Prosegue su La Perfetta Letizia il ciclo di articoli su Giovanni Paolo II. Il nostro Carlo Mafera ci parla della figura paterna del papa polacco...
Mi sono sempre chiesto perché tanta gente (migliaia di persone e soprattutto di giovani) sia accorsa al funerale di Giovanni Paolo II. Ora mi chiedo perché altrettante ne accorrerà alla sua beatificazione. La risposta non è semplicemente riconducibile al suo grande carisma e alla sua santità. C’è una ragione intrinseca alla società stessa: la nostra è infatti una grande famiglia priva della figura paterna. Da qualche decennio abbiamo “ucciso” il padre e lo abbiamo estromesso dalla nostra vita. Ma ciò che abbiamo buttato dalla finestra si è ripresentato prepotentemente dalla porta.
Ecco spiegata questa folle oceanica alla ricerca del Padre.
Potrebbe essere una spiegazione semplicistica secondo qualcuno, invece si tratta proprio di questo e molte ricerche sociologiche lo confermano. Giovanni Paolo II ha incarnato in sé in modo sublime, nel suo comportamento e nei suoi scritti, questo ruolo paterno. Così facendo ha attratto a sé milioni di persone, soprattutto giovani, “orfani” di un padre e in particolare di un padre spirituale che fosse per loro una guida.
Basta estrapolare qualche passo della sua enciclica “Dives in misericordia” del 1983 per comprendere quanto Giovanni Paolo II avesse a cuore il tema della paternità. La suddetta enciclica recita al n.6 che l’essenza della paternità è nell’amore che “obbliga in un certo senso il padre ad avere sollecitudine della dignità del figlio. Questa sollecitudine costituisce la misura del suo amore”.
In un’altra enciclica, la “Redemptoris Custos”, Giovanni Paolo II fa riferimento alla figura paterna per eccellenza: San Giuseppe. I connotati più significativi messi in evidenza sul padre putativo di Gesù sono: protezione, autorità (autorevolezza), servizio, oblazione di sé. In tale contesto il figlio riscopre il senso profondo dell’esistenza nell’essenzialità della norma paterna. Riflesso della paternità di Dio, il padre terreno fa sperimentare al figlio il cammino verso la verità e la meraviglia della vita terrena. Il figlio, a sua volta, scopre la libertà e la consapevolezza di poter percorrere un itinerario del tutto personale. Il padre quindi diventa garante del futuro del figlio proiettandolo verso la speranza e verso le migliori aspettative.
La funzione del padre, nel magistero di Giovanni Paolo II, diventa sublime quando coniuga affetto e tenerezza con autorità e normatività (che è in fondo l’autorevolezza). Ciò prefigura e riconduce alla relazione con Dio-Padre, trasfigurando quindi la sua dimensione meramente umana.
Giovanni Paolo II non soltanto ha predicato queste cose ma le ha realizzate pienamente nella sua vita, e per questo domenica 1° maggio tutti noi suoi “figli” spirituali accorreremo alla sua beatificazione, personalmente o virtualmente, per incontrare un Padre che ci manca molto.
Mi sono sempre chiesto perché tanta gente (migliaia di persone e soprattutto di giovani) sia accorsa al funerale di Giovanni Paolo II. Ora mi chiedo perché altrettante ne accorrerà alla sua beatificazione. La risposta non è semplicemente riconducibile al suo grande carisma e alla sua santità. C’è una ragione intrinseca alla società stessa: la nostra è infatti una grande famiglia priva della figura paterna. Da qualche decennio abbiamo “ucciso” il padre e lo abbiamo estromesso dalla nostra vita. Ma ciò che abbiamo buttato dalla finestra si è ripresentato prepotentemente dalla porta.
Ecco spiegata questa folle oceanica alla ricerca del Padre.
Potrebbe essere una spiegazione semplicistica secondo qualcuno, invece si tratta proprio di questo e molte ricerche sociologiche lo confermano. Giovanni Paolo II ha incarnato in sé in modo sublime, nel suo comportamento e nei suoi scritti, questo ruolo paterno. Così facendo ha attratto a sé milioni di persone, soprattutto giovani, “orfani” di un padre e in particolare di un padre spirituale che fosse per loro una guida.
Basta estrapolare qualche passo della sua enciclica “Dives in misericordia” del 1983 per comprendere quanto Giovanni Paolo II avesse a cuore il tema della paternità. La suddetta enciclica recita al n.6 che l’essenza della paternità è nell’amore che “obbliga in un certo senso il padre ad avere sollecitudine della dignità del figlio. Questa sollecitudine costituisce la misura del suo amore”.
In un’altra enciclica, la “Redemptoris Custos”, Giovanni Paolo II fa riferimento alla figura paterna per eccellenza: San Giuseppe. I connotati più significativi messi in evidenza sul padre putativo di Gesù sono: protezione, autorità (autorevolezza), servizio, oblazione di sé. In tale contesto il figlio riscopre il senso profondo dell’esistenza nell’essenzialità della norma paterna. Riflesso della paternità di Dio, il padre terreno fa sperimentare al figlio il cammino verso la verità e la meraviglia della vita terrena. Il figlio, a sua volta, scopre la libertà e la consapevolezza di poter percorrere un itinerario del tutto personale. Il padre quindi diventa garante del futuro del figlio proiettandolo verso la speranza e verso le migliori aspettative.
La funzione del padre, nel magistero di Giovanni Paolo II, diventa sublime quando coniuga affetto e tenerezza con autorità e normatività (che è in fondo l’autorevolezza). Ciò prefigura e riconduce alla relazione con Dio-Padre, trasfigurando quindi la sua dimensione meramente umana.
Giovanni Paolo II non soltanto ha predicato queste cose ma le ha realizzate pienamente nella sua vita, e per questo domenica 1° maggio tutti noi suoi “figli” spirituali accorreremo alla sua beatificazione, personalmente o virtualmente, per incontrare un Padre che ci manca molto.
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