mercoledì, maggio 11, 2011
di Federica Scorpo

Stefania Longo, autrice del libro “Taglia trentotto: bulimia, amore e rabbia” (Edizione Memori), ci racconta il suo rapporto con la bulimia. Una storia comune in un’epoca dove l’immagine è fondamentale per vivere, avere una vita di successo e trovare la felicità (leggi il primo articolo su Stefania e il problema della bulimia).

D- Grazie Stefania di essere qui con noi per offrirci la sua esperienza. Com’è cominciata la sua storia personale con la bulimia?


R- Mi sono ammalata parecchi anni fa, ora ne ho 38, allora ne avevo circa 24... ero all'estero con un programma di scambio universitario, per la precisione a Londra, fuori dall'attenzione della famiglia. Inoltre i miei si stavano separando ed io ne soffrivo. La vita da studente a Londra prevedeva diverse occasioni di cene in compagnia ed ero ingrassata. Dopo una dieta ho cominciato a vomitare il cibo, procurandomi io stessa il vomito. Ero talmente piena che mi sembrava l'unica soluzione per evitare di ingrassare troppo, e in più funzionava.

D- Come si arriva a vomitare, un gesto saltuario che poi, sappiamo, diventa quotidiano? Cosa succede dentro? E quando ha avuto consapevolezza della malattia?
R- All'inizio avevo sentito di qualcuna tra le studentesse che ci aveva provato, quindi diciamo che ho imitato, e facevo una gran fatica, ma poiché mi trovavo sola il gesto è diventato quotidiano dopo circa due mesi. Era un periodo molto difficile: mi trovavo in un contesto straniero, dovevo mantenere i miei voti all'università e sentivo la pressione. Mia madre stava inoltre portando a termine la separazione da mio padre e me lo comunicava al telefono. Sicuramente non era un periodo tranquillo, in più da tipica studentessa Erasmus i miei ritmi non erano equilibrati… tutto insomma ha contribuito a portarmi li. Vomitare significava tenere sotto controllo il peso ma anche sfogarmi e tornare tranquilla. Ho sempre pensato che in qualche maniera fosse una maniera per riequilibrare i miei bioritmi. Sentivo che senza il vomito il mio nervosismo diventava spropositato. Mi sono subito accorta della pericolosità del mio gesto e mi ero ripromessa di smettere, ma mi sembrava troppo facile continuare. Una volta in Italia ovviamente i miei familiari si sono allertati, ma ormai era troppo tardi e in pochissimo tempo la mia è diventata una malattia vera e propria.

D- Come ha fatto a uscirne? E adesso si sente fuori pericolo?
R-Il mio medico di base tanti anni fa mi diceva che la malattia si sarebbe nevrotizzata da sola. Io certo non gli credevo, ma dopo tanti anni devo dire che forse per me era un rito di passaggio. Ho sempre studiato fino a tardi ed il fatto di essere a casa peggiorava tutto. Poi quando ho trovato un lavoro di otto ore al giorno, la malattia si è naturalmente ‘dimezzata’, confinata alla sera, e dopo una fase iniziale non sono piu dimagrita molto: per me più che altro era uno sfogo. Poi l'anno scorso ho trovato un nuovo lavoro che mi teneva la mente costantemente impegnata, e così con un po’ di volontà me ne sono allontanata.
No, non mi sento fuori pericolo. Diciamo che ho risolto una parte del problema, forse la punta dell'iceberg. Vomitare è l'espressione di qualcosa di profondo per cui ci vorrà un lungo percorso. Sono sempre molto magra e controllo comunque quello che mangio. Se ingrasso sto male come un'adolescente.

D- Ha scritto un libro che rappresenta le pagine di un diario della sua malattia. Com'è nato e che relazione c'è tra bulimia, amore e rabbia, che ha messo insieme nel titolo del libro?
R- E' nato da un blog, ‘Vomito Dunque Sono’, e riporta abbastanza fedelmente alcuni racconti apparsi lì. Ho iniziato a scrivere come forma di sfogo. L'anonimato e il fatto di essere letta da ragazze come me mi davano grande forza per mettere tutto sul piatto. Come in una forma di terapia, mi sono veramente lasciata andare ai miei pensieri e ai resoconti personali sulla mia vita da bulimica. Ho raccontato particolari anche grotteschi che facevo fatica a raccontare agli altri, come ad esempio il fatto che cercassi appuntamenti su internet per scroccare delle cene. Poi ho spedito i racconti a un editore, quando mi sembrava di stare già meglio. Mi ha aiutato molto a mettere a fuoco certe cose che non capivo.
Nel blog raccontavo anche della bulimia amorosa, che posso anche ricondurre alla mia malattia, il fatto cioè di cercare sempre conferme nel sesso maschile, di ricercare l'amore ad ogni costo passando da una relazione all'altra come parte della mia insoddisfazione personale. Inoltre, chi legge il libro si rende conto che è scritto in maniera acida e diretta, non ho lasciato niente all'immaginazione. Si vede che c'è dell'aggressività in me che deve sempre uscire! Per questo ‘usavo’ la bulimia.

D- Cosa rappresenta la taglia 38 nella sua vita e nella società?
R- Purtroppo un qualcosa di sempre piu cattivo che ci propinano soprattutto i media, insieme alla giovinezza perenne, ma che ricade a pioggia nella poi su tutta la società. Società che ci chiede i ruoli tradizionali di madri e donne ma anche di lavorare, di essere indipendenti… tutto questo può anche metterci in crisi Quindi si creano sicuramente degli scompensi nel ruolo femminile, la donna è sottoposta a tanti messaggi: fare una famiglia, fare carriera, etc. Però dobbiamo essere belle e taglia 38....

D- Adesso che in parte è guarita, come descrivereste la bulimia e quali sono le caratteristiche per riconoscerla?
R- La bulimia è insieme una grande insicurezza e insoddisfazione personale, la paura di non farcela e di non essere all'altezza. Vengo da un contesto familiare un po’ disordinato e forse mi è sembrato che i miei genitori non mi dessero abbastanza amore. Per riconoscere i sintomi bisogna parlare molto con la persona: non necessariamente diventerà bulimica! Un genitore deve far questo con la propria figlia, ascoltarla molto, rassicurarla: è il modo migliore per capire se c'è un disagio, che sia anoressia, bulimia o altro. Un carattere maniacale e perfettino come il mio forse è quelllo che un genitore deve osservare molto. E poi i media in particolare, dove vedo le ‘magrezze’ più tremende, hanno avuto su di me un'influenza tremenda...

Grazie di averci raccontato la sua storia, una testimonianza di come la bulimia possa entrare nella vita di una donna ma anche e soprattutto di come si possa guarire e fare della propria malattia un modo per aiutare gli altri.

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