martedì, marzo 15, 2011
Il clown va in missione: intervista della nostra Monica Cardarelli a Sergio Procopio

Se è vero che il naso rosso del clown è la ‘maschera più piccola del mondo’, come è possibile che riesca a conferire a chi la indossa tutta questa forza, potenza, intensità? Come mai riesce a creare quel contatto con la parte più intima di noi stessi? Come fa a metterci in comunicazione con il lato più nascosto di noi facendoci scoprire aspetti della nostra personalità che non pensavamo neppure di avere? La meraviglia più grande avviene quando tutto ciò si realizza per primo nel clown, che poi lo comunica al pubblico. Il lavoro del clown richiede una grande disponibilità dell’attore a mettersi in gioco, a scoprirsi, a mettersi a nudo e a comunicare tutti i colori della vita, tutte le sfumature dell’uomo: dalla paura alla vergogna, dall’imbarazzo all’orgoglio, dall’ingenuità alla furbizia. Non si tratta però di rappresentare stati d’animo quanto piuttosto di viverli, scavando dentro di sé. Questo immenso e bellissimo lavoro presuppone un grande studio del proprio corpo e delle proprie emozioni.
Ne parliamo oggi con Sergio Procopio, clown e mimo che da anni ormai si dedica completamente solo a questa sua ‘vocazione’: portare un sorriso facendo pensare.

D.: Dalla tua biografia leggo che la passione per il clown è iniziata molto presto, addirittura all’età di 11 anni. In questo tuo percorso hai avuto dei maestri importanti quali Bano Ferrari e Carlo Rossi della Filarmonica Clown. Ci vuoi raccontare com’è andata?

R.: Mi sono ritrovato all’età di 11 anni senza la mamma e con un’assistente sociale molto decisa a mettermi in collegio. Da quel giorno il mio destino è cambiato; mi hanno messo in collegio dove ho incontrato per primo Don Vittorio Chiari e alcuni maestri molto particolari tra cui Bano Ferrari e Carlo Rossi, “professionisti Clown”. Mi sono piaciuti, mi hanno attratto con il loro naso rosso e come un topolino ho seguito il pifferaio magico, io che di fidarmi di qualcuno non se ne parlava neanche… tutti mi sembravano ostili, ma quel naso rosso e la loro voglia di sincerità mi hanno attratto…era toppo forte, è come l’amore che è più forte dell’odio.

D.: E com’è stato lavorare con loro?

R.: Il lavoro è ed è stato divertentissimo. Si è cominciato con l’apprendere i primi rudimenti della clownerie, tecniche, trucchi, cadute, sberle ecc... Poi abbiamo iniziato ad imbastire qualche scenetta tipicamente da clown fino a quando tra il puro divertimento siamo passati a gestire qualcosa di più di una semplice scenetta: uno spettacolo per intero. Il bello è stato che lo spettacolo è diventato educativo sia per l’italiano da apprendere sia per il rispetto per le persone…sì, perché attraverso questo abbiamo capito che ci sono delle regole e se non ci stai dietro ti fai male.

D.: Qual è stata la molla che ti ha fatto decidere di intraprendere questo percorso? Quando hai capito che questa sarebbe stata la tua strada anche professionalmente e cosa ti ha portato a questa convinzione?

R.: L’ho capito quando mi sono accorto che comunicavo il mio stato d’animo immediatamente e tutti ridevano. Io mi muovevo e loro ridevano, addirittura tossivano, e ovunque vado, che sia su un treno, sulle tavole di un palcoscenico in teatro, in palestra… ovunque vado riesco a comunicare, e quando abbiamo affrontato paesi stranieri era la stessa cosa. Allora ho deciso di farlo di mestiere, mi sono sentito dentro il mandato di far ridere gli altri, ma questo non bastava perché per farlo bene bisogna sapere di più. Perciò sono stato da clown famosi tra cui Pierre Bylan, clown svizzero, e Marcel Marceou, mimo francese, dopo di che ho preso questa decisione.

D.: Quanto è importante per te oggi, per la tua vita personale in famiglia con i figli o gli amici, il lavoro del clown?

R.: Oggi mi sono accorto che il bene che porto in giro in tutti i paesi dell’Italia e del mondo è importante non solo per me ma soprattutto per la mia famiglia, perche la mia famiglia cresce con il mio esempio, e io vedo che anche loro - “la mia famiglia” - vorrebbero fare lo stesso, e questo ci aiuta tutti.

D.: Riusciresti in poche parole a spiegarci perché ti affascina il mondo del clown?

R.: Il clown è rivelatore dei difetti dell’umanità, questo è sicuramente l’aspetto che mi piace di più e la cosa che mi affascina è mettere in pratica il difetto e farlo digerire al pubblico attraverso il riso e il sorriso, ovviamente accompagnato da creatività e improvvisazione, perché come diceva sempre il mio amico Don Chiari: ‘Non ho mai visto nessuno essere educato con una sberla’.

D.: Hai al tuo attivo diversi spettacoli. Come decidi il tema da affrontare e perché?

R.: Il tema da affrontare generalmente è dato dal pubblico stesso. In genere vengono, mi fanno i complimenti e, occasionalmente, qualcuno mi invita a bere, a mangiare qualcosa, e comincia a chiacchierare. Proprio in quel momento mi raccontano alcune cose della loro vita che non gli stanno bene, dandomi involontariamente spunti teatrali.

D: Puoi svelarci qualche ‘dietro le quinte’? Ad esempio, per mettere su uno spettacolo lavori con le improvvisazioni?

R.: Sì, si tratta sempre di improvvisazioni ma bisogna comunque seguire la traccia, l’idea e poi sdrammatizzare l’evento.

D.: Se non sbaglio, hai preparato anche un lavoro su san Francesco. Ne vuoi parlare agli amici de La Perfetta Letizia raccontandoci anche i motivi che ti hanno portato a questa scelta?

R.: Sì, abbiamo preparato uno spettacolo su San Francesco e il tutto ormai è pronto, presto lo porteremo in giro per l’Italia e altrove. La scelta di interpretare alcune letture di San Francesco e teatralizzarle è un progetto che da sempre sognavamo di realizzare. Solo che il mio clown generalmente non parla per un’ora e mezza di spettacolo e questo un po’ ci frenava. Poi finalmente dopo molti anni l’idea è arrivata, e ora possiamo parlare della vita di San Francesco senza dire una parola e portare lo spettacolo in tutto il mondo, perché la comunicazione non verbale non ha confini.

D.: Come è stato avvicinarsi ad una figura come quella di san Francesco attraverso un linguaggio clown, comico?

R.: Beh, credetemi, la vita di San Francesco ha talmente tante avventure semplici e cariche di spiritualità che abbiamo fatto fatica a scegliere molte cose da togliere dallo spettacolo, perché non ci sta dentro tutto. Pertanto abbiamo seguito poche cose, la semplicità, la castità, la carità e l’obbedienza e posso garantirvi che ci si diverte riflettendo moltissimo.

D.: Il clown nel suo spettacolo comunica con il pubblico che, più o meno coinvolto attivamente, ne fa parte. Senza la comunicazione diretta col pubblico il clown non avrebbe senso. Come vive il tuo clown questa relazione sempre nuova?

R.: Dal momento in cui entro in scena comunico con il pubblico e non lo lascio mai solo, anzi con lo sguardo lo porto sempre con me sulla scena, attraverso gli occhi lo interrogo e gli faccio sentire i miei sentimenti; io rido con loro come se quello che avviene in quel momento accade per la prima volta.

D.: I tuoi spettacoli sono rivolti a bambini e ragazzi o agli adulti?

R.: Il clown non è per bambini, il clown è per adulti. Se il clown è rivelatore dei difetti dell’umanità parla solo a chi sbaglia. I bambini sono piccoli e innocenti, loro si divertono per il fatto che sono un uomo buffo. Se dovessi preparare degli spettacoli solo per i bambini…li terrei bambini, ma siccome parlo agli adulti… i bambini possono crescere.

D.: Veniamo ora al mistero e alla grandezza della ‘maschera più piccola del mondo’. Da sempre il teatro, così come il mondo del clown teatrale, rappresenta uno strumento educativo e formativo importantissimo. Attraverso il gioco teatrale, come pure grazie alla disciplina del teatro, si può veramente lavorare in profondità e, basti pensare a Miloud e ai ragazzi di strada in Romania, il clown può davvero salvare tantissimi ragazzi. Non solo perché in questo modo gli viene offerta una possibilità diversa, una nuova alternativa, ma anche perché attraverso il clown si viene a conoscenza di ciò che siamo e per un adolescente un lavoro di questo tipo apre mondi infiniti e sconosciuti. Qual è la tua esperienza in tal senso?

R.: I giovani si fidano della tua anima sincera che scorre attraverso gli occhi, non è il naso rosso, sei tu… il clown non porta il naso rosso, il naso rosso è solo un passaggio, anche se è la maschera più piccola del mondo è l’ultima cosa che devi togliere prima che si veda il clown che è in te, perché il clown non è il naso rosso ma sei tu. Il clown è la capacità di portare il sorriso con lo specchio dell’anima, la potenza, l’intensità che si trasferisce è tanto grande quanto lo è la tua anima. Ogni tanto quando sono in giro vedo un sacco di persone solari che ti accorgi subito che sono buone e con loro si ha un approccio immediato e sincero “come succede con il clown”. Perciò chi ci mette in comunicazione sono gli occhi, non il naso rosso, la scelta di fare i clown o i donatori di noi stessi apre le porte alla nostra anima ed è quella che si vede…quella che vedono i giovani.
Miloud è uno che è sceso nei tombini e li ha aiutati ad uscire da lì. Quando una persona sceglie di aiutare i poveri non mette il naso rosso ma li aiuta lo stesso e i poveri lo ringraziano. Con me è successo la stessa cosa: il naso è una scintilla ma poi la fiamma deve ardere e qui entra la sincerità, la fiducia, e il voler bene…. perchè, come diceva il mio amico Don Chiari, ‘il bene che tu hai dato non va mai perso’.

D.: Dal tuo sito (www.sergioprocopio.it) si legge che hai portato i tuoi spettacoli in Germania, Francia, Spagna, Svizzera, ma anche in Madagascar, Etiopia e Sud America (Perù, Brasile e Equador). Ti sei recato anche nelle missioni, vero?

R.: Sì sono stato in moltissime missioni, come potete vedere dalle foto sul mio sito, ed è sempre stato così. Un missionario mi vede in giro e poi mi chiama e…io parto per qualsiasi località del mondo “così, molto semplicemente”.

D.: Riassumendo potremmo dire che il clown incarna vizi e virtù comuni alla gran parte di noi e che riesce a vivere e trasmettere la parte più intima di noi stessi…sempre con un sorriso o meglio, facendo ridere e allo stesso tempo, facendo pensare. Quanto è importante secondo te un sorriso, nel quotidiano? Mi riferisco ad un modo di rapportarsi nelle relazioni con gli altri che parta da un sorriso.

R.: È la cosa più importante del mondo. Quando penso a Dio, penso che mi stia guardando con un sorriso, quando guardo i miei figli li guardo con un sorriso, quando ricordo gli sguardi di mia madre la ricordo con un sorriso, quando mi ricordo di Don Chiari lo ricordo con un sorriso. Ecco quanto è importante il sorriso, mi spinge avanti con ottimismo e gioia per la vita.

E allora, con un sorriso salutiamo e ringraziamo Sergio Procopio, sperando di avere presto l’occasione di essere tra il suo pubblico.

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