A Homs sunniti e alawiti si scontrano per ore, almeno 30 morti, le forze dell’ordine non intervengono. Intanto l’esercito prosegue il “rastrellamento” nelle città di confine per arrestare chi protesta. In Bahrain l’opposizione definisce “non seri” i “colloqui di riconciliazione” e minaccia di abbandonarli.
Damasco (AsiaNews/Agenzie) – E’ di almeno 30 morti in 24 ore il bilancio dei duri scontri tra dimostranti e sostenitori del presidente Bashar al-Assad, scoppiati il 16 luglio nella centrale città di Homs. Intanto in Bahrain rischiano di fallire i colloqui “di riconciliazione” per definire riforme democratiche. Rami Abdel Rahman, dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, dice che gli scontri sono esplosi dopo che 3 sostenitori del governo, rapiti nei giorni scorsi, sono stati uccisi e smembrati e i corpi a pezzi sono stati restituiti ai parenti. “Le due fazioni – spiega – hanno iniziato a battersi con bastoni, ma poi sono state usate armi da fuoco”. Egli denuncia che molte persone sono state uccise da cecchini che hanno sparato sulla folla, senza che le forze dell’ordine intervenissero. Pare che l’esercito sia intervenuto solo dopo il termine degli scontri. Ieri sera nella città regnava una calma precaria.
Altre fonti riferiscono che lo scontro ha avuto matrice confessionale, tra i dimostranti islamici sunniti e gli alawiti che sostengono il governo. Il Paese rischia sempre più di precipitare in una vera guerra civile, temuta dalla massa dei dimostranti che chiedono pacifiche riforme democratiche. Il presidente Bashar al-Assad, esponente della minoranza alawita al potere, non appare però intenzionato a fare concessioni, nonostante la pressione internazionale.
Intanto ieri sera l’esercito è entrato nella città di Zabadani, vicino al confine libanese, per stroncare le proteste antigovernative, perquisendo casa per casa e arrestando più di 50 persone, come riferisce Abdel Karim Rihaoui della Lega Siriana per i Diritti dell’Uomo.
Anche a est, presso il confine con l’Iraq, nella città di Al-Bukamal le forze armate hanno sparato sui dimostranti causando almeno un morto. Si teme che ci sarà anche qui un rastrellamento casa per casa, per arrestare chi protesta.
Del tutto diversa la versione dell’agenzia statale SANA, che parla di “bande armate terroriste che hanno assalito un ufficio del governo e portato via le armi che vi erano custodite” con 3 morti e 2 rapiti tra il personale di sicurezza. Il governo da mesi ha cacciato dal Paese i giornalisti stranieri, rendendo difficile la verifica e la diffusione di notizie. Dall’inizio delle proteste si parla di oltre 1.400 morti e 12mila arrestati, con decine di migliaia di persone che sono fuggite oltre confine, soprattutto in Libano, per sottrarsi a ritorsioni dell’esercito.
Intanto torna tesa la situazione in Bahrain, dopo che Al-Wefaq, il maggior blocco d’opposizione sciita del Paese, ha annunciato l’intenzione di “lasciare i colloqui di riconciliazione”, iniziati lo scorso 2 luglio. Il “dialogo nazionale” riunisce 300 partecipanti di partiti politici, ong, media, parlamento, sindacati e imprenditori, per trovare una soluzione dopo le proteste scoppiate lo scorso febbraio. (continua a leggere)
Damasco (AsiaNews/Agenzie) – E’ di almeno 30 morti in 24 ore il bilancio dei duri scontri tra dimostranti e sostenitori del presidente Bashar al-Assad, scoppiati il 16 luglio nella centrale città di Homs. Intanto in Bahrain rischiano di fallire i colloqui “di riconciliazione” per definire riforme democratiche. Rami Abdel Rahman, dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, dice che gli scontri sono esplosi dopo che 3 sostenitori del governo, rapiti nei giorni scorsi, sono stati uccisi e smembrati e i corpi a pezzi sono stati restituiti ai parenti. “Le due fazioni – spiega – hanno iniziato a battersi con bastoni, ma poi sono state usate armi da fuoco”. Egli denuncia che molte persone sono state uccise da cecchini che hanno sparato sulla folla, senza che le forze dell’ordine intervenissero. Pare che l’esercito sia intervenuto solo dopo il termine degli scontri. Ieri sera nella città regnava una calma precaria.
Altre fonti riferiscono che lo scontro ha avuto matrice confessionale, tra i dimostranti islamici sunniti e gli alawiti che sostengono il governo. Il Paese rischia sempre più di precipitare in una vera guerra civile, temuta dalla massa dei dimostranti che chiedono pacifiche riforme democratiche. Il presidente Bashar al-Assad, esponente della minoranza alawita al potere, non appare però intenzionato a fare concessioni, nonostante la pressione internazionale.
Intanto ieri sera l’esercito è entrato nella città di Zabadani, vicino al confine libanese, per stroncare le proteste antigovernative, perquisendo casa per casa e arrestando più di 50 persone, come riferisce Abdel Karim Rihaoui della Lega Siriana per i Diritti dell’Uomo.
Anche a est, presso il confine con l’Iraq, nella città di Al-Bukamal le forze armate hanno sparato sui dimostranti causando almeno un morto. Si teme che ci sarà anche qui un rastrellamento casa per casa, per arrestare chi protesta.
Del tutto diversa la versione dell’agenzia statale SANA, che parla di “bande armate terroriste che hanno assalito un ufficio del governo e portato via le armi che vi erano custodite” con 3 morti e 2 rapiti tra il personale di sicurezza. Il governo da mesi ha cacciato dal Paese i giornalisti stranieri, rendendo difficile la verifica e la diffusione di notizie. Dall’inizio delle proteste si parla di oltre 1.400 morti e 12mila arrestati, con decine di migliaia di persone che sono fuggite oltre confine, soprattutto in Libano, per sottrarsi a ritorsioni dell’esercito.
Intanto torna tesa la situazione in Bahrain, dopo che Al-Wefaq, il maggior blocco d’opposizione sciita del Paese, ha annunciato l’intenzione di “lasciare i colloqui di riconciliazione”, iniziati lo scorso 2 luglio. Il “dialogo nazionale” riunisce 300 partecipanti di partiti politici, ong, media, parlamento, sindacati e imprenditori, per trovare una soluzione dopo le proteste scoppiate lo scorso febbraio. (continua a leggere)
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