giovedì, dicembre 30, 2010
Dal III Festival delle arti nere (Fesman) giunge un forte messaggio di identità culturale del continente contenuto non solo nelle opere delle decine di artiste esposte a Dakar ma anche nei dibattiti in corso tra universitari, storici, ricercatori e politici sul tema della “Rinascita africana e Stati Uniti d’Africa”.

Agenzia Misna - I partecipanti alle tavole rotonde, come lo storico Théophile Obenga della Repubblica del Congo, affermano che “dobbiamo liberarci dall’alienazione” per operare una rinascita dell’Africa, mentre nel 2010 in 17 paesi ricorre il cinquantenario di indipendenza dalle potenze coloniali europee. Secondo Obenga, ciò significa “attuare cambiamenti radicali nel modo di lavorare, di agire ma anche nel modo di impostare i rapporti con gli altri. L’Occidente è in pieno declino dal punto di vista demografico ed economico – ha aggiunto – L’arroganza e l’onnipotenza dell’Europa è finita. La Cina cambierà l’ordine del mondo. L’Africa deve aprire gli occhi. La soluzione che propongo è quella di impegnarsi davvero per il proprio paese”. Nel corso dei dibattiti, l’astrofisico camerunense Jean-Paul Mbelek ha invece argomentato che “la rinascita africana non è un’ideologia: è una tendenza storica che si è manifestata sin dal XVII secolo con le prime lotte contro la schiavitù per poi rafforzarsi con i movimenti panafricanisti e le battaglie degli afro-americani”, ricordando i contributi decisivi di personalità come Kwame Nkrumah, ex-presidente del Ghana e famoso padre fondatore del panafricanismo, o Cheikh Anta Diop, storico senegalese. Secondo Mbelek i maggiori ostacoli all’unità dell’Africa e alla sua nuova rinascita sono “i capi di Stato africani, che tengono stretto il potere” ma anche “gli Occidentali che hanno tutto interesse a mantenere un’Africa balcanizzata oltre alle potenze emergenti che potrebbero considerare l’Africa come una preda”. Un messaggio altrettanto forte, anche se formulato da uno storico senegalese considerato molto vicino al potere, è stato quello di Iba Der Thiam che ha denunciato “la sorte ingiusta riservata all’Africa nella diplomazia e le istituzioni internazionali” a causa della sua limitata presenza in sede Onu ma anche nelle istituzioni finanziarie di Bretton Woods (Fmi e Banca mondiale), nel G8 e G20. A sollecitare maggiore attenzione al patrimonio architettonico dell’Africa sono stati invece gli architetti africani e della diaspora che si sono ritrovati a Dakar sempre nel contesto del Fesman. Concordano nell’urgenza di salvaguardare l’architettura tradizionale, fonte di ispirazione e modello per costruire in modo sostenibile ma anche fattore di sviluppo e crescita economica oltre che essere una preziosa testimonianza della storia cultura e sociale dei popoli africani. “Quando avremo finito di distruggere la nostra architettura tradizionale, i turisti non verranno più in Africa: è questa la posta in gioco. La gente viene per scoprire luoghi storici come Timbouctou o l’ex-casa degli schiavi nell’isola senegalese di Gorée” ha concluso Rodrigue Kessou della locale Scuola del patrimonio africano.

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