sabato, giugno 25, 2011
Tre “radiose figure di santità ‘ordinaria’”: così l’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, ha definito i tre servi di Dio, figli dell’arcidiocesi milanese, che saranno beatificati domani mattina con una solenne celebrazione nel capoluogo lombardo. A presiedere la cerimonia, il legato pontificio, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il servizio di Roberta Barbi:

Radio Vaticana - Un “Curato d’Ars ante litteram”, “l’angelo di San Vittore” e il “Patriarca della Chiesa di Birmania”: tre figure imponenti nella loro semplicità, così alte eppure così vicine agli ultimi accanto ai quali scelsero di vivere la loro vita. Don Serafino Morazzone, Suor Enrichetta Alfieri (al secolo Maria Angela) e padre Clemente Vismara, che i devoti chiamano familiarmente i Beati milanesi, sono un sacerdote diocesano, una religiosa della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret e un religioso del Pontificio Istituto delle Missioni Estere: tutti figli dell’arcidiocesi di Milano. Se dovessimo trovare una parola-chiave per unire le loro vite, sarebbe “sorriso”: quello che don Serafino portava alla comunità di Chiuso, quello che suor Enrichetta donava ai detenuti del carcere di San Vittore e poi ai tanti ebrei che contribuì a salvare dalla deportazione, quello che accompagnò sempre padre Clemente nella sua Birmania, allora terra in gran parte inesplorata. Rocce solide alle quali appoggiarsi, vista anche la lunghezza dei loro ministeri: don Serafino fu parroco nello stesso paese per 49 anni, suor Serafina rimase la “mamma dei carcerati” per 28, padre Clemente di anni in Birmania ne trascorse 64. Vite diverse, che mostrano quanto eterogenei e variegati possano essere i cammini che conducono alla vicinanza a Dio, come solo i Santi possono essere. Ce lo spiega il cardinale Angelo Amato, al microfono di Roberto Piermarini:

“Padre Vismara, Suor Enrichetta e don Serafino sono tre volti dell’unica santità di Nostro Signore Gesù Cristo. Ancora una volta la diocesi di Milano offre alla Chiesa e alla società tre modelli di santità, che sono anche tre esempi di vita buona secondo il Vangelo”.

Il “Beato Serafino”, com’era noto per la sua gente, visse il suo ministero sacerdotale nella preghiera e nella carità, dedicandosi al sacramento della Penitenza e al servizio agli altri, specialmente ai poveri e agli ammalati. Un uomo pio e premuroso, citato addirittura nel "Fermo e Lucia" da Alessandro Manzoni:

“Era povero e austero. Ben presto la sua fama di confessore saggio e misericordioso si diffuse in tutto il circondario, attirando persone semplici, ma anche prelati e letterati, come ad esempio Alessandro Manzoni, che di lui scrisse: ‘Era umile, senza sapere di esserlo’”.

Suor Enrichetta faceva brillare di misericordia divina l’inferno del carcere, accresciuto dalla malvagità del nazismo. Era segno di speranza in un contesto di morte, donava istanti di felicità rubati alla disperazione della prigionia. Dei reclusi alleviava sofferenze morali e materiali e ottenne anche molte conversioni, prima di diventare una di loro, colpevole di aver aiutato decine di persone destinate ai campi di concentramento. Venne salvata dalla condanna a morte dal cardinale, oggi Beato, Ildefonso Schuster e fu mandata al confino. Del suo lavoro in carcere, c’è una testimonianza d’eccezione:

“Il grande giornalista e scrittore Indro Montanelli, prigioniero politico a quel tempo a San Vittore, ha scritto di lei: ‘Suor Enrichetta era una stupenda figura di religiosa. Una suora buonissima e coraggiosa. Le sarò grato per sempre’. Così grande era il conforto di quegli incontri, che ancora oggi il ricordo di Suor Enrichetta e della sua veste frusciante suscita in me la devota ammirazione che si deve ai santi, o agli eroi. In questo caso, a entrambi”.

Padre Clemente è un modello per tutti i missionari ancora oggi, perché incarna nella sua vita tutto quanto c’è di apostolico e di esemplare in un missionario: l’amore per Cristo e per la Chiesa, la passione nell’annunciare la Salvezza, lo spirito di sacrificio, la fede più che solida, la fiducia nella Provvidenza. Una vita avventurosa, la sua, sempre in cammino di villaggio in villaggio, per la quale ringraziava sempre il Signore che lo aveva chiamato fino in Birmania:

“Con intraprendenza tutta lombarda si adoperò in tutti i modi per aiutare i cristiani e non cristiani a costruire orfanotrofi maschili e femminili, una scuola, un ospedale, il convento per le suore e, per i cattolici, la chiesa. Soleva dire: ‘La vita è bella solo quando ci si vuole bene. È l’amore che fa vincere la vita’”.


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