giovedì, luglio 07, 2011
Le mafie controllano più di cinquemila tra ristoranti, pizzerie e bar. «Dove c'è pizza c'è mafia», dichiarò uno dei pochi pentiti della 'ndrangheta all'indomani della strage di Duisburg.

Liberainformazione - E non solo pizza, ma ristoranti, pub, centri commerciali. Utilizzati dalle mafie come lavanderia di denaro sporco. E' di pochi giorni fa l'ultima operazione delle Forze dell'Ordine. Nella capitale della pizza, gli uomini della Dia di Napoli, coadiuvati da Carabinieri e Guardia di Finanza, su mandato della Dda partenopea hanno posto i sigilli alla pizzeria “Regina Margherita”. Sigilli non solo alla sede napoletana ma anche a quelle di Genova, Bologna e Torino. Esempio di glocal che diventa mafioso.

Marchio doc. Denominazione origine camorristica. Del clan Lo Russo. La ristorazione è “cosa loro.” E' il nuovo affare della criminalità organizzata. Da Roma a Milano, passando per la via Emilia, la Liguria e la Toscana, sulla base delle recenti inchieste e dei sequestri di beni, viene stimato in almeno 5000 il numero dei locali tra ristoranti, pizzerie, bar, in mano alle mafie. Uno stuolo di esercizi spesso intestati a prestanome, dove la pratica dell’evasione fiscale è sistematica. Rete di locali per “ripulire” denaro mafioso macchiato di sangue e violenza. Siamo in presenza della più grande catena di ristoranti in Italia con un giro d'affari di circa un miliardo di euro all'anno. Non esiste franchising. Posto che vai, proprietario che trovi. Unica certezza: sono i ristoranti dei boss. Anche se “loro” non li trovi mai direttamente nella gestione dell'attività. Usano prestanomi.

Società pulite. Spesso un continuo passaggio di mano tra un proprietari all'altro. Locali che vengono ristrutturati con frequenza. Scatole cinesi difficile da intercettare. A tavola i soldi si riciclano. Con facilità. E pochi rischi. Basta seguire piccole regole. Il conto spesso si paga in contanti. Le carte di credito sono off limits. Lasciano tracce. Indizi di colpevolezza. Del resto basta avere memoria per ricordarsi che tra i beni sequestrati a Giuseppe Setola, il killer sanguinario dei casalesi, c'era anche la “Taverna del Giullare” ristorante che si trovava nel salotto della Napoli bene. E che dire quando la capitale d'Italia si svegliò con la presenza della 'ndrangheta in un locale in via Veneto di Felliniana memoria. Uomini dei Ros e dello Scico e le Procure di Reggio Calabria e Roma scoprirono che il "Cafè de Paris" dopo un periodo di declino, era finito nelle mani del clan alleato degli Alvaro- Palamara.

Come manager avevano “ingaggiato” un barbiere calabrese. Per non parlare del maxisequestro che ha portato alla chiusura dell'Antico Caffè Chigi, a pochi passi dal Palazzo del Governo Che business. Da attenzionare ancora con più decisione. Faccia concreta di una criminalità organizzata ingorda ed insaziabile che agisce in ogni compartimento dalla produzione alla grande distribuzione. E noi, clienti inconsapevoli mangiamo, paghiamo e ingrassiamo i loro portafogli. E purtroppo non è questione di gusti. Nemmeno di prezzo. E' solo uno sporco affare. Di mafia e di camorra.

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