Dal nostro corrispondente a Londra Renato Zilio
Con una gioia segreta si mettono a preparare il giovedi santo, da vivere insieme, naturalmente, come ogni anno. La comunità filippina fa le prove di canto. Melodie ispirate al loro oceano, sciolte e cantate in tagalog. La comunità portoghese - che proviene in buona parte dall’isola di Madeira - prepara i simboli, i gesti e gli oggetti liturgici. E quella italiana, arrivata qui già quaranta e più anni fa, i testi e le letture. Febbrilità e entusiasmo nelle tre comunità della parrocchia di Brixton Road si toccano con mano. Come sempre, la celebrazione sarà un mosaico di volti, di ritmi e di gusti differenti composti in armonia. Sarà, in fondo, un vero servizio all’unità. Alla comunione. Quella che fa esaltare le differenze e valorizza l’originalità di ognuno. Sarà l’eucarestia del servizio. Nel cuore della celebrazione, un gesto memorabile: la lavanda dei piedi.
Già quattro ragazze filippine, due coppie italiane e quattro bambini portoghesi attendono questo istante. Ricordano quando Lui, per l’ultima volta, raccolse i suoi discepoli e si abbassò davanti a loro per lavare i piedi ad ognuno. E dopo averli lavati, vi stampava un bacio… piedi benedetti! Avrebbero camminato nel mondo chissà quanto per annunciare che Colui, che moriva davanti ai loro occhi, era ancora vivo. Invisibile, in mezzo ai suoi discepoli. In mezzo all’umanità, come Colui che serve.
Per la nostra comunità, in fondo, è la sua stessa vita che celebra: servire. Questa, infatti, è l’unica parola che riassume l’esistenza di un migrante. Vivere, così, a servizio di una società che cresce attraverso e sopra di lui. Le filippine – per lo più a servizio in famiglie inglesi - vi spendono le doti di attenzione e di tenerezza, che non possono dare alla loro famiglia. Gli italiani, in terra inglese investiti sono da sempre nell’arte della ristorazione, anche quando parli con loro riscontri atteggiamenti di servizio e di delicatezza, che ti fanno capire quanto un lavoro forgia un carattere. Rinunciando, poi, a tante cose i nostri migranti vivono interamente a servizio dei loro figli. Questo è il loro vero futuro. Tutto perchè i figli non conoscano le loro stesse umiliazioni, le loro tristi disavventure. Ma sono a servizio anche delle famiglie lontane, nel paese di origine, dove contribuiscono per quanto possono alla loro povera economia.
L’ultimo gesto del Signore - abbassarsi per lavare i piedi agli altri - è un insegnamento senza pari anche per un leader. E ripenso al tormento qui di un parroco per trovare il giusto modo di far crescere i suoi animatori o i collaboratori e far loro esprimere il meglio di sè. Uno spirito di servizio teso ad esaltare l’altro, preoccupato della sua piena realizzazione. Non tanto a dominarlo o a farne un pezzo di una struttura. Piuttosto, un anello importante di una relazione di servizio. Oppure ricordo l’arrivo di un nuovo pastore in una comunità vicina. La sua prima preoccupazione: conoscere la realtà affidatagli, cioè le attese, le angosce e le speranze di tutta una comunità umana, anche dei lontani. Come pure la qualità di lavoro, i giovani, l’economia locale... per mettersi a servizio di tutti. Pareva avesse ricevuto la missione non tanto di servire la Chiesa, ma nella Chiesa di servire il mondo.
Servire diventa, pure, una nuova norma di grandezza. Martin Luther King esclamava, allora: “Se vuoi essere importante,bellissimo! Se vuoi essere grande, straordinario! Ma dovrai riconoscere che chi è grande in mezzo a voi sarà il vostro servitore. Questa è la nuova definizione di grandezza... e con questo significa che ognuno può essere grande. Ognuno può servire. Non serve avere un diploma per servire. Basta solo un cuore pieno di grazia e un’anima frutto dell’amore. E puoi essere questo servitore”.“Un ruolo sempre difficile” mi commenta Matteo, un giovane spirituale, motivato, all’estero già da tanti anni. E me lo spiega come dovuto al ruolo sempre centrale del sacerdote in Italia e al valore marginale della comunità, dei laici. “All’estero - aggiunge - le comunità cristiane le ho trovate invece più solide, mature, responsabili”.
Visitando più volte la Chiesa del Maghreb immersa nel mondo musulmano, la vedevo consumarsi di impegno nel campo della sanità, dell’educazione, nei progetti di sviluppo, in un servizio a un popolo totalmente differente. Vivere evangelicamente, così, come il sale della terra e come il lievito del mondo. Una presenza umile, orante e fraterna con uomini e donne di un’altra cultura, di un’altra religione. E tutto perchè crescano in umanità nella loro differenza. Ammiravo il volto di questa Chiesa minoritaria - piccole comunità cristiane sparse come oasi in terra d’Islam - che ha perduto ogni traccia di onnipotenza.
Visitavo ultimamente una parrocchia veneta e ne ammiravo la chiesa e tante altre cose belle. L’aspetto estetico era una preoccupazione costante - tutto deve essere bello! - oltre che un... appello finanziario assillante al popolo di Dio. E qualcuno mi mostrava con orgoglio il restauro di un pezzo di edificio o la costruzione di un locale, quasi fossero una bella immagine di sè. Dimenticando, forse, le persone, le attese profonde della gente, i problemi che attanagliano i giovani, gli stranieri arrivati in paese, i valori perduti o i disvalori che imperversano...
All’eucarestia del giovedi santo, le nostre comunità di migranti, nella loro lingua e a loro modo, ma con la stessa forza del Cristo, mi ricorderanno che lo spirito di servizio è l’anima della Chiesa. Ma se la perdesse, poi, che cosa mai le resterebbe?!
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