lunedì, luglio 11, 2011
Due imponenti personalità, quelle di Giuseppe Dossetti e del cardinal Giacomo Lercaro, si incontrano in occasione del Concilio Vaticano II e imprimono all’assise conciliare un inedito corso, che culminerà nell’affermazione dell’esigenza di una Chiesa non solo attenta alle necessità spirituali e materiali dei poveri ma essa stessa povera, nello stile che contraddistinse nostro Signore Gesù Cristo.

di Bartolo Salone

E’ questo l’oggetto del nuovo saggio di Corrado Lorefice, da poco edito dalle Paoline, dal titolo “Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II”. Il testo, ricco di riferimenti storiografici e magisteriali, analizza la concezione teologica della povertà espressa dal card. Lercaro nel suo celebre discorso sulla Chiesa povera e dei poveri, tenuto il 6 dicembre 1962 durante la 35° Congregazione generale del Concilio, che tanto dibattito avrebbe suscitato tra gli stessi Padri conciliari e tanta eco avrebbe avuto nell’opinione pubblica di quegli anni. Il discorso lercariano è il frutto delle ricerche e dell’ausilio che, in qualità di perito teologico al Concilio, don Dossetti prestò al cardinale. Si tratta dunque di una visione condivisa tra i due grandi esponenti del cattolicesimo italiano post-bellico, una visione che risente inevitabilmente del percorso umano e spirituale che Dossetti e Lercaro maturarono dal confronto con i dolorosi eventi del secondo conflitto mondiale e col pensiero marxista, che tante masse di miseri e diseredati sottrasse, illudendole, alla sequela di Cristo e alla fedeltà alla Chiesa.

Il testo si articola in due grandi parti. Nella prima si ripercorre l’intera esperienza umana di Giuseppe Dossetti, dall’infanzia alla lotta partigiana, dalla partecipazione all’Assemblea costituente all’impegno politico nella DC fino alla svolta religiosa, che lo porterà gradualmente ad abbandonare la cattedra universitaria e la militanza politica per dedicarsi esclusivamente ad una vita di studio e di preghiera nel Centro di documentazione bolognese e nella famiglia religiosa da lui fondati. Proprio negli anni ’60, quando l’impegno nel mondo di Dossetti, fattosi monaco e sacerdote, sembrava essersi esaurito, la Provvidenza volle che entrasse a pieno titolo nel Concilio Vaticano II come “peritus” di Lercaro.

Si apre così la seconda parte del testo, in cui l’autore affronta, con dovizia di documentazione, l’intervento del card. Lercaro, accuratamente preparato da Dossetti, sulla Chiesa povera e dei poveri. Un intervento originale, poiché per la prima volta il tema della povertà della Chiesa viene affrontato in chiave cristologica: la povertà, nella prospettiva lercariana (e dossettiana), non può essere intesa come una semplice virtù personale che contraddistingue qualche volenteroso cristiano (questa era la prospettiva privilegiata dalla teologia tradizionale), ma va intesa in una accezione più ampia, come caratteristica che deve contraddistinguere la Chiesa tutta nel suo rapporto con gli uomini. Come Cristo ha predicato la buona novella ai poveri con uno stile di vita povero, così anche deve fare la Chiesa, costituita da Cristo per perpetuarne la missione. Dunque, non è sufficiente che la Chiesa sia dalla parte degli ultimi di questo mondo, che sia cioè Chiesa dei poveri, ma occorre anche che essa sia povera sull’esempio di Gesù. Ciò impone un profondo cambiamento non solo delle istituzioni ecclesiali (soprattutto nel rapporto coi poteri di questo mondo e con i beni materiali di cui pur necessita la missione evangelizzatrice), bensì anche della coscienza dell’intero popolo cristiano. Lercaro, infatti, nel suo discorso, si riferisce non tanto (o non soltanto) alla Chiesa-istituzione, ma alla Chiesa come mistero del corpo di Cristo, vale a dire alla Chiesa concepita come comunità dei credenti. La povertà, da virtù etica di pochi, da consiglio evangelico, viene così reinterpretata come elemento distintivo della vita di ogni cristiano. La povertà è in altri termini un “precetto” che ogni fedele è chiamato a vivere, pur in una varietà di forme diverse a seconda della vocazione specifica di ciascuno. La responsabilità di una Chiesa povera e dei poveri è dunque, secondo lo spirito del Vaticano II, una responsabilità che le gerarchie ecclesiastiche condividono necessariamente con i laici.

Un discorso innovativo e per certi aspetti “sconvolgente” quello del cardinal Lercaro, che sta alla base di alcuni dei principali documenti elaborati dal Concilio. Anche se quest’ultimo privilegerà la prospettiva di una Chiesa dei poveri, di una Chiesa che sta dalla parte degli ultimi, dei perseguitati, dei deboli, più che di una Chiesa in sé povera, l’impostazione cristologica sulla povertà troverà comunque posto nella costituzione dogmatica sulla Chiesa, la “Lumen gentium”, al cui capitolo ottavo si legge significativamente: “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza”.

Parole profetiche quelle della “Lumen gentium”, benché finora abbiano trovato scarsa ricezione nei documenti pontifici e nell’elaborazione teologica successiva al Concilio, con la significativa eccezione – va ricordato – e talora con gli eccessi, della teologia della liberazione latino-americana.

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