venerdì, luglio 08, 2011
Incontrare il parroco di una cittá musulmana in Marocco per sentirne la storia appassionante, fatta di incontri e di rispetto

del nostro inviato Renato Zilio (2° tappa)

Essaouira: città di mare, antico e grande porto del '700 ancora dotato dei suoi cannoni, animato dal volo dei gabbiani e dal canto continuo, a volte fastidioso, dei venti alisei. Non sembra proprio di essere in terra marocchina, dove all’interno il fuoco della calura divampa fino ai 45 gradi e più. Questa fresca città ai bordi dell’Atlantico dà l’impressione di un’oasi con i suoi 70mila abitanti, protetta dall`Unesco e con l’onore di un doppio nome, quello portoghese aggiuntivo di Mojador, per ricordarne le lontane radici. Si è appena concluso in giugno, mostrando ancora una volta la sua sensibilità culturale, un festival di musica del mondo.

Alla domenica, poi, si aggiunge un’altra musica: le campane. È l`unica città del regno, infatti, dove sentirete suonare a stormo le campane. È il frutto della battaglia di padre Jean-Claude, un francese dal cuore marocchino, in occasione della venuta di Papa Giovanni Paolo II. Sembrava di risentire in lui Pier Capponi: se cantano le loro moschee, noi suoniamo le nostre campane! Ed è un po’ la sua filosofia. Sì, essere una piccola presenza cristiana in mezzo all’Islam, ma non scomparire del tutto con la propria identità.
La sua vera identità, invece, vi si rivelerà subito appena vi presentate alla kenisa, alla chiesa: la larga barba da cappuccino, il sorriso amichevole e la parola arguta vi danno l’aria di un pastore. Infatti, scoprirete subito la sua passione: un piccolo allevamento di montoni, di conigli e di galline oltre al suo orto. Il suo gregge di fedeli, invece, sono i turisti di passaggio o alcuni cristiani che abitano la città, ma non sono legione, anzi. La messa settimanale la dice insieme al suo cane affezionato, seduto devotamente sul cuscino del chierichetto.
Con un segreto orgoglio mi fa visitare la sua chiesa: grandi tappeti marocchini distesi al suolo, altare, leggio e una grande croce in pregevole tuya, legno finemente intarsiato, frutto dell’artigianato tipico del luogo. Inoltre, vi indica là in alto una... gabbia di canarini, sospesa nel coro, che rivela cosí le sue strane melodie. “È perchè ci sia sempre qui qualcuno che preghi!” commenta. Si sofferma davanti ad un dipinto di un crocifisso con sotto la veduta di Essaouira, fatto da un marocchino suo amico: “la salvezza per tutti”, vi sta scritto sotto, in francese.
E qui mi rivela la sua vera vocazione: si sente veramente il parroco di tutti. “Cristo non si è fatto cristiano, si è fatto uomo!” mi fa, prendendomi per un braccio per farsi meglio capire. “Ogni uomo, allora, ha qualcosa del Cristo. È lui, d’altra parte, che ha rivelato il vero posto di Dio, non nella tradizione, nella legge o nel tempio, ma nel cuore dell’uomo”. Davanti alla sua teologia, elaborata nella solitudine e in 25 anni di esperienza pastorale in questa città di mare, ammutolisco e resto affascinato.
Per questo lo trovi spesso per la strada o nei souk a parlare con la gente, a scambiare opinioni con tutti. Cura le relazioni: qui tutti lo conoscono, sanno le sue idee, ne avvertono la complicità e molti lo chiamano “il papa.” “No, quello sta a Roma!” risponde subito, divertito. E intanto acquista nella vecchia medina le piantine di pomodo per il suo orto, le erbe aromatiche per le salse, poi va dal venditore di pesce... tutti suoi parrocchiani, benché musulmani. Ma vi dirá sinceramente che il vero dialogo con l’Islam è cosa ben difficile, anche se la sua passione è l’incontro con l’altro nel rispetto della fede di ognuno.
Prepara così per cena uno dei suoi conigli con i pomodori del suo giardino grandi come mele, spiegandomi intanto che fa tutto da solo: cucina, lavanderia, pulizia, ospitalità, senza alcun aiuto, senza alcuna donna... solo l’entusiasmo delle sue 75 primavere. E mentre assaporiamo la sua specialitá carica di spezie marocchine, condivide con me la sua compassione per un popolo povero, poco o niente istruito, asservito, e una compassione ancora più intima per i giovani. Dopo i loro studi, tanta buona volonta e un diploma non resta loro nulla in mano... ma dove andranno? - si domanda pensieroso con una rabbia interiore.
Poi, fattosi dolce tra una carezza e l’altra al suo cane, mi dice tutta la sua chance di vivere in questi tempi. “Sai, i giovani, una nazione giovane come questa, sono una vera chance e poi una seconda é il loro senso profondo di libertá, di dignitá. Qui lo senti. Da noi, invece, in Europa, si stagna: la popolazione, i valori o la politica, per la quale si passa da destra a sinistra o il contrario non per i valori, ma per gli interessi. E poi per me è stata una grande chance vivere qui in un Paese musulmano - conclude solennemente - per comprendere, finalmente, che solo il cristianesimo dà valore e responsabilitá all’individuo, alla persona. La tua originalitá, il tuo essere unico al mondo e degno di rispetto te lo dá solo il vangelo. Ed è proprio l`Islam che me lo fa capire, perchè qui tutto è della comunitá, la comunitá ha una forza tremenda su di te. Come se tu non possedessi nulla...”
L’altro giorno domandava ad un commerciante di chi era il negozio di stoffe e quegli gli rispondeva che era di Allah. Come se Allah possedesse tutto! E quello si era perfino alterato, arrabbiandosi, mentre invece ne era proprio lui il padrone. E mi ricorda, invece, quella bambina ebrea che scriveva nel suo diario: “On va aider Dieu...”. Che mistero, conclude.
Salutando Essaouira sul mare tra i gabbiani, in fondo, mi dico tra me e me: i profeti non sono ancora morti.


Le altre puntate:
1° tappa: Taroudant - Presenza di Vangelo
3° tappa: Meknes - Impressioni dal Marocco
4° tappa: Midelt - I monaci di Tibhirine
5° tappa: Meknes - Un carisma di fraternità
6° tappa: Fès - Una città dove tutto è sacro
7° tappa: Rabat - Una solidarietà aperta all’altro
8° tappa: Casablanca - Le suore di Casablanca
9° tappa: Rabat - La Chiesa dell'incontro

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