Comunicato di ACS-Aiuto alla Chiesa che Soffre sulla difficile situazione dei cattolici in Iraq. Il testo contiene dichiarazioni del direttore esecutivo della Federazione dei Caldei d’America, Joseph Kassab.
«In Iraq i cristiani sono vittime di delitti atroci e incredibili perché costituiscono un facile obiettivo: sono colti, educati, non hanno un esercito che li protegge e, soprattutto, non possiedono armi». Il direttore esecutivo della Federazione dei Caldei d’America, Joseph Kassab, racconta ad ACS la drammatica situazione dei cristiani in Iraq, spiegando le ragioni alla base del massiccio esodo che dall’inizio della guerra ha visto la comunità cristiana passare da 1.200.000 del 2003 agli appena 300mila attuali. «Di questi, la maggior parte è stata costretta ad emigrare al Nord in cerca di maggiore sicurezza. Poi, ci sono altre 3-400mila persone che hanno chiesto asilo in Europa o in Paesi confinanti, come Libano, Giordania, Siria, Turchia o Egitto».
Kassab spiega ad ACS che i loro valori hanno reso i cristiani più vulnerabili: «i fondamentalisti prendono di mira i più deboli, chi non si può difendere. Noi desideriamo la pace, non amiamo combattere». Tra i cristiani che hanno pagano duramente la loro appartenenza religiosa, sono stati molti i membri del clero. Tra quelli rapiti o uccisi c’è monsignor Mar Paulos Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul, trovato morto nel febbraio 2008. «Proprio in quei giorni ero in partenza dagli Stati Uniti per andarlo a trovare – racconta Kassab – ma, purtroppo, una volta arrivato in Iraq, anziché abbracciarlo o parlare con lui, ho assistito al suo funerale».
Quello del presule iracheno non è certo l’unico episodio rimasto impresso nella memoria del direttore esecutivo della Federazione Caldei d’America che riferisce ad ACS anche la storia di Rita, ragazza cristiana di 24 anni rapita e ripetutamente stuprata da un gruppo di fondamentalisti, e di Ajad che a soli 14 anni è stato ucciso perché s’era rifiutato di convertirsi.
Eppure, almeno sulla carta, la Costituzione irachena riconosce il diritto alla libertà religiosa. «In teoria sì, ma lo fa in modo del tutto sbrigativo, per poi contraddirsi in un articolo successivo in cui definisce l’Islam Religione di Stato, vietando di fatto qualsiasi sentenza non in linea con la legge islamica». Ciò implica inevitabilmente una minor tutela dei diritti dei non musulmani e rende necessaria una revisione della Carta costituzionale. Per quanto riguarda lo stato della democrazia, Kassab ritiene che il Paese sia ben lontano dal raggiungerla in maniera matura. In parte a causa dei cambiamenti sopraggiunti, tra cui la massiccia proliferazione di partiti politici – oggi sono più di 300 – e l’altissimo tasso di disoccupazione ormai giunto al 90%. «La democrazia si basa su due pilastri: il potere detenuto dalla maggioranze e il rispetto dei diritti religiosi e civili delle minoranze. Niente di tutto questo si riscontra in Iraq», ha affermato Kassab.
Circa l’esodo dei cristiani, il loro allontanamento dal Paese si traduce anche in minori aspettative per il futuro dell’Iraq. La maggioranza dei cristiani ha ricevuto un’ottima educazione, anche nelle Università americane ed europee oltre che in quelle dirette dai Gesuiti. In molti casi, sono imprenditori di successo, costretti – come anche tanti intellettuali e professionisti musulmani – ad abbandonare la nazione a causa delle intimidazioni. «Tempo fa l’Unesco ha parlato di almeno 20mila illustri iracheni costretti a fuggire: una grave perdita che priva l’Iraq di importanti risorse per la ricostruzione e la risoluzione dei problemi».
Kassab condivide con ACS la sua preoccupazione per la comunità cristiana che «rischia di essere allontanata non solo dall’Iraq, ma da tutto il Medio Oriente». È dunque necessario intervenire informando e sensibilizzando il più possibile l’opinione pubblica e fare pressione affinché i fedeli possano tornare nelle terre che abitano da più di 5mila anni, in quella che è stata la culla del Cristianesimo: «I cristiani possono favorire la riconciliazione tra tutti gli iracheni. Senza di loro l’Iraq non sarebbe lo stesso Paese che conosciamo da secoli».
Da anni Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene i cristiani d’Iraq, per i quali nel 2010 ha realizzato progetti per oltre 500mila euro. Il supporto è destinato a costruzione e manutenzione di chiese ed altri edifici religiosi, come il Centro per la catechesi nella diocesi di Aqra, ma anche alla formazione di sacerdoti, religiosi e altri operatori pastorali. Sul piano culturale da segnalare il contributo alla rivista Nagm al-Masriq [Stella d’Oriente].
«In Iraq i cristiani sono vittime di delitti atroci e incredibili perché costituiscono un facile obiettivo: sono colti, educati, non hanno un esercito che li protegge e, soprattutto, non possiedono armi». Il direttore esecutivo della Federazione dei Caldei d’America, Joseph Kassab, racconta ad ACS la drammatica situazione dei cristiani in Iraq, spiegando le ragioni alla base del massiccio esodo che dall’inizio della guerra ha visto la comunità cristiana passare da 1.200.000 del 2003 agli appena 300mila attuali. «Di questi, la maggior parte è stata costretta ad emigrare al Nord in cerca di maggiore sicurezza. Poi, ci sono altre 3-400mila persone che hanno chiesto asilo in Europa o in Paesi confinanti, come Libano, Giordania, Siria, Turchia o Egitto».
Kassab spiega ad ACS che i loro valori hanno reso i cristiani più vulnerabili: «i fondamentalisti prendono di mira i più deboli, chi non si può difendere. Noi desideriamo la pace, non amiamo combattere». Tra i cristiani che hanno pagano duramente la loro appartenenza religiosa, sono stati molti i membri del clero. Tra quelli rapiti o uccisi c’è monsignor Mar Paulos Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul, trovato morto nel febbraio 2008. «Proprio in quei giorni ero in partenza dagli Stati Uniti per andarlo a trovare – racconta Kassab – ma, purtroppo, una volta arrivato in Iraq, anziché abbracciarlo o parlare con lui, ho assistito al suo funerale».
Quello del presule iracheno non è certo l’unico episodio rimasto impresso nella memoria del direttore esecutivo della Federazione Caldei d’America che riferisce ad ACS anche la storia di Rita, ragazza cristiana di 24 anni rapita e ripetutamente stuprata da un gruppo di fondamentalisti, e di Ajad che a soli 14 anni è stato ucciso perché s’era rifiutato di convertirsi.
Eppure, almeno sulla carta, la Costituzione irachena riconosce il diritto alla libertà religiosa. «In teoria sì, ma lo fa in modo del tutto sbrigativo, per poi contraddirsi in un articolo successivo in cui definisce l’Islam Religione di Stato, vietando di fatto qualsiasi sentenza non in linea con la legge islamica». Ciò implica inevitabilmente una minor tutela dei diritti dei non musulmani e rende necessaria una revisione della Carta costituzionale. Per quanto riguarda lo stato della democrazia, Kassab ritiene che il Paese sia ben lontano dal raggiungerla in maniera matura. In parte a causa dei cambiamenti sopraggiunti, tra cui la massiccia proliferazione di partiti politici – oggi sono più di 300 – e l’altissimo tasso di disoccupazione ormai giunto al 90%. «La democrazia si basa su due pilastri: il potere detenuto dalla maggioranze e il rispetto dei diritti religiosi e civili delle minoranze. Niente di tutto questo si riscontra in Iraq», ha affermato Kassab.
Circa l’esodo dei cristiani, il loro allontanamento dal Paese si traduce anche in minori aspettative per il futuro dell’Iraq. La maggioranza dei cristiani ha ricevuto un’ottima educazione, anche nelle Università americane ed europee oltre che in quelle dirette dai Gesuiti. In molti casi, sono imprenditori di successo, costretti – come anche tanti intellettuali e professionisti musulmani – ad abbandonare la nazione a causa delle intimidazioni. «Tempo fa l’Unesco ha parlato di almeno 20mila illustri iracheni costretti a fuggire: una grave perdita che priva l’Iraq di importanti risorse per la ricostruzione e la risoluzione dei problemi».
Kassab condivide con ACS la sua preoccupazione per la comunità cristiana che «rischia di essere allontanata non solo dall’Iraq, ma da tutto il Medio Oriente». È dunque necessario intervenire informando e sensibilizzando il più possibile l’opinione pubblica e fare pressione affinché i fedeli possano tornare nelle terre che abitano da più di 5mila anni, in quella che è stata la culla del Cristianesimo: «I cristiani possono favorire la riconciliazione tra tutti gli iracheni. Senza di loro l’Iraq non sarebbe lo stesso Paese che conosciamo da secoli».
Da anni Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene i cristiani d’Iraq, per i quali nel 2010 ha realizzato progetti per oltre 500mila euro. Il supporto è destinato a costruzione e manutenzione di chiese ed altri edifici religiosi, come il Centro per la catechesi nella diocesi di Aqra, ma anche alla formazione di sacerdoti, religiosi e altri operatori pastorali. Sul piano culturale da segnalare il contributo alla rivista Nagm al-Masriq [Stella d’Oriente].
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