della nostra Federica Scorpo
Che la vita dell’essere umano ruoti intorno alla ricerca della felicità è un tema antico quanto il mondo. Riflettere poi su cosa siano felicità e infelicità è forse un primo passo per avere una maggiore consapevolezza sull’uomo stesso. Entrambe fanno parte della vita, entrambe costituiscono l’essenza del nostro essere “umani”. Non può esserci l’una senza l’altra, come due facce della stessa moneta, con un’unica differenza: la felicità sembra durare pochi istanti, l’infelicità sembra eterna e invincibile.
L’esistenza umana sembra basarsi su un punto fondamentale: non soffrire. La sofferenza, tuttavia, è intrinseca all’esistenza e non le si può scappare.
Dalla letteratura fino al cinema, quest’argomento sembra essere uno dei più gettonati e coinvolgenti, fino a cercare di rispondere alla domanda esistenziale per eccellenza: come essere felici?
L’infelicità sembra ormai essere la condizione più diffusa: ne esiste una relativa agli eventi e una che viene da dentro senza una ragione. A quest’ultima sono dedicate tantissime ricerche scientifiche che cercano d’individuarne le cause e capire se addirittura ci possa essere un gene alla base dell’infelicità umana. Secondo il genetista Edoardo Boncinelli, interrogato dalla giornalista del blog La27ora Daniela Monti (Corriere della Sera) sul suo libro “Perché siamo infelici”, ha proposto un decalogo per spiegare l’infelicità:
1) L’infelicità non è un accidente, è un destino
2) Tutti gli uomini sono infelici
3) C’è chi se ne ricorda sempre, in ciascun istante della propria vita, e chi riesce a dimenticarsene, a intervalli più o meno lunghi
4) Come reazione a uno stato d’infelicità e di prostrazione il cervello produce sostanze consolatorie, spesso proteine, che hanno lo scopo di riportare equilibro. Queste sostanze confluiscono nel circuito della dopamina, o circuito della soddisfazione del desiderio. Il circuito non lavora con la stessa efficacia in tutti gli uomini. Il perché è ancora senza risposta
5) L’infelicità ci duole, ma ci spinge. Così come uno stato di moderata soddisfazione, seppure intermittente, è funzionale alla nostra capacità di affrontare le vicissitudini della vita, che non sono tutte invariabilmente positive, così la infelicità è un rinforzo di motivazione. Il suo ruolo fisiologico, quindi evolutivo, è innegabile
6) Esistono due tipi d’infelicità: quella che ha un motivo reale e quella che non ha alcun motivo. La prima ci accomuna con gli animali, la seconda non ha alcun antefatto evolutivo: è “tutta nostra”
7) Non esiste né esisterà mai un gene della infelicità (o della felicità). Piuttosto quindicimila, ventimila geni. In seicento milioni di anni di evoluzione dei vertebrati, la natura ha imparato questo: le funzioni più importanti per la vita è bene distribuirle su un imponente “parco geni” altrimenti chi nasce con il gene “sbagliato” finisce subito in fuorigioco
8) L’infelicità è frutto della ragione e della capacità di ricordare: deriva dal confronto fra obiettivi e raggiungimenti
9) Il contraltare dell’infelicità è lo spirito vitale, l’attaccamento alla vita. Non c’è nessun motivo razionale per vivere: la ragione ci aiuta, ma non ci motiva a vivere. Noi viviamo perché siamo animali e il perseguimento della sopravvivenza è il primo e ultimo obiettivo reale, anche se generalmente inconsapevole, di ogni essere vivente
10) Che l’evoluzione biologica possa cambiare questo stato di cose è altamente improbabile: se ne riparlerà fra centinaia di migliaia di anni. Nel frattempo, più che la medicina possono le “droghe sociali”. Come diceva Ortega y Gasset: “nessuno, se totalmente assorbito in un’occupazione, può sentirsi infelice.
Secondo il genetista non esiste un gene dell’infelicità ma probabilmente modelli di vita e di pensiero che ci allontanano dalla direzione della vera felicità.
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