Probabilmente ci renderemo davvero conto solo tra decenni delle conseguenze di quanto l'economia globalizzata stia producendo vaste invasioni biologiche.
GreenReport - A dirlo è un nuovo studio, "Socioeconomic legacy yields an invasion debt", pubblicato su Proceedings of the national academy of sciences of the United States of America (Pnas), basato su dati completi di specie aliene di 10 gruppi tassonomici in 28 paesi europei, evidenziando degli schemi delle specie non-indigene insediate, che ha dimostrato che la ricchezza di specie aliene è più legata ai livelli storici dei fattori socioeconomici che a quelli contemporanei.
Secondo gli esperti, si possono usare i dati socioeconomici a partire dal 1900, piuttosto che dal 2000, per spiegare l'attuale ricchezza di specie alloctone. Alla ricerca ha partecipato un gruppo internazionale di 16 ricercatori provenienti da Italia (i biologi Piero Genovesi e Francesca Gherardi), Austria, Repubblica ceca, Francia, Germania, Nuova Zelanda, Spagna e Svizzera hanno offerto un grande contribuito allo studio.guidati da Stefan Dullinger, del dipartimento di Biologia della conservazione, della vegetazione e dell'ecologia del paesaggio dell'universität WienUniversity, e Franz Essl, dell'Umweltbundesamt, l'agenzia per l'ambiente austriaca.
La ricerca fa parte del progetto "Delivering alien invasive species inventories for Europe" (Daisie), finanziato con 2,4 milioni di euro dall'Unione europea nell'ambito dell'area tematica "Sviluppo sostenibile, cambiamento globale ed ecosistemi" del Sesto programma quadro (6° PQ) ed ha ricevuto anche un sostegno dal progetto "Challenges in assessing and forecasting biodiversity and ecosystem changes in Europe (Ecochange), che ha ottenuto 7 milioni di euro dal 6° PQ.
Dullinger ed Essl spiegano che «Recenti ricerche hanno dimostrato che le attività economiche sono tra le più importanti per determinare le invasioni biologiche, favorendo discussioni su appropriate strategie politiche per prevenire introduzioni non intenzionali, per esempio in termini di regolamentazione del commercio. Ma i frequenti ritardi tra la prima introduzione di una specie in un nuovo territorio e la sua stabilizzazione e diffusione suggeriscono che invasioni innescate dall'attuale comportamento economico potrebbero richiedere molto tempo per essere pienamente comprese, causando quello che i ricercatori chiamano "invasion debt"».
L'approccio storico di questo nuovo studio fornisce una prova esplicita di questo fenomeno. I ricercatori hanno selezionato tre fattori predittivi di attività socio-economiche legate alle invasioni: densità di popolazione umana, Pil pro capite e, come misura dell'intensità degli scambi (cioè l'apetura economica) la quota delle esportazioni del Pil, e hanno dimostrato che «L'attuale abbondanza di specie esotiche è spiegata meglio dai dati socio-economici dal 1900 al 2000. L'intensità del segnale storico varia tra i diversi gruppi tassonomici, con quelli che possiedono buone capacità di diffusione, come gli insetti e gli uccelli, che sono più fortemente legati ai recenti livelli dei driver socioeconomici. Tuttavia, i risultati suggeriscono una significativa eredità storica per la maggior parte delle specie analizzate».
Secondo Essl e Dullinger «L'ampia copertura tassonomica e geografica indica che un tale "invasion debt" è un fenomeno molto diffuso. Questa inerzia è preoccupante poiché implica che gli attuali maggiori livelli di attività socioeconomica probabilmente porteranno a livelli di invasione in continua crescita durante i prossimi decenni, persino se si riuscissero a ridurre le nuove introduzioni. Nel lungo periodo, un'identificazione più precisa e un migliore controllo dei percorsi di introduzione ad alto rischio e specifici per unità tassonomica, oltre a una generale riduzione della pressione del propagulo, saranno sicuramente fondamentali per gestire i problemi derivanti dalle invasioni biologiche. Tuttavia, i nostri risultati evidenziano che persino se si riuscissero a ridurre ulteriori introduzioni involontarie mediante queste iniziative in corso, gli impatti a medio termine delle specie alloctone sulla biodiversità e sull'economia potrebbero essere persino più gravi di quanto attualmente previsto».
Per questo, scrivono gli scienziati. «I semi dei problemi delle futura invasione sono già stati piantati», e prevedono che il problema delle specie invasive si aggraverà nei prossimi decenni. Secondo lo studio «Gli sforzi per controllare le specie invasive devono essere estesi non solo alle specie attualmente più dannose, ma anche con un allarme precoce ed una risposta rapida per le specie già presenti sul territorio che sono in grado di rappresentare la più grande minaccia per il futuro».
GreenReport - A dirlo è un nuovo studio, "Socioeconomic legacy yields an invasion debt", pubblicato su Proceedings of the national academy of sciences of the United States of America (Pnas), basato su dati completi di specie aliene di 10 gruppi tassonomici in 28 paesi europei, evidenziando degli schemi delle specie non-indigene insediate, che ha dimostrato che la ricchezza di specie aliene è più legata ai livelli storici dei fattori socioeconomici che a quelli contemporanei.
Secondo gli esperti, si possono usare i dati socioeconomici a partire dal 1900, piuttosto che dal 2000, per spiegare l'attuale ricchezza di specie alloctone. Alla ricerca ha partecipato un gruppo internazionale di 16 ricercatori provenienti da Italia (i biologi Piero Genovesi e Francesca Gherardi), Austria, Repubblica ceca, Francia, Germania, Nuova Zelanda, Spagna e Svizzera hanno offerto un grande contribuito allo studio.guidati da Stefan Dullinger, del dipartimento di Biologia della conservazione, della vegetazione e dell'ecologia del paesaggio dell'universität WienUniversity, e Franz Essl, dell'Umweltbundesamt, l'agenzia per l'ambiente austriaca.
La ricerca fa parte del progetto "Delivering alien invasive species inventories for Europe" (Daisie), finanziato con 2,4 milioni di euro dall'Unione europea nell'ambito dell'area tematica "Sviluppo sostenibile, cambiamento globale ed ecosistemi" del Sesto programma quadro (6° PQ) ed ha ricevuto anche un sostegno dal progetto "Challenges in assessing and forecasting biodiversity and ecosystem changes in Europe (Ecochange), che ha ottenuto 7 milioni di euro dal 6° PQ.
Dullinger ed Essl spiegano che «Recenti ricerche hanno dimostrato che le attività economiche sono tra le più importanti per determinare le invasioni biologiche, favorendo discussioni su appropriate strategie politiche per prevenire introduzioni non intenzionali, per esempio in termini di regolamentazione del commercio. Ma i frequenti ritardi tra la prima introduzione di una specie in un nuovo territorio e la sua stabilizzazione e diffusione suggeriscono che invasioni innescate dall'attuale comportamento economico potrebbero richiedere molto tempo per essere pienamente comprese, causando quello che i ricercatori chiamano "invasion debt"».
L'approccio storico di questo nuovo studio fornisce una prova esplicita di questo fenomeno. I ricercatori hanno selezionato tre fattori predittivi di attività socio-economiche legate alle invasioni: densità di popolazione umana, Pil pro capite e, come misura dell'intensità degli scambi (cioè l'apetura economica) la quota delle esportazioni del Pil, e hanno dimostrato che «L'attuale abbondanza di specie esotiche è spiegata meglio dai dati socio-economici dal 1900 al 2000. L'intensità del segnale storico varia tra i diversi gruppi tassonomici, con quelli che possiedono buone capacità di diffusione, come gli insetti e gli uccelli, che sono più fortemente legati ai recenti livelli dei driver socioeconomici. Tuttavia, i risultati suggeriscono una significativa eredità storica per la maggior parte delle specie analizzate».
Secondo Essl e Dullinger «L'ampia copertura tassonomica e geografica indica che un tale "invasion debt" è un fenomeno molto diffuso. Questa inerzia è preoccupante poiché implica che gli attuali maggiori livelli di attività socioeconomica probabilmente porteranno a livelli di invasione in continua crescita durante i prossimi decenni, persino se si riuscissero a ridurre le nuove introduzioni. Nel lungo periodo, un'identificazione più precisa e un migliore controllo dei percorsi di introduzione ad alto rischio e specifici per unità tassonomica, oltre a una generale riduzione della pressione del propagulo, saranno sicuramente fondamentali per gestire i problemi derivanti dalle invasioni biologiche. Tuttavia, i nostri risultati evidenziano che persino se si riuscissero a ridurre ulteriori introduzioni involontarie mediante queste iniziative in corso, gli impatti a medio termine delle specie alloctone sulla biodiversità e sull'economia potrebbero essere persino più gravi di quanto attualmente previsto».
Per questo, scrivono gli scienziati. «I semi dei problemi delle futura invasione sono già stati piantati», e prevedono che il problema delle specie invasive si aggraverà nei prossimi decenni. Secondo lo studio «Gli sforzi per controllare le specie invasive devono essere estesi non solo alle specie attualmente più dannose, ma anche con un allarme precoce ed una risposta rapida per le specie già presenti sul territorio che sono in grado di rappresentare la più grande minaccia per il futuro».
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