giovedì, marzo 17, 2011
della nostra corrispondente a Roma Monica Cardarelli

In occasione della festa nazionale del 17 marzo, i Frati della comunità francescana del Sacro Convento di Assisi, provenienti da 20 nazioni, hanno presentato una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo di dedicare simbolicamente tale festa ai giovani, sia quelli che negli anni hanno dato la vita per l’unità d’Italia, sia quelli che oggi si trovano a fare i conti con le crisi attuali e, nel giorno dedicato alla Festa Nazionale, si riuniranno in preghiera sulla tomba di San Francesco. In questo testo, inoltre, i Frati rammentano l’importanza della consapevolezza delle proprie radici, di quel ‘fare memoria’ che non deve mai essere dimenticato perché “senza la consapevolezza delle nostre radici, non solo cristiane ma di popolo italiano, fondato su tanti giovani che per questa unità hanno donato la vita, saremmo come alberi portati via dal vento.”

E, a proposito dell’unità d’Italia, va ricordato come anche nel mondo cattolico ci sia stato un movimento di pensiero e di cultura che ha contribuito alla costituzione dell’unità nazionale. Basti pensare a San Francesco, Patrono d’Italia… “Ma cosa c’entra San Francesco con l’unità d’Italia?”, potrebbe chiedere un giovane studente.
Innanzitutto, ci piace ricordare come san Francesco abbia creduto e vissuto valori quali la pace, la giustizia, la fratellanza o l’uguaglianza che sono valori universali. Si può trovare, cioè, un filo conduttore che da Francesco ad oggi ha raccordato e unito un intero paese, e questo legame è costituito dai valori che hanno portato all’unità d’Italia.
Ad esempio, ripensando ad alcuni episodi della vita del santo, si potrebbe rispondere che san Francesco ha percorso in lungo e in largo il paese, spingendosi anche oltre i confini della sua città e giungendo addirittura in Marocco o in Turchia, perché per lui non esistevano confini territoriali e soprattutto differenze tra gli uomini, o i fratelli, come li chiamava.

Poi potremmo dire che dovunque andasse si proponeva sempre in modo umile, mite e pacifico. Addirittura il suo saluto era “Il Signore ti dia pace!” e in seguito i suoi Frati saluteranno con l’augurio “Pace e bene!”. La pace era, ai tempi di Francesco e lo è ancora oggi, un valore fondamentale per la civile convivenza. Ma domandiamoci anche di quale pace si trattasse, se cioè Francesco si riferisse solo all’assenza di conflitti o, piuttosto, ad una pace interiore, con Dio e con gli altri.

Addirittura Francesco veniva spesso chiamato a portare pace laddove non c’era, come ad esempio a Gubbio quando gli abitanti chiamano proprio lui per cacciare il lupo (o un brigante malintenzionato, affamato e senza un soldo) che spargeva il terrore tra la gente. In quel caso però Francesco non caccia via il lupo ma, dopo aver ascoltato le motivazioni di entrambe le parti, trova il motivo della violenza del lupo: la fame. A quel punto chiede agli abitanti di Gubbio di dargli da mangiare e al lupo di non essere più aggressivo.

A pensarci bene è un piccolo esempio di diplomazia che parte dall’ascolto delle necessità dell’altro e va oltre le apparenze. È un’attenzione, quella di Francesco, diretta alla persona, chiunque essa sia. Anzi, un’attenzione alla creatura, sia essa persona, animale o espressione della natura, del creato. Il Cantico delle Creature di San Francesco resta una delle espressioni più alte nella lode a Dio e nel sentirsi creatura tra le creature. Così come il sentirsi fratelli, senza differenze alcune, né poveri né ricchi, né sciocchi né intelligenti, né bianchi né neri.

Si può dire che in Francesco si possono individuare due binomi: pace e libertà e giustizia e carità. Perché per portare ed augurare la pace, per essere realmente uomini di pace, è necessaria la libertà. La libertà di andare, di non avere limiti né confini.
Il binomio giustizia e carità ha a che vedere con la ricchezza e la povertà. Infatti, la prima scelta compiuta da Francesco e Chiara è stato un atto di giustizia. Francesco ha venduto i beni del padre e Chiara la sua parte di eredità e il ricavato lo hanno distribuito tra i poveri. Ma questo non per compiere un gesto di bontà o di carità. Non è stata un’elemosina, la loro. Erano fermamente convinti che così facendo compivano un atto di giustizia restituendo a chi non aveva avuto dei beni che erano di tutti.

Ricorderei al nostro giovane studente che l’epoca in cui hanno vissuto Francesco e Chiara è il Medioevo, siamo ai primi decenni del 1200. Proprio quest’anno infatti, nel 2011, si celebra l’anniversario clariano degli 800 anni dalla ‘consacrazione’ di Chiara, la notte della domenica delle Palme del 1211 nella chiesetta della Porziuncola. Nonostante la vita claustrale, Chiara manifesterà sempre una grande attenzione alle Sorelle e ai fratelli in Dio fuori dal Monastero di San Damiano, proprio come san Francesco nei suoi pellegrinaggi sui sentieri del nostro Paese.

Aveva particolarmente a cuore la sua gente di Assisi; numerosi i miracoli da lei compiuti in vita per la sua città. La fama della sua vita semplice, povera e sincera era ben nota al Papa, al Cardinal Ugolino, era giunta perfino in Belgio e a Praga dove Agnese, figlia del re di Boemia Ottocaro e promessa sposa dell’Imperatore Federico II, seguì il suo esempio. Non solo la fama ma soprattutto l’affetto e la preghiera di Chiara giungeranno ovunque e si irradieranno oltrepassando le mura del convento. Come se la clausura per lei non fosse più un limite, una chiusura, ma un modo per aprirsi al mondo e alle relazioni profonde, partendo dalla relazione principale, quella con Dio nella preghiera. Chiara è la prima donna della storia della Chiesa a scrivere una Regola per le donne: una donna di pace e di libertà, di giustizia e carità.

Ecco, forse risponderei così al giovane studente e lascerei a lui la curiosità di ritrovare in queste righe alcuni dei valori che sono alla base della nostra Costituzione, scoprendo in questo modo che i valori cristiani sono valori universali e che nei secoli sono stati vissuti e tramandati dai giovani di allora e da tanta, tanta gente comune di buona volontà che ci ha creduto fino in fondo, fino a dare la vita per la Patria e per l’unità del nostro Paese.

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