venerdì, giugno 10, 2011
In occasione dei referendum di domenica 12 e lunedì 13 giugno, pubblichiamo sulla nostra rivista un approndimento in quattro puntate di Marco Ciamei. Il secondo quesito (scheda di colore giallo) è forse l’argomento più complesso e che richiede più spiegazioni.

SECONDO QUESITO: “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito”

Con il secondo quesito viene chiesto agli elettori se vogliono abrogare l’inciso “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito” dal 1° comma dell’art. 154 del cosiddetto Codice dell’ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006).

1. Cosa prevede questo articolo?
Il 1° comma dell’art. 154 del Codice dell’ambiente disciplina la tariffa del servizio idrico, prevedendo che la tariffa debba seguire la regola del “corrispettivo”: cioè la tariffa deve essere determinata in base a voci direttamente legate al servizio offerto. Più precisamente, questa norma prevede che la tariffa del servizio idrico debba essere determinata in base a questi parametri:
  • qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari;
  • entità dei costi di gestione delle opere;
  • adeguatezza della remunerazione del capitale investito;
  • costi di gestione delle aree di salvaguardia;
  • una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito.
Il 1° comma precisa, infine, con una disposizione “di chiusura”, che la tariffa deve essere comunque determinata in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”.

Dunque, riassumendo, l’intera disposizione prevede che la tariffa finale – quella che verrà posta a carico dei cittadini utenti – debba coprire i costi di esercizio e di investimento, tenendo comunque conto di una serie di aspetti ulteriori e, tra questi, appunto della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, fino ad un massimo del 7%.

2. Cosa è cambiato con la norma (o meglio, l’inciso) che si intende abrogare?

Bisogna capire cosa significhi l’espressione “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Si tratta, in poche parole, della nozione di profitto: una volta che l’imprenditore (pubblico o privato) ha coperto i costi con i ricavi avuti, tutto il resto diventa il suo “premio”, il guadagno che riceve dall’attività.
In un mercato monopolistico, questo profitto diventa facilmente extra-profitto, non avendo l’imprenditore quella forza di contrasto rappresentata dalla concorrenza (ecco perché in questi casi è prevista la necessità di una gestione esclusivamente pubblica, ricordate il primo quesito?). Solo in presenza di un mercato concorrenziale, infatti, l’imprenditore ha interesse a mantenere basse le tariffe finali, e quindi il suo profitto, altrimenti il concorrente che offre tariffe più basse gli soffierà clienti.
Qual è il problema cui voleva ovviare la norma abrogata? Quello di incentivare l’intervento dei privati in un settore, quello del servizio idrico, che ha un’enorme necessità di capitali per le spese di gestione e di investimento. Saprete tutti che la stragrande maggioranza dei sistemi idrici italiani sconta un alto tasso di perdita di acqua e di inefficienza idrica (in media il 37%, con punte del 70% al sud) e si stima che per ammodernare l’intera rete ci sia bisogno di capitali per circa 2 miliardi di euro l’anno per 20-30 anni. Una mole di soldi che le pubbliche amministrazioni, evidentemente, non hanno. Volendo calcolare le tariffe davvero necessarie per un riequilibrio del sistema a lungo termine, si calcola che gli attuali 90 euro pro capite annui debbano aumentare del 20%: questo sarebbe, almeno secondo alcuni studiosi indipendenti, l’aumento “equilibrato” che la norma comporterebbe a pieno regime.

Ecco, quindi, perché la disposizione in parola: solo se c’è possibilità di profitto il privato ha interesse ad investire un grosso capitale. Ecco, però, anche le obiezioni, legate ad un più che scontato aumento delle tariffe. Al riguardo, tuttavia, rimando a quanto dirò più avanti in merito ad un concetto fondamentale, ossia alla differenza tra tariffe e costi.

3. Cosa accade se l’inciso viene abrogato?

Rimane l’impalcatura dell’intero comma 1° dell’art. 154, dovendo però il soggetto gestore del servizio idrico (che può essere pubblico, misto pubblico-privato o privato) determinare le tariffe finali limitandosi a coprire i costi, anche di investimento, ma senza possibilità di profitto ulteriore. Ciò implica lo scioglimento progressivo delle società miste attualmente operanti sul mercato, la necessità per gli ATO (ora le Regioni) di ri-acquistare le loro quote e l’obbligo di realizzare investimenti nel settore soltanto con risorse pubbliche e soltanto a fondo perduto

4. Cosa accade se l’inciso non viene abrogato?

I soggetti gestori del servizio idrico – dunque, si ribadisce, non solo i privati ma anche i soggetti pubblici e i soggetti a partecipazione mista pubblico-privato – potranno adeguare le tariffe finali in modo da prevedere anche un profitto, comunque fino ad un massimo del 7%. Ciò comporta, evidentemente, l’avverarsi delle condizioni per l’afflusso di capitale privato.

5. Quali sono i problemi sottesi alla questione?

È evidente che il problema centrale è se sia, in primo luogo, giusto che si possa lucrare sulla gestione del servizio idrico e, in secondo luogo, se ciò sia produttivo di risultati positivi. Dal primo punto di vista, i promotori del referendum affermano che l’acqua è un “bene comune” sul quale non è etico lucrare. Vi sono molti esempi di multinazionali che gestiscono l’acqua con criteri per nulla rispondenti a quella che è una caratteristica peculiare del servizio idrico, il fatto di riguardare un bene di prima necessità (il c.d. oro blu).

Dall’altra parte, invece, i controreferendari sostengono che la previsione di una gestione imprenditoriale del servizio idrico – e non dell’acqua – non sia in contrasto con il carattere di bene comune dell’acqua, poiché l’erogazione di quest’ultima verrebbe comunque garantita a tutte la fasce della popolazione e, anzi, la presenza di un profitto in un sistema concorrenziale è una chance per una migliore diffusione di questo bene, dovendosi affidare ai necessari Organi di controllo l’attenzione a che le tariffe non vengano “pompate” oltre i limiti di giustizia.

Dal secondo punto di vista, e dunque quanto al problema se la previsione di un profitto sia o meno efficace, i promotori del referendum sostengono che il “mercato” ha effetti distorsivi e non permette il rispetto dei diritti fondamentali, tra i quali il godimento di un bene primario quale l’acqua. Il sistema incentrato sui profitti, inoltre, farebbe aumentare a dismisura i costi per i cittadini, facendo diventare l’acqua un bene di lusso, e nei fatti non si è dimostrato in Italia positivo.

Al contrario, i controreferendari affermano che solo mediante la previsione di un profitto per il gestore sarà possibile far affluire gli enormi capitali necessari all’ammodernamento della rete idrica, capitali che il pubblico non può in alcun modo sopportare, se non tramite ulteriore indebitamento. Saranno poi gli organi di controllo e le verifiche al puntuale rispetto della normativa a garantire che non vi saranno abusi (i cosiddetti extra-profitti). Gli esempi negativi, peraltro, farebbero riferimento a sistemi di fatto non aperti ai privati (come il caso classico di Agrigento, dove la società era mista pubblico-privato, ma quest’ultima componente era comunque costituita da altri soggetti pubblici) o non rispettosi dei criteri concorrenziali, al contrario di moltissimi altri sistemi vigenti in Germani, in Olanda e negli Stati Uniti, che funzionano perfettamente.

6. Cosa è da valutare per rispondere positivamente o negativamente al quesito?

Bisogna innanzitutto comprendere bene una differenza non intuitiva: quella tra costi e tariffe. I primi fanno riferimento alle spese necessarie per garantire una gestione efficiente ed efficace del servizio e non dipendono dal profitto; le seconde fanno riferimento all’importo che il gestore ritiene necessario attribuire agli utenti finali per coprire i costi e remunerare i propri investimenti, prevedendo anche un profitto imprenditoriale.
Qui è bene fare una precisazione: nella gestione pubblica una tariffa bassa non significa, automaticamente, costi bassi. I costi, come detto, dipendono da fattori “intrinseci” (manutenzione rete, stipendi dipendenti, investimenti, interessi passivi, ecc.) e vanno comunque pagati: o mediante le tariffe o in altro modo. E nel settore pubblico, che ha interesse elettorale a tenere basse le tariffe (le nostre sono le più basse d’Europa), questo altro modo ha significato il ricorso alle tasse. Ora questo non è più possibile, essendoci un esplicito divieto in tal senso, per cui l’unica strada è l’indebitamento dell’ente pubblico.
I costi vanno comunque sopportati dalla collettività, o mediante le tariffe (che sono trasparenti) o mediante le tasse (evidentemente meno trasparenti): e mentre le prime sono in diretto rapporto con il consumo effettivo, le seconde si “spalmano” indistintamente tra tutti i cittadini, facendo saltare ogni discorso di equità tra chi consuma di meno e chi di più, tra chi risparmia e chi abusa, tra i poveri e i ricchi, ecc.

Per decidere il proprio voto al referendum, pertanto, bisogna chiedersi se si vuole un sistema di gestione del servizio idrico che sia parametrato alla sola logica della copertura dei costi, così come avvenuto sino ad ora, o se sia meglio accedere alle logiche di mercato, che si afferma permettano un miglioramento del servizio.

Bisogna verificare quanto siano efficaci gli strumenti di controllo del funzionamento del mercato e se questi garantiscano che i profitti non diventino extra-profitti. Dall’altra parte, bisogna verificare quale sia l’attuale gestione delle reti idriche e quale modo alternativo più efficiente, diverso dal ricorso al profitto privato, sia ipotizzabile.

Si tratta di soluzioni alternative, quindi, entrambi con pregi e difetti, entrambi adottati nei Paesi civili: si tratta di scegliere il metodo che si ritiene migliore in base alle condizioni attuali.

7. Dunque voto sì, voto no o mi astengo?

Vai a votare e voti sì: vuoi che le tariffe per il servizio idrico non vengano adeguate alla remunerazione del capitale investito, in altri termini vuoi che il servizio idrico segua una logica di pura copertura dei costi.
Vai a votare e voti no: vuoi che le tariffe del servizio idrico vengano adeguate alla remunerazione del capitale investito, cioè vuoi che il servizio idrico sia aperto ai profitti dei privati.
Non vai a votare: vuoi che non si raggiunga il quorum e, di fatto, propendi per il “no”.

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