I giovani scesi in strada in Tunisia, in Egitto, in Siria e in tutti i Paesi in cui ha preso forma la Primavera Araba avevano in mente, e spesso cantavano, brani rap e hip hop i cui testi, in modo più o meno esplicito, attaccavano i governi dittatoriali di quei Paesi e inneggiavano alla libertà e alla giustizia sociale
Rap e hip hop sono stati da sempre generi musicali scarsamente diffusi nei paesi arabi. Eppure, nei mesi che hanno preceduto la rivoluzione, i giovani che di lì a poco sarebbero scesi in piazza hanno realizzato e diffuso sul web brani di opposizione e di protesta contro i poteri in carica. Niente più di quei generi nati nel ghetto americano poteva essere più adatto ad esprimere delusione e rabbia. “Presidente il tuo popolo sta morendo, scendi per strada e guarda… la gente impazzisce e i poliziotti diventano mostri, legge e costituzione rimangono sulla carta” dice il tunisino Hamada Ben Amor, in arte El General, nella canzone ‘Rais Le Bled’. Alla fine del 2010 il rapper allora ventunenne postò Rais Le Bled sulla sua pagina Facebook e in pochi giorni il brano, oggi considerato una delle cinque canzoni di protesta più riuscite ed efficaci, si diffuse sulla rete con una rapidità inaspettata. Questo costò a El General, che il Time ha messo al 74° posto nella classifica delle persone più influenti del 2011, l’arresto e tre giorni di detenzione da parte delle autorità tunisine.
Parlare apertamente contro un potere dittatoriale è sempre pericoloso per chi decide di esporsi e, mentre la vicenda dell’arresto di El General si è conclusa senza gravi conseguenze, Freemuse, una organizzazione che opera per garantire agli artisti di tutto il mondo il rispetto dei loro diritti, denuncia che in Siria un cantante potrebbe essere stato ucciso per essersi espresso contro il presidente Bashar al-Assad. Proprio per non correre rischi eccessivi invece il rapper egiziano Mohammed El Deeb ha sempre evitato riferimenti troppo espliciti al potere nei testi delle sue canzoni: nei brani pubblicati prima della caduta di Mubarak ricorrono spesso espressioni come “loro” oppure “quei cani”.
La nuova ondata di libertà ha permesso quindi il moltiplicarsi di questo genere di produzioni musicali, ma non solo a favore delle rivolte. Interessante per esempio quello che il rapper siro-americano Omar Offendum, intervistato da BBC News, ha detto a proposito delle tante canzoni nate recentemente a sostegno del regime siriano: “Milioni di persone supportano il regime e così sono state create tante canzoni hip hop per supportare il regime quante ne sono state create per criticarlo”.
Questa nuova generazione di autori canta principalmente in arabo e tende a creare brani in cui generi tipicamente occidentali si incontrano con le musicalità arabe. Con loro i concetti di “rivoluzione”, “lotta alle ingiustizie sociali” e “malcontento popolare”, che nelle canzoni dei “vecchi” rapper si ripetevano sempre uguali finendo per essere svuotati di significato, riacquistano decisamente il proprio senso più vero, supportati come sono da cambiamenti reali.
Rap e hip hop sono stati da sempre generi musicali scarsamente diffusi nei paesi arabi. Eppure, nei mesi che hanno preceduto la rivoluzione, i giovani che di lì a poco sarebbero scesi in piazza hanno realizzato e diffuso sul web brani di opposizione e di protesta contro i poteri in carica. Niente più di quei generi nati nel ghetto americano poteva essere più adatto ad esprimere delusione e rabbia. “Presidente il tuo popolo sta morendo, scendi per strada e guarda… la gente impazzisce e i poliziotti diventano mostri, legge e costituzione rimangono sulla carta” dice il tunisino Hamada Ben Amor, in arte El General, nella canzone ‘Rais Le Bled’. Alla fine del 2010 il rapper allora ventunenne postò Rais Le Bled sulla sua pagina Facebook e in pochi giorni il brano, oggi considerato una delle cinque canzoni di protesta più riuscite ed efficaci, si diffuse sulla rete con una rapidità inaspettata. Questo costò a El General, che il Time ha messo al 74° posto nella classifica delle persone più influenti del 2011, l’arresto e tre giorni di detenzione da parte delle autorità tunisine.
Parlare apertamente contro un potere dittatoriale è sempre pericoloso per chi decide di esporsi e, mentre la vicenda dell’arresto di El General si è conclusa senza gravi conseguenze, Freemuse, una organizzazione che opera per garantire agli artisti di tutto il mondo il rispetto dei loro diritti, denuncia che in Siria un cantante potrebbe essere stato ucciso per essersi espresso contro il presidente Bashar al-Assad. Proprio per non correre rischi eccessivi invece il rapper egiziano Mohammed El Deeb ha sempre evitato riferimenti troppo espliciti al potere nei testi delle sue canzoni: nei brani pubblicati prima della caduta di Mubarak ricorrono spesso espressioni come “loro” oppure “quei cani”.
La nuova ondata di libertà ha permesso quindi il moltiplicarsi di questo genere di produzioni musicali, ma non solo a favore delle rivolte. Interessante per esempio quello che il rapper siro-americano Omar Offendum, intervistato da BBC News, ha detto a proposito delle tante canzoni nate recentemente a sostegno del regime siriano: “Milioni di persone supportano il regime e così sono state create tante canzoni hip hop per supportare il regime quante ne sono state create per criticarlo”.
Questa nuova generazione di autori canta principalmente in arabo e tende a creare brani in cui generi tipicamente occidentali si incontrano con le musicalità arabe. Con loro i concetti di “rivoluzione”, “lotta alle ingiustizie sociali” e “malcontento popolare”, che nelle canzoni dei “vecchi” rapper si ripetevano sempre uguali finendo per essere svuotati di significato, riacquistano decisamente il proprio senso più vero, supportati come sono da cambiamenti reali.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.