Sarà l’Alta Corte di Multan a giudicare e ad appurare la verità sul caso di Farah Hatim, la ragazza cattolica rapita, islamizzata e costretta a sposare un uomo musulmano nel sud Punjab. E’ quanto l’agenzia Fides apprende da Paul Bhatti, consigliere speciale del Primo Ministro per gli Affari della Minoranze religiose in Pakistan e leader dell’Apma (All Pakistan Minorities Alliance).
Radio Vaticana - L’Apma aveva tentato nei giorni scorsi una mediazione, chiedendo alla famiglia musulmana presso cui oggi Farah si trova, di incontrare la ragazza, ribadendo la richiesta ufficialmente a un giudice del tribunale di primo grado a Rahim Yar Khan. Il tentativo è fallito perché la famiglia non si è presentata e il giudice stesso ha detto di “considerare il caso chiuso”. Per questo l’Apma ha deciso, in accordo con i familiari della ragazza, di ricorrere all’Alta Corte di Multan. Una denuncia è stata già presentata e si attende la data dell’udienza, in cui il giudice convocherà Farah, la famiglia di origine e la famiglia musulmana per ascoltare le differenti versioni sulla vicenda e appurare la volontà della giovane. “Non avevamo scelta. Dato l’atteggiamento di ostinata chiusura della famiglia musulmana, vogliamo che la giustizia vada avanti e che Farah possa esprimersi: per questo abbiamo dato mandato agli avvocati di presentare un ricorso all’Alta Corte”, dice Bhatti. Il giudice può ascoltare Farah pubblicamente ma anche in un colloquio privato. Se avesse l’impressione che la ragazza, terrorizzata o intimidita, non dica la verità (compiacendo i suoi aguzzini), potrebbe decidere di trasferirla per un periodo di tempo nella “Darul Aman” (“Casa della pace”), istituto governativo con sede nelle principali città del Paese, che accoglie e tiene sotto protezione della polizia le donne maltrattate o rapite. L’istituto è un’opera voluta fortemente da Asma Jahangir, presidente del Consiglio degli avvocati della Corte Suprema e attiva nel difendere i diritti delle donne pakistane. Gli avvocati dell’Apma, che stanno curando il ricorso, hanno intenzione di chiedere che Farah sia trasferita lì per evitare che possa improvvisamente “sparire”. Padre Yousaf Emmanuel, direttore della “Commissione Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Pakistan, ha salutato con favore questo passo, ribadendo che “la Chiesa pakistana, che in passato ha salvato e si occupa di proteggere tante giovani cristiane, è vicina a Farah e alla sua famiglia, e intende dare tutto l’appoggio possibile per una felice conclusione di questa triste vicenda”.
Radio Vaticana - L’Apma aveva tentato nei giorni scorsi una mediazione, chiedendo alla famiglia musulmana presso cui oggi Farah si trova, di incontrare la ragazza, ribadendo la richiesta ufficialmente a un giudice del tribunale di primo grado a Rahim Yar Khan. Il tentativo è fallito perché la famiglia non si è presentata e il giudice stesso ha detto di “considerare il caso chiuso”. Per questo l’Apma ha deciso, in accordo con i familiari della ragazza, di ricorrere all’Alta Corte di Multan. Una denuncia è stata già presentata e si attende la data dell’udienza, in cui il giudice convocherà Farah, la famiglia di origine e la famiglia musulmana per ascoltare le differenti versioni sulla vicenda e appurare la volontà della giovane. “Non avevamo scelta. Dato l’atteggiamento di ostinata chiusura della famiglia musulmana, vogliamo che la giustizia vada avanti e che Farah possa esprimersi: per questo abbiamo dato mandato agli avvocati di presentare un ricorso all’Alta Corte”, dice Bhatti. Il giudice può ascoltare Farah pubblicamente ma anche in un colloquio privato. Se avesse l’impressione che la ragazza, terrorizzata o intimidita, non dica la verità (compiacendo i suoi aguzzini), potrebbe decidere di trasferirla per un periodo di tempo nella “Darul Aman” (“Casa della pace”), istituto governativo con sede nelle principali città del Paese, che accoglie e tiene sotto protezione della polizia le donne maltrattate o rapite. L’istituto è un’opera voluta fortemente da Asma Jahangir, presidente del Consiglio degli avvocati della Corte Suprema e attiva nel difendere i diritti delle donne pakistane. Gli avvocati dell’Apma, che stanno curando il ricorso, hanno intenzione di chiedere che Farah sia trasferita lì per evitare che possa improvvisamente “sparire”. Padre Yousaf Emmanuel, direttore della “Commissione Giustizia e Pace” della Conferenza episcopale del Pakistan, ha salutato con favore questo passo, ribadendo che “la Chiesa pakistana, che in passato ha salvato e si occupa di proteggere tante giovani cristiane, è vicina a Farah e alla sua famiglia, e intende dare tutto l’appoggio possibile per una felice conclusione di questa triste vicenda”.
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