In occasione dei referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno, pubblichiamo sulla nostra rivista un approndimento in quattro puntate di Marco Ciamei (clicca qui per il 2°, il 3° e il 4° quesito)
In questi giorni se ne è parlato molto, ma non sempre l’informazione è stata puntuale. Si sono letti e sentiti, per lo più, slogan propagandistici, prese di posizioni senza alcuna motivazione nel merito, inviti ad andare o a non andare a votare. Ma per cosa, precisamente, si va a votare? Quanti di noi sanno realmente di cosa si parla? Vi propongo quattro appuntamenti, destinati ad un approfondimento sulle materie oggetto del referendum, con esposizioni della normativa e delle ragioni di una parte come dell’altra.
PREMESSA
Innanzitutto è bene chiarire cosa è un referendum: è la convocazione del corpo elettorale per abrogare una norma di legge. La previsione di un quorum esprime la necessità che esprima la propria opinione almeno la maggioranza degli italiani. Questo in quanto la funzione legislativa è già assegnata ai rappresentanti del popolo, i parlamentari: pertanto, per abrogare un atto approvato già dalla maggioranza dei rappresentanti del popolo è necessario che si rechi alle urne almeno la maggioranza del popolo stesso.
Quanto detto spiega perché l’astensione costituisca esercizio del tutto legittimo del proprio diritto di voto. Dunque vi sono tre possibilità:
- andare a votare, quindi contribuire al raggiungimento del quorum, e votare “sì”;
- andare a votare, quindi contribuire al raggiungimento del quorum, e votare “no”;
- non andare a votare, quindi impedire il raggiungimento del quorum (che, di fatto, agevola i “no”).
Bisogna ricordare, inoltre, che i quattro quesiti sono autonomi tra loro: si può votare per i quesiti che interessano, scegliendo così per quale quesito concorrere al raggiungimento del quorum.
PRIMO QUESITO: “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”
Vediamo, quindi, di cosa si parla. Con il primo quesito viene chiesto agli elettori se vogliono abrogare l’art. 23-bis del cosiddetto decreto Ronchi, un decreto legge del 2008.
1. Cosa prevede questo articolo?
Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali deve avvenire per regola mediante “procedure competitive ad evidenza pubblica”, cioè mediante gara pubblica, o a privati o a società con partecipazioni pubbliche. L’affidamento di tali servizi alla stessa Amministrazione locale (si parla di affidamento “in house”), invece, costituisce l’eccezione percorribile solo nei casi in cui il ricorso al mercato non sia possibile: tale scelta va adeguatamente motivata ed è previsto l’obbligo di inviare apposita relazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust).
2. Cosa è cambiato con la norma che si intende abrogare?
In base all’art. 23-bis del decreto Ronchi, per tutti i servizi pubblici locali (dunque non solo la gestione dell’acqua, ma tutti i servizi pubblici locali, i rifiuti ad esempio) si deve procedere ad una gara pubblica. L’amministrazione locale ha, quindi, due possibilità:
- in via ordinaria, indire una gara pubblica, a cui potranno partecipare sia soggetti privati che società con partecipazioni pubbliche;
- in via eccezionale, affidare a se stesso (“in house”) la gestione del servizio pubblico locale, dando motivazioni di tale scelta e informando l’Antitrust.
Questa norma è stata prevista per recepire una raccomandazione europea: l’Europa oramai da molti anni ha dimostrato di prediligere gli strumenti più trasparenti e, tra questi, il ricorso alle gare pubbliche per il conferimento della gestione dei servizi pubblici, mentre ha cercato di limitare sempre di più il ricorso al sistema "in house", cioè totalmente pubblico.
3. Cosa accade se la norma viene abrogata?
Si ritorna al sistema vigente in precedenza che prevede sempre il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a privati e a società con partecipazioni pubbliche, ma senza indizione di una gara: lo strumento ritornerebbe quello della concessione, dunque mediante affidamento diretto senza valutazione comparativa tra diversi soggetti.
L’affidamento “in house”, inoltre, ritornerebbe ordinario, senza necessità di motivazione.
4. Di cosa si parla quindi?
Da quanto detto è chiaro che questo quesito nulla c’entra con la privatizzazione della gestione del servizio pubblico locale e, meno che mai, con la privatizzazione dell’acqua. Facciamo chiarezza: l’acqua rimane bene pubblico, come previsto a chiare lettere dall'art. 15 del medesimo decreto Ronchi, secondo cui è garantita la “piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche”.
Ciò che viene affidato ai privati è semmai la gestione del servizio idrico, cioè di erogazione dell’acqua. Ma – e qui la disinformazione ha regnato sovrana persino in certe comunicazioni ufficiali della RAI – ciò che cambia con la vincita del referendum non è che il servizio di erogazione dell’acqua ritorna in mano pubblica: come abbiamo visto, la normativa precedente (che ritornerebbe quindi in vigore) già prevedeva la possibilità di affidare a privati la gestione del servizio idrico. Ciò che cambia sono solo due cose: da un lato, questo conferimento non avverrà mediante una gara pubblica, ma solo mediante una concessione diretta; dall’altro, la gestione “in house” (cioè da parte della stessa amministrazione locale) ritornerà possibile in via ordinaria e senza controllo da parte dell’Antitrust.
5. Cosa è da valutare per rispondere positivamente o negativamente al quesito?
Bisogna chiedersi se si preferisce lo strumento della gara pubblica a quello della concessione: il primo, almeno in teoria, garantisce la concorrenza tra più operatori e, quindi, la scelta tra le migliori offerte che offre la piazza; il secondo è più snello e veloce, ma anche meno trasparente e meno a tutela della concorrenza.
Bisogna chiedersi, inoltre, se si vuole che l’affidamento “in house” sia considerata un’eccezione, soggetta a controllo, o se venga considerata una possibilità come altre: al riguardo, bisogna sapere che la gestione “in house” significa gestione in mano totalmente pubblica, senza ricorso al mercato, dunque in teoria più economica, ma di fatto con minore garanzia del migliore concorrente nel mercato e pericolo per la trasparenza del servizio (l'Europa disincentiva sempre più questo strumento).
Un esempio può semplificare le cose. Ipotizziamo che in un condominio bisogna decidere come gestire la manutenzione dei locali comuni: se provvedono gli stessi condomini si risparmia in termini di tempo e si presume di tariffe finali, ma il servizio può non essere ottimale e c’è il rischio di favoritismi e mancanza di trasparenza; se si prevede il ricorso a una gara pubblica, cui possono accedere sia gli stessi condomini che tecnici professionisti, si darebbe spazio ad un più ampio ventaglio di scelta e ad un servizio migliore e le tariffe, se c’è vera concorrenza, non crescerebbero.
6. Dunque voto sì, voto no o mi astengo?
Se vai a votare e voti sì: vuoi che la gestione dei servizi pubblici (attenzione, di tutti i servizi pubblici, non solo l’acqua) venga affidata non mediante gara pubblica, ma mediante concessione diretta, sia a soggetti privati che a società con partecipazioni pubbliche, e vuoi che la gestione del servizio pubblico locale “in house” venga considerata ordinaria, senza necessità di comunicazione all’Antitrust.
Se vai a votare e voti no: vuoi che la gestione dei servizi pubblici locali venga sempre affidata mediante gara, sia a soggetti privati che a società con partecipazioni pubbliche, e vuoi che la gestione del servizio pubblico locale “in house” venga considerata eccezionale, da motivare e con controllo dell’Antitrust.
Se non vai a votare: vuoi che non si raggiunga il quorum e, di fatto, propendi per il “no”.
In nessun caso ti esprimi sulla privatizzazione, né del servizio di erogazione dell’acqua, né dell’acqua stessa. L’acqua continua a rimanere in entrambi i casi un bene pubblico e in entrambi i casi i privati potranno gestire il servizio idrico.
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È presente 1 commento
>L’affidamento “in house”, inoltre, ritornerebbe ordinario, senza necessità di motivazione.
Quest'affermazione è radicalmente errata: non solo non è più così da molti anni, ma come ben specificato da C. Cost. 24/2011 troverebbero applicazione le varie direttive europee in materia, che negano alla radice la possibilità di affidamenti in house salvo eccezioni.
Radicalmente sbagliata è quindi l'ultima risposta: il regime delle concessioni è per fortuna morto e sepolto da tempo. Che vinca il sì o vinca il no, ci sarà sempre e solo gara ad evidenza pubblica (come ormai previsto dal Trattato UE e dalle direttive europee, in particolare la 2004/18/CEE recepita con il d. lgs. 163/2006, la direttiva quadro sulle acque 2000/60/CEE e collegate).
Conviene correggere il testo: se può esservi utile sul mio blog ho studiato a lungo il caso e ho collezionato tutti i riferimenti necessari, dai testi di legge alle sentenza della Corte Costituzionale alle direttive europee in materia.
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