Di Ruzza: Stati tornati alla vecchia politica basata sulla forza delle armi
Radio Vaticana - Nel 2010 sono stati spesi 1600 miliardi di dollari in armamenti con un aumento dell’1,3% rispetto al 2009. E’ questo uno dei principali dati emersi dal rapporto annuale pubblicato dal Sipri, l'Istituto per la Ricerca sulla Pace Internazionale di Stoccolma. Come spiegare questo incremento della spesa militare mondiale? Risponde al microfono di Amedeo Lomonaco il dott. Tommaso Di Ruzza, officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:
R. – Quest’incremento è impressionante, a partire dal 2001. Dagli eventi, quindi, dell’11 settembre, gli Stati sembrano – se si guarda all’incremento progressivo della spesa militare – tornare alla vecchia politica della sicurezza basata sulla forza militare, una forza militare che, però, è statuale, mentre sappiamo bene che il processo di globalizzazione richiederebbe strutture e politiche interattive internazionali. Un secondo dato è come questa spesa sia aumentata: l’aumento è impressionante in aree che, storicamente, spendevano relativamente meno, rispetto ai Paesi occidentali, nel settore armamenti. Guardiamo ad esempio all’India che dal 2001 ha avuto un più 54 per cento in spesa militare o alla Cina, che dal 2001 ha avuto un più 189 per cento. Quindi, questo dato reso noto dal Sipri, ha un qualcosa di eloquente a livello globale, ma a livello statuale e regionale richiederà attenzione anche per i riassetti degli equilibri internazionali strategici.
D. – A proposito dell’architettura internazionale, sembrano evidenti degli squilibri. Ad esempio, come già detto, aumentano le spese militari ma diminuiscono le missioni nel mondo per il mantenimento della pace. Nel 2010 queste missioni sono state 52, il numero più basso dal 2002...
R. – Se si rafforza la politica unilaterale, in qualche misura si indeboliscono le politiche multilaterali internazionali. E questo avviene nel momento in cui proprio nella Caritas in veritate il Santo Padre invita ad una riflessione sul piano delle riforme delle organizzazioni internazionali, in particolare dell’Onu, in vista di una maggiore “governance” sul piano internazionale. Forse l’aumento delle spese militari è dovuto, oltre che a scelte politiche deliberate, anche a una maggiore sfiducia verso le organizzazioni internazionali.
D. – A destare grande preoccupazione è poi anche la minaccia nucleare. Secondo il rapporto Sipri, resta alquanto improbabile, nel prossimo futuro, la speranza di un disarmo...
R. – Il disarmo è sicuramente difficile, in quanto una certa sfiducia per le architetture internazionali, ma anche per le alleanze strategiche, induce gli Stati, forse, a rispolverare quella che era l’antica dottrina della deterrenza nucleare che, però, garantiva un equilibrio della paura, piuttosto che un reale ordine basato e orientato sullo sviluppo dei popoli. Da un lato, possiamo accogliere positivamente gli sforzi bilaterali, e pensiamo al Trattato Start tra Stati Uniti e Federazione Russa, per la riduzione quantitativa delle testate. Se guardiamo però agli investimenti, abbiamo anche un incremento qualitativo. Quindi, se da un lato, anche se con molta cautela, possiamo considerare positivo il passo di ridurre le armi che, comunque, proprio per la loro tecnologia desueta pongono anche un problema di sicurezza nel loro mantenimento, dall’altro lato, la loro sostituzione con un minor numero di armi, ma più moderne e probabilmente efficaci, desta qualche preoccupazione. Potrebbe trattarsi di una sorta di svecchiamento dell’arsenale, ma non di una reale riduzione della loro pericolosità e potenziale nocività.
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