tasso di disoccupazione effettivo è del 24%, e in 20 anni sono state 2 milioni e 400 mila le persone che sono state costrette a emigrare. Il Sud, quindi, per lo Svimez, diventa una vera frontiera, che rende più che mai urgente la realizzazione di grandi infrastrutture dei trasporti, altrimenti l’economia non decollerà mai. Ma i costi sono salati: 49 miliardi di euro, di cui 11 miliardi già disponibili e quasi 38 da reperire, da dedicare al potenziamento dell'Autostrada Salerno-Reggio Calabria e della Statale "Jonica"; la realizzazione di nuove tratte interne alla Sicilia; l'estensione della 'Alta Capacita' ferroviaria; il ponte sullo stretto. Anche i servizi sono carenti: meno banche, meno sportelli, grandi problemi per l'accesso al credito. Poi, il progetto della Banca del Sud, per lo Svimez, va rivisto perché rischia di essere poco efficace.
Per un commento sul Rapporto Svimez, ascoltiamo mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso - Boiano e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. L’intervista è di Sergio Centofanti.
R. – Il primo sentimento che si prova davanti a questi dati è la tragica conferma che i numeri danno ragione al cuore, perché tutti i giorni – anche oggi, in questo momento – le sale di attesa dei vescovi sono gremite di persone che chiedono lavoro o che comunque domandano un aiuto, un’assistenza … Intrecciando questi dati con quanto fanno le Caritas e le parrocchie, la situazione è sempre più allarmante. E questi dati confermano che il cuore, purtroppo, ha ragione: e cioè che il mondo del Sud è sempre più impoverito…
D. – Perché non si riesce a risolvere la questione meridionale?
R. – Per due grandi ragioni: la prima è che non si vuole. Cioè, la questione meridionale la si rimuove ormai da tanti decenni, e non la si vuole affrontare perché affrontarla vuol dire rendere la questione meridionale questione ‘nazionale’, e questo non lo si vuole fare; perché è più comodo pensarla problema ‘settoriale’. In realtà, ha ragione don Sturzo: la questione meridionale sarà risolta solo quando essa diventerà questione ‘nazionale’, che è poi il grande appello che già nel 1989 e tre mesi fa i vescovi hanno ribadito: “Il Paese non crescerà se non insieme”. E la seconda causa è purtroppo legata anche ad alcune disfunzioni culturali e anche religiose e spirituali che la gente del Sud si porta dietro, per cui il peggior nemico del Sud non è la mafia, ma è non credere al proprio futuro, il non essere forti nella propria identità … In fondo, quello che la Lega, in positivo, ha compiuto a Nord, è stato dare identità alle regioni del Nord. Però, la Lega ha poi compiuto un errore, che è quello di isolare il Nord dal Sud. Al Sud occorrerebbe una ripresa di dignità e di coraggio, in modo che possa prendere in mano la propria storia per renderla il più possibile affrontabile e risolvibile. Perciò, il mondo politico deve sentire il Sud come una questione dell’Italia, non del Sud; d'altra parte, la gente del Sud deve sentire la propria storia come propria, prendendola in mano fino in fondo.
D. – Una delle grandi piaghe del Sud - denunciata dai vescovi - è il "cancro" della mafia. Tuttavia, ammonisce la Cei, la mafia sta rialzando la testa, mentre l’attenzione si abbassa e anche la società civile fa fatica a scuotersi …
R. – E’ tristemente vero e tragicamente confermato dagli arresti di cinque-sei giorni fa, a proposito della ‘Ndrangheta, dove l’aver arrestato 300 persone, molte di loro a Nord, ha confermato che ciò che si era pensato fosse un problema del Sud in realtà è un problema di tutti. E poiché è mancato, da parte del Nord e anche dello Stato, la coscienza che il problema della lotta alla mafia è un problema di tutti e lo si è delegato o affidato – tristemente – alle regioni meridionali, non averlo affrontato insieme, in alleanza, ha permesso alla mafia di estendersi, non solo: ma di capire che gli investimenti migliori per loro sono a Nord. La mafia pensa al Sud ma investe al Nord.
D. – Quali le speranze per il Sud?
R. – Le speranze del Sud sono tante, perché da credente si vede che laddove il Signore mette alla prova, dà anche la risposta. Mentre il Sud ha i suoi drammi, ha anche laici coraggiosi, preti che hanno dimensione vitale, vescovi che sanno alzare la voce, Chiese che sanno rendersi belle per tante vocazioni … Non tutto ciò che è fatica è abbandonato, ma la prova, alla fine, fa vedere di più l’oro, come dice San Pietro. Ecco: questo è il punto di riferimento. E poi, in questo momento credo che sia importante anche che tutti ci rendiamo consapevoli che non ci sono problemi localizzati, ma proprio per l’ottica della globalizzazione, ormai i problemi di un luogo diventano i problemi nostri. E quindi insieme, e soltanto insieme, è possibile risolverli.
RadioVaticana - Un Mezzogiorno in recessione, colpito duramente dalla crisi nel settore industriale, che da otto anni consecutivi cresce meno del Centro-Nord. Cosa, questa, mai avvenuta dal dopoguerra a oggi. Lo Svimez dice che il Pil nel 2009 “è tornato ai livelli di dieci anni fa”. Basta pensare che nel 2008, nel 30% delle famiglie al Sud sono mancati i soldi per i vestiti, e 8 su 100 hanno rinunciato a beni alimentari essenziali. Un meridionale su tre è a rischio povertà. Due le cause principali di questa recessione: investimenti che rallentano e famiglie che non consumano. Queste ultime, infatti, hanno ridotto al Sud la spesa del 2,6% contro l'1,6% del Centro-Nord. Mentre gli investimenti industriali sono crollati del 9,6% nel 2009, dopo una già marcata flessione nel 2008. Ne consegue che il tasso di disoccupazione effettivo è del 24%, e in 20 anni sono state 2 milioni e 400 mila le persone che sono state costrette a emigrare. Il Sud, quindi, per lo Svimez, diventa una vera frontiera, che rende più che mai urgente la realizzazione di grandi infrastrutture dei trasporti, altrimenti l’economia non decollerà mai. Ma i costi sono salati: 49 miliardi di euro, di cui 11 miliardi già disponibili e quasi 38 da reperire, da dedicare al potenziamento dell'Autostrada Salerno-Reggio Calabria e della Statale "Jonica"; la realizzazione di nuove tratte interne alla Sicilia; l'estensione della 'Alta Capacita' ferroviaria; il ponte sullo stretto. Anche i servizi sono carenti: meno banche, meno sportelli, grandi problemi per l'accesso al credito. Poi, il progetto della Banca del Sud, per lo Svimez, va rivisto perché rischia di essere poco efficace.
Per un commento sul Rapporto Svimez, ascoltiamo mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso - Boiano e presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. L’intervista è di Sergio Centofanti.
R. – Il primo sentimento che si prova davanti a questi dati è la tragica conferma che i numeri danno ragione al cuore, perché tutti i giorni – anche oggi, in questo momento – le sale di attesa dei vescovi sono gremite di persone che chiedono lavoro o che comunque domandano un aiuto, un’assistenza … Intrecciando questi dati con quanto fanno le Caritas e le parrocchie, la situazione è sempre più allarmante. E questi dati confermano che il cuore, purtroppo, ha ragione: e cioè che il mondo del Sud è sempre più impoverito…
D. – Perché non si riesce a risolvere la questione meridionale?
R. – Per due grandi ragioni: la prima è che non si vuole. Cioè, la questione meridionale la si rimuove ormai da tanti decenni, e non la si vuole affrontare perché affrontarla vuol dire rendere la questione meridionale questione ‘nazionale’, e questo non lo si vuole fare; perché è più comodo pensarla problema ‘settoriale’. In realtà, ha ragione don Sturzo: la questione meridionale sarà risolta solo quando essa diventerà questione ‘nazionale’, che è poi il grande appello che già nel 1989 e tre mesi fa i vescovi hanno ribadito: “Il Paese non crescerà se non insieme”. E la seconda causa è purtroppo legata anche ad alcune disfunzioni culturali e anche religiose e spirituali che la gente del Sud si porta dietro, per cui il peggior nemico del Sud non è la mafia, ma è non credere al proprio futuro, il non essere forti nella propria identità … In fondo, quello che la Lega, in positivo, ha compiuto a Nord, è stato dare identità alle regioni del Nord. Però, la Lega ha poi compiuto un errore, che è quello di isolare il Nord dal Sud. Al Sud occorrerebbe una ripresa di dignità e di coraggio, in modo che possa prendere in mano la propria storia per renderla il più possibile affrontabile e risolvibile. Perciò, il mondo politico deve sentire il Sud come una questione dell’Italia, non del Sud; d'altra parte, la gente del Sud deve sentire la propria storia come propria, prendendola in mano fino in fondo.
D. – Una delle grandi piaghe del Sud - denunciata dai vescovi - è il "cancro" della mafia. Tuttavia, ammonisce la Cei, la mafia sta rialzando la testa, mentre l’attenzione si abbassa e anche la società civile fa fatica a scuotersi …
R. – E’ tristemente vero e tragicamente confermato dagli arresti di cinque-sei giorni fa, a proposito della ‘Ndrangheta, dove l’aver arrestato 300 persone, molte di loro a Nord, ha confermato che ciò che si era pensato fosse un problema del Sud in realtà è un problema di tutti. E poiché è mancato, da parte del Nord e anche dello Stato, la coscienza che il problema della lotta alla mafia è un problema di tutti e lo si è delegato o affidato – tristemente – alle regioni meridionali, non averlo affrontato insieme, in alleanza, ha permesso alla mafia di estendersi, non solo: ma di capire che gli investimenti migliori per loro sono a Nord. La mafia pensa al Sud ma investe al Nord.
D. – Quali le speranze per il Sud?
R. – Le speranze del Sud sono tante, perché da credente si vede che laddove il Signore mette alla prova, dà anche la risposta. Mentre il Sud ha i suoi drammi, ha anche laici coraggiosi, preti che hanno dimensione vitale, vescovi che sanno alzare la voce, Chiese che sanno rendersi belle per tante vocazioni … Non tutto ciò che è fatica è abbandonato, ma la prova, alla fine, fa vedere di più l’oro, come dice San Pietro. Ecco: questo è il punto di riferimento. E poi, in questo momento credo che sia importante anche che tutti ci rendiamo consapevoli che non ci sono problemi localizzati, ma proprio per l’ottica della globalizzazione, ormai i problemi di un luogo diventano i problemi nostri. E quindi insieme, e soltanto insieme, è possibile risolverli.
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