Ogni volta che nuovi migranti sbarcano in Italia, cercando rifugio o lavoro in Europa, si torna a discutere di come sorvegliare meglio i confini dell’Unione. E ogni volta i politici di turno auspicano e promettono tra l’altro un maggiore impegno di Frontex, cioè dell’Agenzia europea per la cooperazione operativa alle frontiere.
Ormai il collegamento sembra essere fisso: l'arrivo di migranti e di richiedenti asilo non provoca riflessioni sulle politiche migratorie e di asilo, o sulle relazioni internazionali e gli squilibri economici mondiali che spingono molti ad emigrare, bensì un aumento sempre più spropositato del bilancio di Frontex (6.280.202 Euro nel 2005; 87.917.000 Euro nel 2010). Questa agenzia è stata istituita con un regolamento europeo nel 2004. Ben presto, dopo l’operazione “Hera” del 2006 - con la quale vennero intercettate in mare aperto e di fronte alle coste africane diverse imbarcazioni con migranti a bordo e puntualmente respinte nei porti di partenza - numerose organizzazioni umanitarie, e non solo, iniziarono a manifestare perplessità, a criticare l’operato di Frontex e ad auspicare un maggiore controllo giuridico-parlamentare dello stesso. Il tutto però con scarso successo.
Frontex, che ha soprattutto il compito di organizzare operazioni comuni con le polizie di frontiera dei vari stati europei, di definire standard per la formazione degli agenti di polizia e di redigere analisi di rischio e raccomandazioni riguardo il controllo delle frontiere stesse e quindi della pressione migratoria, è stata concepita e presentata come una commissione di esperti, che regola dettagli tecnici ed attua la politica già scelta dall’Unione Europea. In realtà, questa agenzia è divenuta sempre più importante proprio perché, non riuscendo l’UE a delineare politiche migratorie coordinate e sensate, ci si è concentrati esclusivamente sul respingimento di chiunque cerchi di raggiungere l’Europa senza un valido permesso di soggiorno. Le azioni di Frontex si basano tra l’altro su cosiddette analisi di rischio, redatte dall’agenzia stessa. Posto che “rischio” non significa reale pericolo ma possibile futuro pericolo, Frontex ha il compito di prevedere da dove potrebbero principalmente arrivare i migranti e di prevenire questa eventualità: valutazioni difficili da realizzare in modo obbiettivo. Apparentemente deputata al solo coordinamento dei controlli questa agenzia è diventata così occasione, strumento e simbolo per promuovere perlopiù una politica migratoria che si risolve in una politica di sicurezza, così come suggerisce Katrin de Boer, dell’Università di Marburg in una sua analisi intitolata “Frontex: l’interlocutore sbagliato per una questione importante”. In quanto organo non politico Frontex risulta impermeabile alle obiezioni di coloro che propongono una politica migratoria e dell’asilo diversa. Contemporaneamente la politica europea - concentrando l’attenzione su rischi definiti tali a partire da una concezione di regolamentazione dell’immigrazione del tutto discutibile - evita un dibattito politico più serio sulla questione. Tanti investimenti solo per il controllo delle frontiere segnalano l’assenza di una visione globale, di una proposta politica complessiva riguardo i movimenti migratori. Senza un tale progetto ogni misura è paragonabile al lavoro di un manovale che costruisca pareti senza disporre di alcuna planimetria. Solo sottraendosi al duplice inganno di considerare le migrazioni una questione di pubblica in-sicurezza e di pensare il confine come luogo adatto per affrontarle, si può cominciare a vedere più chiaramente la complessità del fenomeno e fare spazio alla promozione di politiche un po’ più lungimiranti ed efficienti, oltre che più rispettose della dignità di chi emigra e di chi accoglie. Come indica un appello rivolto da diverse ONG alle istituzioni europee, sono necessari e auspicabili un serio impegno della diplomazia europea per il rispetto delle aspirazioni democratiche dei paesi del Nordafrica (e non solo), l’introduzione a livello europeo di un permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, l’assicurazione del rispetto da parte di Frontex dei diritti umani, l’adozione di una coerente politica di accoglienza dei richiedenti asilo, il rilancio di una politica europea di aiuti, finalizzati allo sviluppo agricolo, alla gestione comune di acqua ed energie alternative e all’integrazione economica e politica dei paesi in via di sviluppo… La politica sembra intrappolata in un vicolo cieco, ma chi non rimane prigioniero dei propri confini, scopre altre vie concrete e percorribili, che proposte e promosse possono fare la differenza.
Ormai il collegamento sembra essere fisso: l'arrivo di migranti e di richiedenti asilo non provoca riflessioni sulle politiche migratorie e di asilo, o sulle relazioni internazionali e gli squilibri economici mondiali che spingono molti ad emigrare, bensì un aumento sempre più spropositato del bilancio di Frontex (6.280.202 Euro nel 2005; 87.917.000 Euro nel 2010). Questa agenzia è stata istituita con un regolamento europeo nel 2004. Ben presto, dopo l’operazione “Hera” del 2006 - con la quale vennero intercettate in mare aperto e di fronte alle coste africane diverse imbarcazioni con migranti a bordo e puntualmente respinte nei porti di partenza - numerose organizzazioni umanitarie, e non solo, iniziarono a manifestare perplessità, a criticare l’operato di Frontex e ad auspicare un maggiore controllo giuridico-parlamentare dello stesso. Il tutto però con scarso successo.
Frontex, che ha soprattutto il compito di organizzare operazioni comuni con le polizie di frontiera dei vari stati europei, di definire standard per la formazione degli agenti di polizia e di redigere analisi di rischio e raccomandazioni riguardo il controllo delle frontiere stesse e quindi della pressione migratoria, è stata concepita e presentata come una commissione di esperti, che regola dettagli tecnici ed attua la politica già scelta dall’Unione Europea. In realtà, questa agenzia è divenuta sempre più importante proprio perché, non riuscendo l’UE a delineare politiche migratorie coordinate e sensate, ci si è concentrati esclusivamente sul respingimento di chiunque cerchi di raggiungere l’Europa senza un valido permesso di soggiorno. Le azioni di Frontex si basano tra l’altro su cosiddette analisi di rischio, redatte dall’agenzia stessa. Posto che “rischio” non significa reale pericolo ma possibile futuro pericolo, Frontex ha il compito di prevedere da dove potrebbero principalmente arrivare i migranti e di prevenire questa eventualità: valutazioni difficili da realizzare in modo obbiettivo. Apparentemente deputata al solo coordinamento dei controlli questa agenzia è diventata così occasione, strumento e simbolo per promuovere perlopiù una politica migratoria che si risolve in una politica di sicurezza, così come suggerisce Katrin de Boer, dell’Università di Marburg in una sua analisi intitolata “Frontex: l’interlocutore sbagliato per una questione importante”. In quanto organo non politico Frontex risulta impermeabile alle obiezioni di coloro che propongono una politica migratoria e dell’asilo diversa. Contemporaneamente la politica europea - concentrando l’attenzione su rischi definiti tali a partire da una concezione di regolamentazione dell’immigrazione del tutto discutibile - evita un dibattito politico più serio sulla questione. Tanti investimenti solo per il controllo delle frontiere segnalano l’assenza di una visione globale, di una proposta politica complessiva riguardo i movimenti migratori. Senza un tale progetto ogni misura è paragonabile al lavoro di un manovale che costruisca pareti senza disporre di alcuna planimetria. Solo sottraendosi al duplice inganno di considerare le migrazioni una questione di pubblica in-sicurezza e di pensare il confine come luogo adatto per affrontarle, si può cominciare a vedere più chiaramente la complessità del fenomeno e fare spazio alla promozione di politiche un po’ più lungimiranti ed efficienti, oltre che più rispettose della dignità di chi emigra e di chi accoglie. Come indica un appello rivolto da diverse ONG alle istituzioni europee, sono necessari e auspicabili un serio impegno della diplomazia europea per il rispetto delle aspirazioni democratiche dei paesi del Nordafrica (e non solo), l’introduzione a livello europeo di un permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro, l’assicurazione del rispetto da parte di Frontex dei diritti umani, l’adozione di una coerente politica di accoglienza dei richiedenti asilo, il rilancio di una politica europea di aiuti, finalizzati allo sviluppo agricolo, alla gestione comune di acqua ed energie alternative e all’integrazione economica e politica dei paesi in via di sviluppo… La politica sembra intrappolata in un vicolo cieco, ma chi non rimane prigioniero dei propri confini, scopre altre vie concrete e percorribili, che proposte e promosse possono fare la differenza.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.