Ce ne parla un pachistano operatore di pace e italiano d'adozione
di Sagida Syed
Non molte persone sono disposte a rinunciare alla propria vita, magari ad un certo benessere raggiunto con anni di lavoro e alle certezze della quotidianita’ nella quale trovare l’equilibrio della propria esistenza. Parliamo di uomini e donne che almeno in una parte dell’Occidente da un paio di generazioni sono piu’ o meno padroni del proprio destino e della propria felicita’. Eppure, forse per una sorta di legge del contrappasso, qualcuno ci riesce fino ad un punto di non ritorno. E’ il caso del signor Hussain Riaz Syed, un carismatico sessantenne arrivato alla soglia della sua terza vita con un bagaglio multiculturale piu’ unico che raro. Hussain nacque in Pakistan e visse i primi anni di vita in ristrettezze materiali ma non spirituali. A 16 anni si avventuro’ in un incredibile viaggio verso l’Europa a piedi e senza soldi e contemporaneamente intraprese un cammino umano e spirituale attraverso l’ampio spettro della nostra civilta’ attingendo a quanto di meglio essa ha prodotto.
A quarantacinque anni un’ irreversibile spinta verso le origini gli fa lasciare tutto cio’ che aveva costruito per tornare indietro nel tempo e nello spazio in un Pakistan fatto di stenti e di difficolta’, decidendo di essere fianco a fianco con la sua gente. “Il Pakistan – ci racconta - e’ un paese pieno di contraddizioni. E’ fatto di estremismi esasperati: di ricchi e di poveri, di fanatici e di fatalisti, di guerrafondai e di santoni, di scienziati e di analfabeti. Un paese provato dalle catastrofi causate dalla natura ma molto di piu’ da quelle causate dagli uomini (Hussain ha perso un fratello in una delle guerre tra il Pakistan e l’India negli anni Settanta). Eppure e’ grazie alla resistenza a tante prove, nella fede genuina della gente, nella determinazione dei giovani che il paese continua ad andare avanti e a guardare al futuro”. Il signor Syed parla con cognizione di causa. Poliglotta e con studi universitari di stampo umanistico non ha tardato a farsi notare da una onlus italiana che e’ in prima linea per l’aiuto ai paesi e ai popoli che necessitano beni di prima necessita’, diventando Head of Operations in Pakistan per Intersos: “La nostra onlus sta operando in aree molto pericolose, in un paese diviso da intere popolazioni ostili al Governo, all’Occidente e all’America in particolare e che versano in condizioni di miseria e poverta’. Noi, al di la’ del credo e dell’orientamento politico noi ci muoviamo per aiutare chiunque abbia bisogno di una mano, in nome della solidarieta’, nella speranza che portando acqua potabile, costruendo case, scuole ed ospedali le cose possano cambiare”. Ma da osservatore acuto egli non puo’ riconoscere che il Pakistan e’ anche stretto dalla morsa dell’ignoranza: “Intesa non solo come mancanza d’istruzione ma mancanza di conoscenza della realta’ politica , degli insegnamenti dell’Islam - troppo spesso storpiato per motivazioni politiche - nonche’ dello sviluppo tecnologico”. Un paese in cui i talebani trovano frotte di adepti alla propria causa cosi’come gli alquaedisti di Osama Bin Laden, spinti dalle famiglie stesse che sperano di dare ai propri figli un futuro non necessariamente migliore ma perlomeno diverso da quello che hanno conosciuto loro fatto di miseria e di mancanza di prospettive.
Magari una vita in un paradiso di paesi islamici che lotta in nome di Allah per la sterminazione degli infedeli, come quello agognato da Osama, il defunto re del male, il santone alla rovescia, l’asceta terrorista. “Difficile immaginare che i servizi segreti pachistani non sapessero dove si nascondeva – continua Hussain- in un paese, tra l’altro, dove tutti conoscono tutti e con servizi segreti ben preparati. Ma c’e’ da aggiungere che i sentimenti verso l’America sono duplici: da una parte c’e’ il desiderio di uscire dal medioevo sociale dall’altra parte c’e’ la diffidenza verso gli ideali occidentali. E’ difficile dire, anche a livello dell’intellighenzia o della classe dirigente chi sia amico dell’Occidente e chi gli sia ostile”. Al Pakistan e’ mancato un Ataturk capace della forza di propulsione d’investimenti verso il futuro senza rinunciare alla propria identita’, un paese che ha deposto Musharaff quando questi stava avviando cautamente riforme separando il potere laico da quello religioso. Forse e’ un paese a cui si sta chiedendo di crescere troppo in fretta e di adottare dei modelli preconfezionati nei quali non si riconosce. “Tuttavia non esiste gente piu’ generosa ed ospitale dei pachistani – riflette questo signore che ha vissuto per quasi trent’anni tra la Liguria ed il Piemonte – ne’ piu’ capace di reagire alle difficolta’. Pensiamo al terremoto del 2005 e alle alluvioni del 2010. Solo grazie alla propria volonta’, alla fede inossidabile, alla solidarieta’ tra poveri, milioni di persone riescono a superare ogni giorno la lotta per la sopravvivenza.”.
Inutile dire che le bombe della coalizione in Afghanistan, e in Iraq, e lo stesso raid per uccidere Osama Bin Laden senza avvisare Islamabad, sono interpretati come una forma di arroganza e di predominio straniero. Organizzazioni come Intersos ed altre ong bilanciano appena in parte il “marketing” decisamente negativo che l’America e i suoi alleati fanno di se’nei paesi islamici. La pacificazione tra le due anime del mondo, l’Occidente e l’Oriente, l’Islam ed il Cristianesimo (insieme all’Ebraismo) e’ ancora un’illusione. Ed e’ un illusione pensare che aver ucciso Bin Laden corrisponda ad aver eliminato il malessere di una parte malata della societa’ pachistana votata all’alquaedismo per ignoranza ed indottrinamento sbagliato”.
Ma la parola fallimento non esiste nel vocabolario del signor Syed e il suo lavoro va avanti. Lui che in se’ ha raccolto due eredita’ cosi’ importanti, quella del suo dna e quella assorbita vivendo in Italia per lungo tempo e’ il segno stesso della possibilita’ di una convivenza pacifica e reciprocamente stimolante tra due culture diverse. Non e’ facile trovare un uomo che ami contemporaneamente Dante e Tagore, che gusti un piatto di maccheroni come uno di pollo al curry, che vesta i tradizionali salwar kameez ma non disdegni d’indossare una comoda tuta da ginnastica, che passi con disinvoltura dal dialetto del Punjab a quello di Genova, che pranzi con i politici e dorma con gli sfollati e i senzatetto e che voglia far conoscere le potenzialita’ della sua terra all’Occidente e, viceversa, l’Occidente nel quale si e’ integrato - e non quello della propaganda jiaidista - al suo paese. Se pero’ l’esempio di Hussain Riaz Syed verra’ seguito anche da una manciata di persone di buona volonta’, c’e’ da sperare che il Pakistan, un giorno, sara’un posto migliore.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.