lunedì, maggio 23, 2011
L'Esercito Popolare di Liberazione lancia il videogioco “sparatutto”. I cattivi sono gli americani.

PeaceReporter - Si chiama Guāngróng Shǐmìng, Missione gloriosa, è un cosiddetto "sparatutto in prima persona" (dìyī rénchēng shèjī yóuxì), cioè uno di quei videogiochi in cui, da una visuale in soggettiva, si crivella di colpi tutto quello che si incontra.
È stato creato dal gigante dell'elettronica cinese Network Technology Co sotto la supervisione dell'Esercito Popolare di Liberazione e - riporta Wired - sembra un'imitazione di America's Army, gioco che, come evidenzia il nome, è prodotto dall'esercito statunitense. (video)
È quindi un gioco di recruitment - invoglia i giovani ad arruolarsi - e di training - offre cioè una simulazione di addestramento militare. Poi ovviamente si spara.

Le similitudini finiscono qui. Se infatti i "cattivi" da sterminare nel gioco made in Usa sono i consueti islamici barbuti, nella versione cinese si abbattono soldati incredibilmente simili a quelli che Washington ha dislocato in Afghanistan, Iraq e così via: si spara sullo zio Sam.
Sia chiaro: anche negli Stati Uniti esistono giochi di guerra in cui si prendono di mira i cinesi, come Operation Flashpoint Dragon Rising, Battlefield 2, Call of Duty.
Ma nel caso cinese è proprio l'esercito a dare ufficialità al videogame.

In un servizio su Missione gloriosa del notiziario di Cctv 7 - il canale della Tv di Stato interamente dedicato all'esercito e al mondo rurale - si nota chiaramente un elicottero Apache precipitare in fiamme; e nello stesso filmato, si vedono militari cinesi che si addestrano all'arte della guerra proprio smanettando alla consolle.
Sull'utilità delle esercitazioni militari per interposto videogame, in Cina non tutti concordano: c'è chi sostiene che la realtà del campo di battaglia è ben diversa (e ci mancherebbe) e chi osserva che sparare su tutto ciò che si muove non corrisponde esattamente ai "valori" dell'Esercito popolare.
A queste critiche si aggiunge quella che accomuna tutti gli "sparatutto", ben nota anche ad altre latitudini: che effetti può avere sulla coscienza dei giovani un gioco il cui scopo è uccidere il più possibile?

Per rispondere a questa domanda bisogna farsi un'idea del mercato dei videogame in Cina. È uno dei settori che si sta sviluppando più velocemente e dà lavoro, molto. Nel 2010 è cresciuto del 25 per cento, raggiungendo un valore complessivo di 5 miliardi di dollari. Si calcola che nel 2014 dovrebbe arrivare a 8 miliardi. Ma in Cina esternalizzano anche i produttori occidentali, alla ricerca di giovani sviluppatori, capaci e poco costosi. Nel 2005 erano già almeno centomila, oggi molti di più. I videogiochi sono una delle "migliori" opportunità - virgolettato d'obbligo se si considerano i ritmi forsennati di lavoro - per giovani creativi che vogliono procurarsi un reddito.
Così una comunità giovane gioca e produce, produce e gioca, "vive" nel mondo dei giochi fino a elaborare linguaggi propri che attraverso i videogame criticano anche il potere o vi sfuggono.

Nulla di strano quindi che un istituzione come l'esercito cerchi di presidiare il settore con il gioco fatto in casa. Del resto proprio gli Stati Uniti - nemico virtuale ma modello reale - insegnano: "É più efficace di ogni altro metodo di reclutamento", hanno ammesso rappresentanti del Pentagono in un'audizione al Congresso Usa, parlando di America's Army. E uno studio del Massachusetts Institute of Technology rivelò nel 2008 che "il 30 per cento degli americani tra i 16 e i 24 anni ha un'impressione più positiva dell'esercito grazie al gioco e, cosa ancor più sorprendente, [America's Army] ha avuto sul reclutamento un impatto superiore a tutte le altre forme di propaganda messe insieme."

Missione gloriosa non è al momento merce d'esportazione. Ma per trasmettere "valori" ai giovani cinesi è formidabile. Rientra in quel filone culturale imbevuto di orgoglio patrio - per non dire nazionalismo - con cui il Partito già maoista cerca di sostituire il fantasma di Mao. Ragione politica e ragione commerciale si mischiano come di consueto: un gioco in cui i cattivi sono gli yankee non ha concorrenti in Patria e, domani, potrebbe diventare oggetto di culto anche all'estero. Diventando così un buon investimento e un'arma nel conflitto del soft-power, dove la posta in gioco è l'immaginario collettivo.

di Gabriele Battaglia


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