venerdì, settembre 09, 2011
“11 settembre – Una storia che continua” è il libro di Alessandro Gisotti, edito da Effatà Editrice, che abbiamo avuto il piacere di recensire per i lettori de La Perfetta Letizia. Oggi, a 10 anni da quel terribile evento, ne parliamo con l’autore, Alessandro Gisotti, giornalista e redattore del Radiogiornale di Radio Vaticana e studioso della società e della politica americana.

di Monica Cardarelli

D - Dopo aver pubblicato, sempre per Effatà, “Dio e Obama”, si è voluto misurare con l’evento forse più drammatico verificatosi fino ad oggi in America. Un libro, dunque, che rilegge quanto accaduto l’11 settembre 2001 partendo dalle storie e dalle testimonianze dei sopravvissuti per superare la tragedia e guardare il presente e l’avvenire con fiducia e speranza, la speranza cristiana. Innanzitutto, ci vuole spiegare il motivo della scelta dell’impostazione di questo lavoro, un libro cioè che parte dalle testimonianze dei sopravvissuti e che dà sempre al lettore una visione sì realista ma anche positiva del ‘the day after’?
R - Quando ho cominciato a lavorare a questo libro, circa un anno fa, ho pensato che in occasione del decimo anniversario dell’11 settembre poteva essere importante capire come fosse cambiata la vita delle persone che avevano vissuto sulla propria pelle quel terribile giorno. Mi interessava raccontare le storie delle persone reali, al di là della Storia con la “s” maiuscola. Per questo nel mio libro, pur non essendo eluse, le grandi questioni come la guerra al terrorismo rimangono sullo sfondo. Per rispondere poi alla seconda parte della domanda, ovviamente non potevo sapere in anticipo quale taglio avrebbero avuto le testimonianze. Mi ha perciò molto colpito riscontrare questo filo comune di speranza, questo coraggio nell’andare avanti nonostante le ferite non siano ancora rimarginate.

D - Incontrare tutte le persone di cui ha riportato l’intervista è stato sicuramente un momento di forte coinvolgimento. Cosa ha provato nel condividere con loro i ricordi di quei tragici momenti?
R - E’ vero, incontrare queste persone, intrecciare la mia vita con le loro ha rappresentato un’esperienza molto forte, toccante. Alcuni di loro, mentre parlavano, avevano il volto rigato dalle lacrime. Eppure, le loro testimonianze dimostrano che la voglia di vivere è più forte della paura di morire. In un certo senso, rileggendolo, mi sono poi reso conto che questo libro è anche un po’ autobiografico, proprio per il legame che si è instaurato con alcune di queste persone. Con alcuni di loro, come l’ex comandante dei vigili del Fuoco di New York, Daniel Nigro, o il fotoreporter di Ground Zero, David Margules, siamo rimasti in contatto via telefono o via email.

D - Raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti è stato un modo per ‘fare memoria’. Viene sottolineato molto nel suo libro l’importanza di non dimenticare, inteso come modo per valorizzazione ciò che è successo, dare senso alla vita di chi l’ha persa in quella circostanza e leggere in positivo un evento di una simile tragicità e portata. Questa interpretazione può essere letta con una chiave di lettura cristiana?
R - Certamente il tema della memoria è uno dei leit motiv del mio libro. Sia a Washington che a New York, le persone che ho incontrato mi hanno ribadito l’esigenza di ‘non dimenticare’. In effetti, il monito “Never Forget” è diventato quasi un motto dei sopravvissuti come dei famigliari delle vittime e dei soccorritori. Sicuramente la fede ha aiutato molte di queste persone a rialzarsi in piedi. Per esempio, un capitolo del mio libro è dedicato all’associazione ‘Faithful Response”, fondata dall’ex tenente di polizia Miachael J. Arcari. Ebbene, questo sodalizio ha messo in sinergia parrocchie cattoliche e luterane di New York per offrire un supporto a quanti hanno subito traumi psicologici per quanto accaduto l’11 settembre. Questa iniziativa ecumenica è stata indirizzata soprattutto a poliziotti e vigili del fuoco. Non a caso il motto dell’associazione è “A volte, anche un eroe ha bisogno di una mano”.

D - Ricordi, memoria, sofferenza e dolore vanno sempre di pari passo. Quanto sarà lungo, a suo avviso, il processo di rielaborazione dell’evento dell’11 settembre 2001 per l’intero popolo americano? Già nelle pagine del suo libro ci parla di effetti devastanti non solo a livello psicologico, affettivo, relazionale, ma anche fisico e sociale che comportano ripercussioni nelle abitudini e nello stile di vita di tutti i giorni…
R - Sarà un processo molto lungo. Se pensiamo che, ancora oggi, l’attacco giapponese a Pearl Harbour del 1941 viene ricordato come un evento epocale nella storia americana, possiamo immaginare quanto tempo occorrerà per elaborare quanto accaduto l’11 settembre di 10 anni fa. C’è poi, come documento nel mio libro, il capitolo doloroso degli effetti nefasti sulla salute fisica e psichica di moltissime persone. Ad inizio agosto, il “New York Times” scriveva che a New York almeno 10 mila persone soffrono ancora oggi di stress post-traumatico. Ed è purtroppo una cifra per difetto. Basta questo dato per comprendere quanto siano a lungo termine le ripercussioni di quel dies horribilis del settembre 2001.

D. Spesso ci si chiede dove è la presenza di Dio nella storia, in particolare nei fatti storici che sembrano accanirsi contro parte dell’umanità, anche quelli attuali come ad esempio la grande siccità del continente africano fino alle guerre tra popoli. Dagli incontri che ha avuto con i parenti dei sopravvissuti all’11 settembre, cosa ne pensa di questo tema e che importanza può rivestire la propria testimonianza di fede all’interno della società in cui viviamo?
R - Questo interrogativo lancinante, dov’era Dio l’11 settembre, è molto presente nell’ultimo capitolo in cui parlo del mio incontro con padre Kevin Madigan, sacerdote cattolico, parroco di St. Peter’s Church, la chiesa più vicina a Ground Zero che è rimasta in piedi miracolosamente nonostante il crollo delle Torri Gemelle a poche decine di metri di distanza. Padre Kevin mi ha confidato che più di un suo parrocchiano gli ha chiesto dove fosse Dio quel giorno. La sua risposta, che non potrò dimenticare, è che Dio era in tutti quegli uomini e quelle donne che, rischiando la vita, si sono riversati sul luogo del disastro per portare soccorso, per salvare la vita del prossimo.

D - Secondo lei, per un paese come l’America quanto influisce ancora oggi nelle scelte politiche, nelle abitudini sociali, nei rapporti, la tragedia dell’11 settembre 2001?
R - Certamente, la tragedia dell’11 settembre ha condizionato fortemente il dibattito politico americano dell’ultimo decennio. Basti pensare che per l’elettorato Usa il maggior successo ottenuto finora da Barack Obama è l’uccisione di Bin Laden, non la riforma sanitaria o il premio Nobel per la pace. E tuttavia, sondaggi autorevoli confermano che oggi la preoccupazione principale per gli americani non è il terrorismo, ma lo stato pessimo dell’economia e in particolare l’elevato tasso di disoccupazione. Ciò non toglie però che, per lungo tempo, chiunque siederà nello Studio Ovale, che sia democratico o repubblicano, non potrà fare a meno di mettere la lotta al terrorismo in cima alle sue priorità”.

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