L'on. Ermete Realacci, esponente del Partito Democratico e presidente onorario di Legambiente, affronta per noi al microfono di Sagida Syed alcuni temi legati al referendum abrogativo del 12 e 13 giugno, ma anche al futuro politico ed energetico del nostro Paese. Con lui diamo la parola ad un promotore del SI, presto faremo lo stesso con un esponente del NO.
Onorevole Realacci, chiediamo a lei, responsabile della Green Economy del PD, di affrontare insieme alcuni punti del referendum. Se gli italiani voteranno SI all'abrogazione del nucleare, quali prospettive ci saranno per il futuro energetico del nostro Paese?
Al momento il problema non è tanto cosa voteranno gli italiani quanto se si riuscirà a raggiungere il quorum, tenendo presente che si tratta di una legge referendaria invecchiata e unica al mondo. Credo che il nucleare sia comunque una scelta che non andrà avanti essendo costosa, pericolosa e sbagliata. La scommessa è di investire in ricerca, fonti di energia rinnovabile, biomasse, ecc. Proviamo a guardare a come si comportano altri paesi come la Germania: Angela Merkel ha annunciato che in tempo rapido otto centrali chiuderanno e altre nove seguiranno la stessa sorte entro il 2022. Già prima del disastro di Fukushima la Germania aveva come obiettivo di produrre entro il prossimo decennio il 40% di energia elettrica da fonti rinnovabili. L’Italia parte dal vantaggio di avere l’idroelettrico e la geotermia e se il nucleare continuerà ad essere presente nel dibattito politico-economico, il nostro paese resterà indietro per esempio rispetto alla Germania, che investendo in conoscenza, innovazione e ricerca, non a caso, cresce quattro volte più velocemente rispetto a noi.
Il disastro di Fukushima ha rimesso in discussione la sicurezza delle centrali nucleari. Quali sono i rischi reali che comporta il nucleare?
Fukushima ci ha mostrato che il problema della sicurezza nelle centrali nucleari è di grande attualità. Inoltre il nucleare rappresenta una fonte di energia difficile da gestire e ha dei costi enormi legati proprio alla sicurezza, alla gestione e allo smantellamento delle scorie che si può esprimere in termini di migliaia e perfino centinaia di migliaia di anni. Per intenderci, se l’uomo di Neanderthal avesse avuto il nucleare oggi dovremmo ancora smaltire quelle scorie! Inoltre pone problemi enormi dal punto di vista economico. Tremonti ha recentemente sostenuto che l’Italia è avvantaggiata rispetto ad altri paesi perché non ha il cosiddetto “debito atomico”. Comunque oggi paghiamo trecento milioni di euro all’anno per gestire le scorie del vecchio programma nucleare italiano risalente a un quarto di secolo fa che, rispetto all’ambizioso progetto annunciato dal Governo, era in scala molto minore. Quando, perciò, si dice che l’energia nucleare serve per abbassare i costi dell’energia significa mentire poichè i costi ci sono e sono a carico dello Stato e, in ultima analisi, dei cittadini.
C’è chi fa un passo indietro e chi non si pone con urgenza il problema: vorremmo sapere se esiste a livello europeo un dibattito in corso.
La situazione si differenzia da paese a paese. Perfino in Francia, che dipende all’80% della propria produzione energetica dal nucleare, una larga parte dell’opinione pubblica chiede che si fermi la costruzione di nuovi centrali e che si ridiscuta questa scelta complessivamente. Per ciò che riguarda gli altri paesi ci sarà un’accelerazione dell’emergenza già in atto come in Svizzera, che sta lavorando ad un piano di fuoriuscita dal nucleare, e come l’Austria, che dal 2015 non acquisterà neppure più energia nucleare prodotta fuori dai propri confini. Non credo che ci sia nessun paese nell’Europa occidentale che stia prendendo in ampia considerazione l’idea di costruire nuove centali. L’Italia sarebbe dunque in controtendenza. Chi ha il nucleare cerca di gestire al meglio la sicurezza e di capire quale è la strada da percorrere in futuro, mentre sarebbe molto sconveniente e in controtendenza entrare a far parte di questo club per i paesi che attualmente non ce l’hanno.
Alcuni sostengono che a poche centinaia di chilometri dai nostri confini ci sono alcune centrali francesi che potrebbero comportare un rischio ambientale nel caso di malfunzionamento. Che cosa risponde di fronte a queste osservazioni?
E’ vero, esiste il problema che andrebbe gestito con maggior forza a livello europeo per garantire la sicurezza di questi impianti. Tuttavia, non è proprio la stessa cosa avere una centrale nucleare vicino casa e una a qualche centinaia di chilometri di distanza. Per ciò che ci concerne, l’Austria non ne ha e la Svizzera ha annunciato un piano di chiusura mentre la Germania le chiuderà presto. Rimane la Slovenia e le centrali nucleari francesi che stanno oltralpe e alcuni impianti nei paesi dell’Europa orientale che possono far paura. Ad ogni modo, basta pensare alle persone che sono state evacuate nel raggio di 30 km da Fukushima, un territorio pari alla superficie di Milano, Napoli e Parigi messi insieme. Chiaro dunque che non è proprio ininfluente abitare più o meno vicino ad una centrale.
Se si raggiungesse il quorum e passasse il SI, secondo lei quali panoramiche si aprirebbero sullo scenario politico del nostro paese?
C’è molta sensibilità sul tema, come ha dimostrato il referendum consultivo in Sardegna che ha visto grande partecipazione da parte della gente e tutte le forza politiche pronunciarsi contro il nucleare. Il quesito più polarizzato è quello sul legittimo impedimento, trattandosi di una legge ad personam e quindi contenendo una qualche forma di sfiducia nei confronrti di Berlusconi. Tornando al nucleare, questa è stata una delle grandi scelte propagandistiche del Governo e che ha fatto perdere tanto tempo. Viene da arrabbiarsi maggiormente se si pensa a quante volte è stato detto in modo erroneo e menzognero che il nucleare abbassa i costi dell’energia. Io sono convinto che l’Italia possa stare al passo con altri paesi che al momento hanno più lungimiranza e scommettono sulla ricerca. Grazie alle nostre capacità e alla ricchezza del nostro territorio noi possiamo essere innovativi e creativi, però dobbiamo indicare con chiarezza la direzione da seguire, che è evidentemente diversa da quella proposta dal Governo. Nel caso di vittoria dei SI, il Governo dovrà tener conto delle indicazioni del referendum e cambiare rotta.
Affrontiamo ora il primo e il secondo quesito del referendum. Quali sono i punti deboli della privatizzazione dell’acqua?
L’acqua è una grande risorsa strategica, specie per il nostro paese. e sottrarla al controllo pubblico è un pericolo. Anche in Europa è un tema delicato. In Germania è quasi tutta a gestione pubblica come credo anche in Olanda, e Parigi ha ripubblicizzato la gestione dell’acqua. Il senso di questa campagna referendaria che ha mobilitato enormi energie in Italia e che ha raccolto quasi un milione e mezzo di firme è di riconsegnare più forza ai cittadini per ragionare e decidere su questa risorsa assolutamente fondamentale, dopodiché si potrà discutere sulle nuove norme da applicare. Bisogna avere delle politiche pubbliche che garantiscano il minimo vitale a tutti i cittadini, che può anche essere distribuito gratuitamente a patto che chi consuma di più paghi una tariffa adeguata: è anche una forma di responsabilizzazione per una risorsa da salvaguardare. Lo spreco è figlio del fatto che non si ha la percezione dell’importanza di questa risorsa, e questo vale non solo per i consumi urbani ma anche per quelli industriali e dell’agricoltura. Per gestire tutto ciò c’è bisogno che i controlli siano fortemente in mano pubblica, anche se ciò non significa che i privati non debbano essere coinvolti. Non sempre la gestione pubblica ha agito bene, soprattutto nel Sud: qualche anno circolava una battuta sull’acquedotto pugliese che, si diceva, dava più da mangiare che da bere, descrivendo bene la realtà di alcune regioni italiane. Può dunque anche esserci un ruolo attivo dei privati, ma non possono essere loro a determinare gli indirizzi di fondo altrimenti si arriva a delle situazioni assurde come quella di un’azienda privatizzata nei dintorni di Roma in cui l’andamento delle tariffe è decrescente: più uno consuma, meno paga. Con le tariffe bisogna scoraggiare lo spreco, ma se si tende a massimizzare il profitto può essere più conveniente dare 10000 litri al mese ad una persona piuttosto che darne 1000 a 10 persone. Questa non è la logica di una buona politica dell’acqua.
Lei è un uomo politico ma anche un ambientalista convinto. Quali sono oggi le scelte che a livello pubblico e privato si devono fare per garantire un futuro più pulito alle prossime generazioni?
Io penso che oggi più che mai le scelte amiche dell’ambiente siano scelte migliori per la qualità della vita e anche per la competitività della nostra economia. La scelta a favore dell’innovazione e della ricerca è un “drive” per tutta l’economia e vale per il vino così come per le calzature. Vorrei ricordare il caso del vino italiano che a metà degli anni Ottanta subì il grande trauma del metanolo. In realtà il nostro vino già prima aveva imboccato una strada sbagliata perchè aveva puntato tutto sulla grande quantità e sul prezzo basso. Con la crisi del 1986 questa latente debolezza esplose e ci fu un crollo di vendite. Poco dopo ci fu un’inversione di marcia che accadde naturalmente e senza spinte politiche, decidendo a favore della qualità legata al territorio nonché alla materia prima. Oggi noi produciamo il 40% in meno rispetto a venticinque anni fa ma il nostro vino vale molto di più e abbiamo battuto i vini francesi così come quelli provenienti dai produttori di vino dei paesi emergenti. Dobbiamo mettere a frutto i talenti dell’Italia in tutti i campi e ciò in ogni settore. Inoltre, per competere sui mercati internazionali ormai si cercano prodotti che siano più attenti alle questioni ambientali e questa è quella che noi chiamiamo la Green Economy.
Cosa prevede dunque per questo referendum?
Mi aspetto una grossa partecipazione ma con la legge referendaria attuale è molto difficile ottenere il quorum +1 e portare al voto 25 milioni di italiani. Difficile ma non impossibile!
Onorevole Realacci, chiediamo a lei, responsabile della Green Economy del PD, di affrontare insieme alcuni punti del referendum. Se gli italiani voteranno SI all'abrogazione del nucleare, quali prospettive ci saranno per il futuro energetico del nostro Paese?
Al momento il problema non è tanto cosa voteranno gli italiani quanto se si riuscirà a raggiungere il quorum, tenendo presente che si tratta di una legge referendaria invecchiata e unica al mondo. Credo che il nucleare sia comunque una scelta che non andrà avanti essendo costosa, pericolosa e sbagliata. La scommessa è di investire in ricerca, fonti di energia rinnovabile, biomasse, ecc. Proviamo a guardare a come si comportano altri paesi come la Germania: Angela Merkel ha annunciato che in tempo rapido otto centrali chiuderanno e altre nove seguiranno la stessa sorte entro il 2022. Già prima del disastro di Fukushima la Germania aveva come obiettivo di produrre entro il prossimo decennio il 40% di energia elettrica da fonti rinnovabili. L’Italia parte dal vantaggio di avere l’idroelettrico e la geotermia e se il nucleare continuerà ad essere presente nel dibattito politico-economico, il nostro paese resterà indietro per esempio rispetto alla Germania, che investendo in conoscenza, innovazione e ricerca, non a caso, cresce quattro volte più velocemente rispetto a noi.
Il disastro di Fukushima ha rimesso in discussione la sicurezza delle centrali nucleari. Quali sono i rischi reali che comporta il nucleare?
Fukushima ci ha mostrato che il problema della sicurezza nelle centrali nucleari è di grande attualità. Inoltre il nucleare rappresenta una fonte di energia difficile da gestire e ha dei costi enormi legati proprio alla sicurezza, alla gestione e allo smantellamento delle scorie che si può esprimere in termini di migliaia e perfino centinaia di migliaia di anni. Per intenderci, se l’uomo di Neanderthal avesse avuto il nucleare oggi dovremmo ancora smaltire quelle scorie! Inoltre pone problemi enormi dal punto di vista economico. Tremonti ha recentemente sostenuto che l’Italia è avvantaggiata rispetto ad altri paesi perché non ha il cosiddetto “debito atomico”. Comunque oggi paghiamo trecento milioni di euro all’anno per gestire le scorie del vecchio programma nucleare italiano risalente a un quarto di secolo fa che, rispetto all’ambizioso progetto annunciato dal Governo, era in scala molto minore. Quando, perciò, si dice che l’energia nucleare serve per abbassare i costi dell’energia significa mentire poichè i costi ci sono e sono a carico dello Stato e, in ultima analisi, dei cittadini.
C’è chi fa un passo indietro e chi non si pone con urgenza il problema: vorremmo sapere se esiste a livello europeo un dibattito in corso.
La situazione si differenzia da paese a paese. Perfino in Francia, che dipende all’80% della propria produzione energetica dal nucleare, una larga parte dell’opinione pubblica chiede che si fermi la costruzione di nuovi centrali e che si ridiscuta questa scelta complessivamente. Per ciò che riguarda gli altri paesi ci sarà un’accelerazione dell’emergenza già in atto come in Svizzera, che sta lavorando ad un piano di fuoriuscita dal nucleare, e come l’Austria, che dal 2015 non acquisterà neppure più energia nucleare prodotta fuori dai propri confini. Non credo che ci sia nessun paese nell’Europa occidentale che stia prendendo in ampia considerazione l’idea di costruire nuove centali. L’Italia sarebbe dunque in controtendenza. Chi ha il nucleare cerca di gestire al meglio la sicurezza e di capire quale è la strada da percorrere in futuro, mentre sarebbe molto sconveniente e in controtendenza entrare a far parte di questo club per i paesi che attualmente non ce l’hanno.
Alcuni sostengono che a poche centinaia di chilometri dai nostri confini ci sono alcune centrali francesi che potrebbero comportare un rischio ambientale nel caso di malfunzionamento. Che cosa risponde di fronte a queste osservazioni?
E’ vero, esiste il problema che andrebbe gestito con maggior forza a livello europeo per garantire la sicurezza di questi impianti. Tuttavia, non è proprio la stessa cosa avere una centrale nucleare vicino casa e una a qualche centinaia di chilometri di distanza. Per ciò che ci concerne, l’Austria non ne ha e la Svizzera ha annunciato un piano di chiusura mentre la Germania le chiuderà presto. Rimane la Slovenia e le centrali nucleari francesi che stanno oltralpe e alcuni impianti nei paesi dell’Europa orientale che possono far paura. Ad ogni modo, basta pensare alle persone che sono state evacuate nel raggio di 30 km da Fukushima, un territorio pari alla superficie di Milano, Napoli e Parigi messi insieme. Chiaro dunque che non è proprio ininfluente abitare più o meno vicino ad una centrale.
Se si raggiungesse il quorum e passasse il SI, secondo lei quali panoramiche si aprirebbero sullo scenario politico del nostro paese?
C’è molta sensibilità sul tema, come ha dimostrato il referendum consultivo in Sardegna che ha visto grande partecipazione da parte della gente e tutte le forza politiche pronunciarsi contro il nucleare. Il quesito più polarizzato è quello sul legittimo impedimento, trattandosi di una legge ad personam e quindi contenendo una qualche forma di sfiducia nei confronrti di Berlusconi. Tornando al nucleare, questa è stata una delle grandi scelte propagandistiche del Governo e che ha fatto perdere tanto tempo. Viene da arrabbiarsi maggiormente se si pensa a quante volte è stato detto in modo erroneo e menzognero che il nucleare abbassa i costi dell’energia. Io sono convinto che l’Italia possa stare al passo con altri paesi che al momento hanno più lungimiranza e scommettono sulla ricerca. Grazie alle nostre capacità e alla ricchezza del nostro territorio noi possiamo essere innovativi e creativi, però dobbiamo indicare con chiarezza la direzione da seguire, che è evidentemente diversa da quella proposta dal Governo. Nel caso di vittoria dei SI, il Governo dovrà tener conto delle indicazioni del referendum e cambiare rotta.
Affrontiamo ora il primo e il secondo quesito del referendum. Quali sono i punti deboli della privatizzazione dell’acqua?
L’acqua è una grande risorsa strategica, specie per il nostro paese. e sottrarla al controllo pubblico è un pericolo. Anche in Europa è un tema delicato. In Germania è quasi tutta a gestione pubblica come credo anche in Olanda, e Parigi ha ripubblicizzato la gestione dell’acqua. Il senso di questa campagna referendaria che ha mobilitato enormi energie in Italia e che ha raccolto quasi un milione e mezzo di firme è di riconsegnare più forza ai cittadini per ragionare e decidere su questa risorsa assolutamente fondamentale, dopodiché si potrà discutere sulle nuove norme da applicare. Bisogna avere delle politiche pubbliche che garantiscano il minimo vitale a tutti i cittadini, che può anche essere distribuito gratuitamente a patto che chi consuma di più paghi una tariffa adeguata: è anche una forma di responsabilizzazione per una risorsa da salvaguardare. Lo spreco è figlio del fatto che non si ha la percezione dell’importanza di questa risorsa, e questo vale non solo per i consumi urbani ma anche per quelli industriali e dell’agricoltura. Per gestire tutto ciò c’è bisogno che i controlli siano fortemente in mano pubblica, anche se ciò non significa che i privati non debbano essere coinvolti. Non sempre la gestione pubblica ha agito bene, soprattutto nel Sud: qualche anno circolava una battuta sull’acquedotto pugliese che, si diceva, dava più da mangiare che da bere, descrivendo bene la realtà di alcune regioni italiane. Può dunque anche esserci un ruolo attivo dei privati, ma non possono essere loro a determinare gli indirizzi di fondo altrimenti si arriva a delle situazioni assurde come quella di un’azienda privatizzata nei dintorni di Roma in cui l’andamento delle tariffe è decrescente: più uno consuma, meno paga. Con le tariffe bisogna scoraggiare lo spreco, ma se si tende a massimizzare il profitto può essere più conveniente dare 10000 litri al mese ad una persona piuttosto che darne 1000 a 10 persone. Questa non è la logica di una buona politica dell’acqua.
Lei è un uomo politico ma anche un ambientalista convinto. Quali sono oggi le scelte che a livello pubblico e privato si devono fare per garantire un futuro più pulito alle prossime generazioni?
Io penso che oggi più che mai le scelte amiche dell’ambiente siano scelte migliori per la qualità della vita e anche per la competitività della nostra economia. La scelta a favore dell’innovazione e della ricerca è un “drive” per tutta l’economia e vale per il vino così come per le calzature. Vorrei ricordare il caso del vino italiano che a metà degli anni Ottanta subì il grande trauma del metanolo. In realtà il nostro vino già prima aveva imboccato una strada sbagliata perchè aveva puntato tutto sulla grande quantità e sul prezzo basso. Con la crisi del 1986 questa latente debolezza esplose e ci fu un crollo di vendite. Poco dopo ci fu un’inversione di marcia che accadde naturalmente e senza spinte politiche, decidendo a favore della qualità legata al territorio nonché alla materia prima. Oggi noi produciamo il 40% in meno rispetto a venticinque anni fa ma il nostro vino vale molto di più e abbiamo battuto i vini francesi così come quelli provenienti dai produttori di vino dei paesi emergenti. Dobbiamo mettere a frutto i talenti dell’Italia in tutti i campi e ciò in ogni settore. Inoltre, per competere sui mercati internazionali ormai si cercano prodotti che siano più attenti alle questioni ambientali e questa è quella che noi chiamiamo la Green Economy.
Cosa prevede dunque per questo referendum?
Mi aspetto una grossa partecipazione ma con la legge referendaria attuale è molto difficile ottenere il quorum +1 e portare al voto 25 milioni di italiani. Difficile ma non impossibile!
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.