In esclusiva per La Perfetta Letizia, le fiabe di Silvio Foini

Una domenica mattina però, finita la Messa, decise di recarsi lo stesso al camposanto per dire una preghiera ai defunti che colà riposavano. “Se non posso recitarla per i mie nonni lo farò per gli altri” pensò incamminandosi. Camminò fra le tombe, osservò le poche fotografie sulle lapidi affioranti dalla terra, lesse i nomi e le date e recitò alcuni Requiem Aeternam. Mentre era prossimo al cancello di ferro arrugginito dal tempo che dava accesso al piccolo camposanto, il suo sguardo fu attratto da un cippo funerario in granito grigio sul quale stava una vecchissima fotografia in ceramica che non aveva visto entrando.
Il cippo, probabilmente cedendo il terreno sottostante, era molto inclinato e aveva assunto una strana postura. “Lo dirò al custode che forse riuscirà a raddrizzarlo. Lui è un uomo grande e grosso e probabilmente non farà molta fatica” pensò.
Quando rientrò a casa sentì un buon odore di polenta e coniglio al sugo da far venire l’acquolina un bocca. Prese posto a tavola e mentre mangiava con buon appetito raccontò ai genitori della visita che aveva fatto al camposanto e fu apprezzato per il bel gesto. Raccontò del cippo inclinato e della sua intenzione di chiedere al custode di sistemarlo. Suo papà, Matteo il fattore, promise: “Dirò io a Faustino di provvedere. E’ un mio amico e spesso giochiamo alle carte insieme all’osteria del Mariolino. Non preoccuparti Martino.”
Quella notte Martino ripensò alla vecchia fotografia posta sul granito. Gli tornavano alla memoria gli occhi di quel signore anziano con i baffi all’insù. Erano buoni ed espressivi. Erano parsi guardarlo intensamente.
“Penso che ti adotterò come nonno. La tua tomba è in abbandono. Nessuno ti porta un fiore né accende un lumino per te. Lo farò io. Domenica prossima verrò a trovarti.” Si addormentò con quel pensiero e si sentì felice. Quella era stata una bella domenica.
La settimana trascorse come al solito ma Martino non vedeva l’ora di tornare dal suo “nuovo nonno”.
Finalmente, ascoltata la Messa domenicale, non si attardò sul sagrato con gli amici per quattro calci al pallone ma corse al cimitero. Per strada raccolse un mazzetto di margherite e una bottiglia vuota. Fu piacevolmente sorpreso nel constatare che Faustino il custode aveva provveduto a risistemare il cippo di granito. Si soffermò qualche istante ad osservare la fotografia del signore anziano che riposava lì sotto e gli parve che su quel nobile volto aleggiasse un lieve sorriso. Alla fontanella del cimitero riempì d’acqua la bottiglia, vi mise dentro le margherite e la pose alla base del monumento. Il tempo aveva cancellato sia il nome del defunto che la data di nascita e si leggeva solo quella dell’anno della morte: 1878.
Martino trovò difficile la collocazione di un tempo così lontano. “Per questo nessuno si ricorda più di te. Saranno morti tutti anche i tuoi parenti! Comunque adesso hai un nipote che penserà a te e quando verrà il due di novembre ti porterò un bel mazzo di fiori... ma di quelli belli, come tutti gli altri, così non sarai triste. Va bene? Il tuo nome non lo so quindi ti darò quello del mio vero nonno: Eligio. Ti va bene?”. Sfiorò quel viso con la manina e se ne tornò a casa.
Così avvenne che una domenica dopo l’altra “nonno Eligio” ebbe sempre un fiore fresco ed un lumino sulla sua tomba.
Qualche anno dopo, il nostro Martino si ammalò di una brutta malattia che il dottore del paese disse di non poter curare. Il ragazzino tossiva continuamente ed era preda di violenti febbri che lo stavano consumando. Poi sopravvennero gravi difficoltà respiratorie. Il dottore preparò i disperati genitori al peggio. “Miei cari giovani, non so se arriverà a domani mattina. Pregate il Signore poiché io non posso fare più nulla. La tisi se lo porterà al creatore.” Potete immaginare il dolore dei genitori, che adoravano il loro figlio, così buono, obbediente e gentile!
Martino si doleva per non aver più potuto andare a trovare il “nonno Eligio”: era il cruccio che lo assillava ma ormai non aveva nemmeno più la forza di levarsi dal letto. Quella notte però avvenne un fatto: Martino stava supino tossendo terribilmente e sputando sangue. Si sentì chiamare da una voce che pensò fosse quella di suo padre. La voce lo chiamò ancora, ripetutamente, per nome e lui capì che quella non era di suo padre. Non l’aveva mai sentita. Si sedette faticosamente sul letto premendosi il fazzoletto sulla bocca e quel che vide lo sbalordì. Un distinto signore dai grandi baffi all’insù lo stava guardando con tenerezza. Nonno Eligio stava accanto al suo letto! “Sei venuto a prendermi per portarmi con te nonno?”. La figura sorrise e gli pose una mano sul capo scompigliandogli i capelli. “Che dici caro Martino? Io sono qui per portarti alla guarigione. Me l’ha ordinato Gesù in persona e mi ha consentito di essere, d’ora in poi, il tuo angelo custode. La tua bontà meritava una giusta ricompensa. Hai toccato il cuore di Gesù ed Egli vuole che tu viva. Smetti di tossire ora. Sei guarito mio caro “nipotino” e quando ti servirà il mio aiuto sarò sempre accanto a te. Ora sono un angelo custode. Il tuo. Ciao”. La figura svanì e nella stanza si diffuse un soave profumo di fiori di campo. Quelli che Martino aveva sempre raccolto e depositato sulla tomba di uno sconosciuto.
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È presente 1 commento
che belle queste storie vere di angeli...........le racconterò ai miei nipotini
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