Il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha consegnato questa mattina nelle mani del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, un Messaggio di augurio del Papa in occasione del 150.mo anniversario dell’unificazione politica dell’Italia. Questa una sintesi del Messaggio pontificio:
Radio Vaticana - Il Messaggio è una densa e ampia riflessione sul ruolo del cristianesimo e della Chiesa nella storia della nazione italiana. Il processo di unificazione politica nel XIX secolo è infatti lo sbocco della formazione di una identità nazionale a cui il cristianesimo ha contribuito in un modo fondamentale fin dal medioevo con l’educazione, le attività assistenziali, l’arte, la santità di personalità come San Francesco e Santa Caterina da Siena. Identità così profonda da persistere anche nel tempo della prolungata frammentazione geopolitica successiva.
Anche nel corso del Risorgimento, nonostante questo sia stato considerato spesso come moto contrario alla Chiesa e alla religione, non è mancato un importante contributo dei cattolici alla formazione dello Stato unitario, al “fare gli italiani”. Basti ricordare, fra gli altri, i nomi di Gioberti, Rosmini, Manzoni, Pellico e anche di un grande educatore come San Giovanni Bosco.
Il Papa non evita di affrontare il tema delicato della “Questione Romana” e dei suoi “effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani”, ma insiste che “nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale”, perché “l’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica”: nel corpo sociale “fede e cittadinanza non erano in conflitto”. Ne è riprova il fatto che la stessa “astensione dalla vita politica, seguente il ‘non expedit’, rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale” – educazione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale… - il cui frutto fu una società solidale e fortemente coesa.
La “Questione Romana” si delinea così come un caso particolare e complesso, un conflitto fra le Istituzioni Stato e Chiesa “tutto italiano”, per il fatto che solo l’Italia ospita la sede del Papato, e questo, dopo la fine dello Stato Pontificio, reclamava nel suo ordine piena libertà e sovranità. Di questo conflitto, d’altra parte, “la Santa Sede ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano”.
La Conciliazione, con la firma dei Patti lateranensi del 1929, apre per il papato una nuova e più feconda stagione di ministero universale, che il Cardinale Montini – il futuro Paolo VI -, parlando in Campidoglio il 10 ottobre 1962, descriveva con parole solenni: “così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai”.
Il Papa non manca poi di ricordare l’apporto fondamentale dei cattolici all’elaborazione della nuova Costituzione repubblicana del 1947, da cui prende avvio un impegno significativo dei cattolici nella vita politica, sindacale, economica, sociale del Paese con esempi luminosi di “assoluta fedeltà allo Stato” e di “dedizione al bene comune”, fino alla testimonianza del sangue negli anni del terrorismo. Il Papa ricorda qui con commozione i nomi di Moro e Bachelet. Quanto al contributo delle istituzioni della Chiesa al bene comune nel tempo del dopoguerra vengono messe in rilievo la formazione ai valori morali essenziali per la vita sociale democratica, giusta ed ordinata, e l’attenzione specifica agli emarginati e ai sofferenti. Non manca il ricordo dell’attenzione di Giovanni Paolo II per il bene del Paese, come nel caso della “grande preghiera per l’Italia” da lui indetta nel 1994.
La fase attuale dei rapporti fra Chiesa e Stato si apre con la firma dell’Accordo di revisione del Concordato nel 1984, che – come affermava Giovanni Paolo II - tiene conto della situazione odierna dell’Italia “caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali”, ma che intende favorire “la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria”. I principi che guidano le relazioni fra Chiesa e comunità politica sono quello della corretta distinzione degli ambiti e quello della collaborazione. Come ricorda il Concilio Vaticano II, ambedue sono infatti, “anche se a titolo diverso, al servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane”. In questa collaborazione, la Chiesa non solo offre un contributo alla società civile, ma riconosce di riceverne anche non poco aiuto, in tutto ciò che contribuisce al bene della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale nazionale e internazionale.
Il Messaggio del Papa si conclude appunto con uno sguardo grato per il modo in cui nel corso della storia la nazione italiana ha vissuto – come “onere” e “privilegio” insieme - la situazione particolare di ospitare a Roma la sede del Successore di Pietro, centro della cristianità. La comunità nazionale ha risposto a questa situazione con vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla Sede apostolica perché potesse svolgere la sua missione spirituale a Roma, in Italia e nel mondo. Anche lo Stato italiano ha offerto e offre alla Santa Sede una collaborazione preziosa, ricambiata da sincera gratitudine.
L’ultima frase esprime il pensiero benedicente del Papa, la sua invocazione perché il popolo italiano sia sempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di impegno per la libertà, la giustizia e la pace.
Radio Vaticana - Il Messaggio è una densa e ampia riflessione sul ruolo del cristianesimo e della Chiesa nella storia della nazione italiana. Il processo di unificazione politica nel XIX secolo è infatti lo sbocco della formazione di una identità nazionale a cui il cristianesimo ha contribuito in un modo fondamentale fin dal medioevo con l’educazione, le attività assistenziali, l’arte, la santità di personalità come San Francesco e Santa Caterina da Siena. Identità così profonda da persistere anche nel tempo della prolungata frammentazione geopolitica successiva.
Anche nel corso del Risorgimento, nonostante questo sia stato considerato spesso come moto contrario alla Chiesa e alla religione, non è mancato un importante contributo dei cattolici alla formazione dello Stato unitario, al “fare gli italiani”. Basti ricordare, fra gli altri, i nomi di Gioberti, Rosmini, Manzoni, Pellico e anche di un grande educatore come San Giovanni Bosco.
Il Papa non evita di affrontare il tema delicato della “Questione Romana” e dei suoi “effetti dilaceranti nella coscienza individuale e collettiva dei cattolici italiani”, ma insiste che “nessun conflitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale”, perché “l’identità nazionale degli italiani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in verità la base più solida della conquistata unità politica”: nel corpo sociale “fede e cittadinanza non erano in conflitto”. Ne è riprova il fatto che la stessa “astensione dalla vita politica, seguente il ‘non expedit’, rivolse le realtà del mondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel sociale” – educazione, assistenza, sanità, cooperazione, economia sociale… - il cui frutto fu una società solidale e fortemente coesa.
La “Questione Romana” si delinea così come un caso particolare e complesso, un conflitto fra le Istituzioni Stato e Chiesa “tutto italiano”, per il fatto che solo l’Italia ospita la sede del Papato, e questo, dopo la fine dello Stato Pontificio, reclamava nel suo ordine piena libertà e sovranità. Di questo conflitto, d’altra parte, “la Santa Sede ha sempre rifiutato la possibilità di una soluzione attraverso imposizioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nel senso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano”.
La Conciliazione, con la firma dei Patti lateranensi del 1929, apre per il papato una nuova e più feconda stagione di ministero universale, che il Cardinale Montini – il futuro Paolo VI -, parlando in Campidoglio il 10 ottobre 1962, descriveva con parole solenni: “così da salire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mondo, come prima non mai”.
Il Papa non manca poi di ricordare l’apporto fondamentale dei cattolici all’elaborazione della nuova Costituzione repubblicana del 1947, da cui prende avvio un impegno significativo dei cattolici nella vita politica, sindacale, economica, sociale del Paese con esempi luminosi di “assoluta fedeltà allo Stato” e di “dedizione al bene comune”, fino alla testimonianza del sangue negli anni del terrorismo. Il Papa ricorda qui con commozione i nomi di Moro e Bachelet. Quanto al contributo delle istituzioni della Chiesa al bene comune nel tempo del dopoguerra vengono messe in rilievo la formazione ai valori morali essenziali per la vita sociale democratica, giusta ed ordinata, e l’attenzione specifica agli emarginati e ai sofferenti. Non manca il ricordo dell’attenzione di Giovanni Paolo II per il bene del Paese, come nel caso della “grande preghiera per l’Italia” da lui indetta nel 1994.
La fase attuale dei rapporti fra Chiesa e Stato si apre con la firma dell’Accordo di revisione del Concordato nel 1984, che – come affermava Giovanni Paolo II - tiene conto della situazione odierna dell’Italia “caratterizzata dalla libera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle diverse componenti sociali”, ma che intende favorire “la profonda unità di ideali e di sentimenti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Patria”. I principi che guidano le relazioni fra Chiesa e comunità politica sono quello della corretta distinzione degli ambiti e quello della collaborazione. Come ricorda il Concilio Vaticano II, ambedue sono infatti, “anche se a titolo diverso, al servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane”. In questa collaborazione, la Chiesa non solo offre un contributo alla società civile, ma riconosce di riceverne anche non poco aiuto, in tutto ciò che contribuisce al bene della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale nazionale e internazionale.
Il Messaggio del Papa si conclude appunto con uno sguardo grato per il modo in cui nel corso della storia la nazione italiana ha vissuto – come “onere” e “privilegio” insieme - la situazione particolare di ospitare a Roma la sede del Successore di Pietro, centro della cristianità. La comunità nazionale ha risposto a questa situazione con vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla Sede apostolica perché potesse svolgere la sua missione spirituale a Roma, in Italia e nel mondo. Anche lo Stato italiano ha offerto e offre alla Santa Sede una collaborazione preziosa, ricambiata da sincera gratitudine.
L’ultima frase esprime il pensiero benedicente del Papa, la sua invocazione perché il popolo italiano sia sempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di impegno per la libertà, la giustizia e la pace.
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