La nostra inviata Federica Scorpo intervista il parroco anti-camorra di Scampia
Don Aniello, l’ex-parroco anti-camorra di Santa Maria della Provvidenza a Scampia, racconta ai microfoni de La Perfetta Letizia la sua verità. Dopo 16 anni nella comunità del quartiere di Napoli in cui ormai era un punto di riferimento, fu trasferito improvvisamente e misteriosamente a Roma, strappato quindi a quella comunità cui tanto si era dedicato e per cui aveva fatto tante battaglie tentando di ridarle una dignità. Don Aniello mette tutto nero su bianco in un libro dal titolo “Gesù è più forte della camorra”, scritto in collaborazione con Andrea Manzi, in cui racconta, come in un diario, 16 anni di vita, di denunce, d’ingiustizie e di lotte nel quartire di Scampia. Un quartiere troppo spesso accostato alla camorra (contro cui Don Aniello ha lottato e lotta da tanti anni) e una comunità considerata esclusivamente di “camorristi”, mentre Don Aniello ci testimonia un’altra storia…
D- Innanzittutto grazie della sua testimonianza. Ci racconti come mai dopo 16 anni di ufficio pastorale come parroco di Scampia improvvisamente è stato trasferito.
R- Sono un religioso dell’opera Don Guanella e come tale devo seguire le regole interne della congregazione religiosa, che stabiliscono che un sacerdote non debba stare troppo tempo in un posto. Oltre a questo, ci sono norme del diritto canonico che stabiliscono che un parroco non debba stare più di 9 anni in una parrocchia. Poi ci sono anche le eccezioni, ci sono esigenze, necessità e bisogni che alle volte dovrebbero diventare più importanti delle leggi, delle regole stesse. Queste quindi le motivazioni ufficiali da un punto di vista delle disposizioni interne della congregazione, espessione del diritto canonico. Ma alcuni episodi, avvenimenti e fatti legati alla Curia di Napoli e alla comunità dei parroci diocesani di Scampia fanno pensare (e non in maniera blanda…) che vi siano state delle pressioni verso i miei superiori per il mio trasferimento. Non è infatti mai stato gradito il mio impegno anche attraverso i mass-media, così come le mie denunce contro le istituzioni della città di Napoli e le mie prese di posizione contro una catechesi molto tradizionale e parroci troppo silenziosi riguardo alla criminalità. Io denunciavo una pastorale troppo chiusa nelle quattro mura parrocchiali, poco nomade per le strade e tra la gente, e chiedevo pubblicamente un maggiore impegno e prese di posizioni forti nei confronti dei malavitosi stessi, ad esempio per l’amministrazione dei sacramenti ai camorristi, che ho da subito negato ma che tuttavia non ha riscontrato solidarietà da parte dei miei colleghi. Adesso il cardinale di Napoli ha presentato un documento che stabilisce di non dare sacramenti ai camorristi se non dopo un persorso di conversione e cambiamento, così come io facevo già dai primi anni del mio ufficio pastorale di parroco a Scampia.
D- Poi cosa è accaduto? E adesso com’è la sua situazione?
R- Io ho poi obbedito e sono andato a Roma, in cui sono stato per tre mesi (ottobre, novembre e dicembre 2010) fino a gennaio in cui ho chiesto un anno sabbatico, come il diritto canonico consente, e sono ritornato nel mio paese natale a Camposano in provincia di Napoli da mia sorella vedova, in cui do una mano in parrocchia. Poi è uscito il mio libro (Gesù è più forte della camorra) che mi sta impegnando fortemente in tutta Italia per la presentazione. Soprattutto sono molto contento di poter parlare di Gesù Cristo, di Vangelo e legalità in ambienti dove altrimenti sarebbe stato difficile entrare, come le feste PD per esempio. In realtà non avrei dovuto pubblicarlo: secondo il diritto canonico andava prima supervisionato dai vescovi italiani e dall’autorità ecclesiastica. Ma questo libro non è un’opera di teologia o di morale, solo un diario dei miei 16 anni di esperienze; certo, attacco la curia di Napoli ma le mie non sono accuse inventate, e nel libro mostro delle omissioni da parte della stessa curia napoletana.
Nella Chiesa bisognerebbe avere la libertà di parola, come accadeva nei primi tempi, quando Paolo e Pietro non andavano d’accordo ma non per questo uno condannava l’altro o gli diceva di non parlare. Ci vorrebbe una dialettica costruttiva che porti dei risultati e che serva a migliorare il ruolo dei sacerdoti. Tale dialettica, son sicuro, sarebbe ben accettata da tutti.
D- Da alcune sue dichiarazioni emerge una forte critica sulla descrizione, potremmo dire “distorta”, fatta di Scampia e della sua comunità nel film “Gomorra”. E’ lo stesso per il libro di Roberto Saviano?
R- Io non ho mai lesinato critiche né sprecato occasione per attaccare, sia in tv che attraverso la stampa, il film “Gomorra”, che è solo una colata di fango nei confronti di Scampia e della sua cittadinanza. Altra cosa è il libro di Roberto Saviano, opera di un giornalista, un professionista della cultura che ha raccolto notizie dalla Procura della Repubblica della Campania e che fa riferimento anche a Caserta e ad altre realtà, non solo Scampia. Un’opera, quella di Saviano, che esprime bene l’antimafia, ottimo per educare alla legalità e alla denuncia contro il malaffare. Mentre il film, oltre a dire cose inventate, presenta solo gli aspetti negativi e dà una visione unilaterale. Nel libro invece Saviano cerca di rendere ragione ad un territorio descritto sempre con gli stessi stereotipi e le stesse immagini.
D- Quindi non sono vere le presunte ostilità tra lei e Saviano di cui spesso si è sentito parlare. Possiamo smentirle ufficialmente?
R- Assolutamente sì. Con Saviano non c’è mai stata nessuna ostilità, io penso solo che, come affermava Leonardo Sciascia, non sia sufficiente la professionalità culturale ma si renda necessaria anche un’anticamorra delle opere. Bisogna anche rispondere ai bisogni di questa gente per evitare che diventino ostaggio della camorra. Tutti ci dobbiamo impegnare in prima persona. Io ho cercato fondi in tutta Italia per aiutare i bisognosi e in particolare i ragazzi ad avere dei campi e dei luoghi di aggregazione sicuri e puliti. Mi sembrava giusto e ovvio ad esempio che i ragazzi fossero attratti dal calcio e il Centro Sportivo Don Guanella ha cercato di dare loro delle strutture dove giocare in sicurezza. Perché i ragazzi devono essere trattati diversamente. Io ho lottato anche per la giustizia e per ridare a questo territorio quello che gli è stato tolto.
D- Ci descriva lei la vera realtà di Scampia…
R- Scampia è nata come un dormitorio, con grandi palazzoni e vialoni anonimi che ne sono l'emblema, in cui c’è forte degrado abitativo ed edilizio e sporcizia e in cui domina l’incuria, che non fa onore al territorio. Questa è la sua immagine. Sono sempre stato convinto che sia un quartiere nato con un peccato originale e che gli si è voluto dare solo un’immagine di dormitorio: in realtà molte costruzioni servivano alle famiglie che avevano perso l’utilizzo della loro nel terremoto del 1980, poi vi è entrato di tutto, dalle famiglie dei quartieri antichi di Napoli alle famiglie camorriste con tutti i problemi connessi. Certo un quartiere senza servizi, senza attività produttive che favoriscano l’artigianato, senza una progettualità, senza industrie e senza un centro commerciale ha codificato la vocazione di un “quartiere-dormitorio”. Inoltre, essendoci molta povertà, precarietà, disoccupazione (il 65% dei giovani a Scampia), insofferenza economica, la camorra ha trovato il terreno fertile per poter sviluppare i suoi affari tra cui droga, pizzo, racket, ricettazione, usura. Attività queste che si sono sviluppate a dismisura al punto da “ricattare” questo territorio.
Di 70mila abitanti, sono 10mila, secondo uno studio, le famiglie camorriste che vivono appunto con i proventi della camorra. Ma perché considerare tutta la popolazione camorrista? Durante uno sfratto di migliaia di persone, lottai contro l’amministrazione che sosteneva che fossero tutte famiglie di camoristi. Ho avuto accese discussioni con l’allora Assessore al Patrimonio: io lottavo per evitare degli scontri sociali a livello cittadino e perchè riconoscevo che anch’essi erano vittime. Quando infatti fai domanda per una casa popolare, se hai qualche santo in paradiso o al comune, la casa ti viene consegnata subito, altrimenti aspetti 10 o 15 anni. Nel mercato delle case popolari, m’impegnai e denunciai l’amministrazione affinchè fosse riconosciuto il diritto di ogni famiglia ad avere la casa in base ai titoli, non in base a chi ha la raccomandazione o promette un voto, o dà dei soldi. Un’ingiustizia nei confronti dell’intera comunità, che sicuramente avrà avuto comportamenti illegali ma che altrettanto sicuramente è stata vittima dell’amministrazione stessa. Oltre che ostaggio della camorra.
D- Adesso che progetti ha per il futuro?
R- Ho ricevuto una proposta che devo ancora valutare del direttore della Caritas Diocesana di Roma, poi c’è un progetto con la magistratura (sempre come sacerdote) sui minori, per dare loro un’alternativa al carcere attraverso delle comunità. Inoltre il Sindaco di Camposano, il mio paese, vorrebbe affidarmi una struttura per i giovani che in questo momento sono sbandati e non hanno nessuno che li accompagni nel loro cammino. In questo la Diocesi vive un momento di grande sofferenza, i giovani infatti non partecipano a nulla ma preferiscono andare nei bar a bere. La Chiesa dovrebbe interrogarsi su questo problema e crare una task-force di preti che accompagni questi giovani, che riesca a coinvolgerli. Questo è un altro grande problema…
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Sono presenti 5 commenti
Come dice lui stesso ci sono 60mila persone a Scampia che non sono camorristi. Per questi non c'e che la voce delle comunità cattoliche. Sò che è difficile per una giornalista intervistare una comunità, ma sarebbe meglio che intervistare chi non rappresenta nessuna comunità, ma parla per se stesso.
Mi spiace contraddire Don Aniello, ma il Cardinale Crescenzio Sepe è al di sopra delle parti. L'ingiustizia non gli si addice per niente-
Tornando al quartiere di Scampia, mi sa che la percentuale dei camorristi è ben più alta da quella espressa da Don Aniello. Non è vero che non ci sono servizi. Ci sono scuole, Metropolitana,piscina comunale,villa comunale, teatro ed ASL di tutti i tipi. Funzionano regolarmente i mezzi pubblici, nonostante i ragazzi di Scampia li prendono a sassate sotto gli occhi degli adulti che non intervengono, anzi se ne compiacciono.
La sporcizia esiste, ma non per colpa dei servizi( crisi a parte), ma semplicemnte perchè questi cittadini, almeno una buona parte così vogliono. Prendiamo per esempio i "signori" che abitavano nelle vele, costoro mica scendevano a depositare i sacchetti? Li buttavano da sopra direttamente in strada o ancora peggio nell'atrio dei box,creando un'ambiente nausebondo ,con attrazione di tutti i tipi di animali da fogne. Sono andati avanti per anni in questo modo e nemmeno volevano lasciare queste vele per prendere case più idone, soprattutto più igieniche: Chissà perchè.
Di quale realtà parla Don Aniello,forse di quella minoranza che voleva un cambiamento dell'altra assai più numerosa.
Ma avete letto il suo libro, conoscete il suo impegno? Grazie Aniello
Don aniello prega per me
sono stanco, sono un legale
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