martedì, luglio 05, 2011
“A Cano tendiamo la mano, la mano di un fratello colombiano affinché possiamo raggiungere la pace…Lui, che è un uomo intelligente, deve capire che la violenza porta solo violenza e che quello di cui la Colombia ha bisogno è il perdono”.

Agenzia Misna - A nome della Chiesa, il segretario della Conferenza episcopale colombiana, monsignor Juan Vicente Córdoba, si è rivolto così al massimo capo delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), noto con l’alias di Alfonso Cano, chiedendogli di consegnarsi alle autorità e offrendosi per una nuova mediazione tra il governo e la guerriglia più longeva dell’America Latina. “La Chiesa cattolica è disposta a dialogare, a prestarsi come facilitatrice, se il presidente (Juan Manuel Santos) lo consentirà” ha aggiunto il presule, citato dal quotidiano ‘El Tiempo’, parlando da Bogotá.

Anche il presidente dei vescovi, monsignor Rubén Salazar, ha auspicato una via d’uscita pacifica al conflitto interno che si trascina ormai da quasi mezzo secolo: “L’ideale – ha detto – è che si possa davvero vivere la pace, che non ci sia una sollevazione armata e che lo Stato garantisca per tutti la giustizia in ogni campo. Il nostro messaggio è stato sempre a favore della fine del conflitto”. Secondo monsignor Salazar, “la Colombia si è evoluta negli ultimi anni abbastanza per ottenere una vera concertazione, un dialogo, a cui tutti possano partecipare per la costruzione di un paese migliore”.

L’intervento della Chiesa giunge mentre sono in corso massicce operazioni mirate alla cattura di Cano – vero nome Guillermo León Sánchez Vargas – che ha assunto il comando delle Farc (circa 8000 uomini) dopo la morte del fondatore e massimo capo della prima guerriglia colombiana, Manuel ‘Tirofijo’ Marulanda, il 26 marzo 2008.

Nel frattempo, la seconda guerriglia colombiana, quella dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), ha ‘celebrato’ i 47 anni dalla sua nascita – il 4 luglio 1964 – diffondendo un messaggio via Internet in cui ribadisce la “necessità della ribellione” in un paese in cui – sostiene – “si sono aggravate tutte le cause che hanno giustificato la sollevazione armata: lo sfruttamento economico, l’esclusione politica, la repressione militare e la dipendenza dall’estero”.

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