I partecipanti ad una tavola rotonda, organizzata nell'ambito della Clinton Global Initiative 2011, hanno chiesto all'ex Presidente Usa cosa pensasse dell'attuale politica per i rifugiati statunitense ed occidentale di fronte al cambiamento climatico e Bill Clinton è stato chiaro.
GreenReport - «Penso che si debba supporre che, a causa dei cambiamenti climatici, ci saranno molti più rifugiati e che le leggi che esistono e i sistemi di supporto che esistono, non solo negli Stati Uniti, ma anche altrove, siano stati fondamentalmente realizzati per un tempo diverso, quando si poteva avere un aumento di rifugiati provenienti da alcuni Paesi o per un impulso di un fatto in un Paese, a causa di uno sconvolgimento politica particolare o di un disastro naturale particolare. Questo non è quasi certamente quello su cui dovremo lavorare da ora»
Di fronte ad alcuni degli effetti più drammatici del cambiamento climatico, che si faranno sentire su milioni di persone che saranno costrette a lasciare le loro case, con i rifugiati climatici che già fuggono da aree dei piccoli Stati insulari rese inospitale dall'aumento del livello del mare, i profughi per fame e guerra dalle regioni aride sempre più devastata dalla siccità, ai senza tetto provocati dalle alluvioni delle pianure asiatiche sempre più soggetta a inondazioni, la comunità internazionale, che attualmente lavora per trovare nuove case per i rifugiati, sarà probabilmente sovrastata da quanto accadrà: «Non saremo in grado di affrontare così tanti con esodi di massa in una volta - ha detto Bill Clinton - Abbiamo bisogno di rivedere l'attuale sistema per affrontare i rifugiati climatici».
L'ex presidente Usa propone una drastica riforma dell'attuale sistema, guidato dalle nazioni che re insediano la maggior parte dei rifugiati e che danno più risorse per aiutarli più: «Quindi credo che i Paesi che accolgono la maggior parte dei rifugiati e che hanno la maggiore capacità di farlo, dovrebbero cercare di raggiungere un qualche accordo su un'ampia base principi che dovrebbero essere emanati per cambiare le leggi. Le politiche per i rifugiati di certo non sono al top di nessuna agenda, in un momento in cui la maggior parte del globo è più interessato ai problemi economici e alla guerra, ma il mondo deve cominciare ad abituarsi al fatto che le migrazioni accelereranno enormemente nei prossimi anni. Penso che in generale dovremmo diventare più aperti alla nuova immigrazione. Mantenere le persone nel limbo è uno spreco di potenziale umano».
Le parole di Clinton sono state un'eco degli interventi di rappresenta tinti dei piccoli Stati insulari all'Assemblea generale dell'Onu in corso a New York, che il 24 settembre hanno chiesto alla comunità internazionale di prestare maggiore attenzione alla loro vulnerabilità ai cambiamenti climatici e sottolineato che da loro parlare di sviluppo sostenibile non d sarà possibile se il livello del mare continua a salire e i loro popoli fuggono. Dai Caraibi, al Pacifico, all'Atlantico, i Capi di governo dei piccoli paesi insulari hanno detto che il mondo non si muove abbastanza velocemente sia per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici che per sostenere i Paesi ad adattarsi al global warming.
«L'esistenza stessa di piccole isole come quelle degli Stati dei Caraibi e del Pacifico potrebbe essere in pericolo se le tendenze attuali non saranno invertite o modificate - ha detto il primo ministro di Barbados, Freundel Stuart - "Dobbiamo essere cauti, dunque, su come si utilizzano combustibili fossili, sui livelli di emissioni di carbonio e riguardo al trattamento non regolamentato dei rifiuti. Il pianeta ha cominciato a protestare attraverso i drammatici cambiamenti climatici e la prospettiva di innalzamento del livello del mare».
Il premier di Grenada Tillman Thomas chiesto «Un accordo ai negoziati sui cambiamenti climatici in corso condotti dell'Onu, sulle misure volte a ridurre le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale e per l'erogazione rapida dei finanziamenti per aiutare i piccoli Stati insulari ad adattarsi».
Il primo ministro di Tuvalu, Willy Telavi, ha detto che il suo paese, «Durante la conferenza di Durban dell' UN Framework Convention of Climate Change (Unfccc) della fine dell'anno, chiederà un mandato per avviare i negoziati per un nuovo accordo giuridicamente vincolante per i principali Stati emettitori di che non hanno preso impegni nel quadro del Protocollo di Kyoto, in aggiunta a quelli dell'Unfccc, che contiene misure giuridicamente vincolanti per ridurre le emissioni di gas serra».
Il premier di Saint Vincent e Grenadine, Ralph Gonsalves, si è detto «Sconcertato per l'intransigenza dei principali responsabili delle emissioni e delle nazioni sviluppate che si rifiutano di farsi carico di arrestare i cambiamenti climatici che sono collegati agli eccessi delle loro politiche di spreco. Il tempo sta finendo per molti Paesi, sia per il livello del mare e gli uragani e le tempeste che chiedono un tributo sempre più feroce».
Il primo Ministro di Capo Verde, José Maria Neves, ha detto di «Contare su tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite per compiere la transizione verso l'economia verde e lo sviluppo sostenibile. A Capo Verde è attualmente in corso un programma ambizioso per la copertura nazionale in energie rinnovabili del 50% entro il 2020».
Il premier di Samoa, Tuila'epa Sailele Malielegaoi, ha chiesto «Maggiori risorse per la mitigazione dei cambiamenti climatici e i progetti di adattamento nei piccoli Stati insulari. Il Green Climate Fund è attualmente in fase di progettazione, i rappresentanti dei governi e gli esperti coinvolti faranno bene a prestare attenzione alle attuali architetture di finanziamento del cambiamento climatico, in modo che non siano ripetute le carenze degli altri meccanismi di finanziamento». Malielegaoi ha sollevato un altro aspetto ambientale che preoccupa sempre di più i piccoli Stati insulari dell'Oceania: «Tutti i paesi con interessi nella pesca nell'Oceano Pacifico devono lavorare insieme per fermare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata nella regione».
Il Primo Ministro di Vanuatu, Meltek Sato Kilman Livtuvanu, ha chiesto all'Onu di inviare missioni di alto livello nel Pacifico «Per avere una comprensione più completa di quanto le popolazioni della regione siano vulnerabili alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Mi appello ai leader delle nazioni avanzate perché rinnovino ed onorino i loro impegni per finanziare, in particolare, gli sforzi per assistere le comunità più vulnerabili, soddisfare le loro necessità di adattamento e per assicurare che le nazioni insulari sopravvivano, impedendo l'imminente disastro globale che i cambiamenti climatici possono costituire».
GreenReport - «Penso che si debba supporre che, a causa dei cambiamenti climatici, ci saranno molti più rifugiati e che le leggi che esistono e i sistemi di supporto che esistono, non solo negli Stati Uniti, ma anche altrove, siano stati fondamentalmente realizzati per un tempo diverso, quando si poteva avere un aumento di rifugiati provenienti da alcuni Paesi o per un impulso di un fatto in un Paese, a causa di uno sconvolgimento politica particolare o di un disastro naturale particolare. Questo non è quasi certamente quello su cui dovremo lavorare da ora»
Di fronte ad alcuni degli effetti più drammatici del cambiamento climatico, che si faranno sentire su milioni di persone che saranno costrette a lasciare le loro case, con i rifugiati climatici che già fuggono da aree dei piccoli Stati insulari rese inospitale dall'aumento del livello del mare, i profughi per fame e guerra dalle regioni aride sempre più devastata dalla siccità, ai senza tetto provocati dalle alluvioni delle pianure asiatiche sempre più soggetta a inondazioni, la comunità internazionale, che attualmente lavora per trovare nuove case per i rifugiati, sarà probabilmente sovrastata da quanto accadrà: «Non saremo in grado di affrontare così tanti con esodi di massa in una volta - ha detto Bill Clinton - Abbiamo bisogno di rivedere l'attuale sistema per affrontare i rifugiati climatici».
L'ex presidente Usa propone una drastica riforma dell'attuale sistema, guidato dalle nazioni che re insediano la maggior parte dei rifugiati e che danno più risorse per aiutarli più: «Quindi credo che i Paesi che accolgono la maggior parte dei rifugiati e che hanno la maggiore capacità di farlo, dovrebbero cercare di raggiungere un qualche accordo su un'ampia base principi che dovrebbero essere emanati per cambiare le leggi. Le politiche per i rifugiati di certo non sono al top di nessuna agenda, in un momento in cui la maggior parte del globo è più interessato ai problemi economici e alla guerra, ma il mondo deve cominciare ad abituarsi al fatto che le migrazioni accelereranno enormemente nei prossimi anni. Penso che in generale dovremmo diventare più aperti alla nuova immigrazione. Mantenere le persone nel limbo è uno spreco di potenziale umano».
Le parole di Clinton sono state un'eco degli interventi di rappresenta tinti dei piccoli Stati insulari all'Assemblea generale dell'Onu in corso a New York, che il 24 settembre hanno chiesto alla comunità internazionale di prestare maggiore attenzione alla loro vulnerabilità ai cambiamenti climatici e sottolineato che da loro parlare di sviluppo sostenibile non d sarà possibile se il livello del mare continua a salire e i loro popoli fuggono. Dai Caraibi, al Pacifico, all'Atlantico, i Capi di governo dei piccoli paesi insulari hanno detto che il mondo non si muove abbastanza velocemente sia per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici che per sostenere i Paesi ad adattarsi al global warming.
«L'esistenza stessa di piccole isole come quelle degli Stati dei Caraibi e del Pacifico potrebbe essere in pericolo se le tendenze attuali non saranno invertite o modificate - ha detto il primo ministro di Barbados, Freundel Stuart - "Dobbiamo essere cauti, dunque, su come si utilizzano combustibili fossili, sui livelli di emissioni di carbonio e riguardo al trattamento non regolamentato dei rifiuti. Il pianeta ha cominciato a protestare attraverso i drammatici cambiamenti climatici e la prospettiva di innalzamento del livello del mare».
Il premier di Grenada Tillman Thomas chiesto «Un accordo ai negoziati sui cambiamenti climatici in corso condotti dell'Onu, sulle misure volte a ridurre le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale e per l'erogazione rapida dei finanziamenti per aiutare i piccoli Stati insulari ad adattarsi».
Il primo ministro di Tuvalu, Willy Telavi, ha detto che il suo paese, «Durante la conferenza di Durban dell' UN Framework Convention of Climate Change (Unfccc) della fine dell'anno, chiederà un mandato per avviare i negoziati per un nuovo accordo giuridicamente vincolante per i principali Stati emettitori di che non hanno preso impegni nel quadro del Protocollo di Kyoto, in aggiunta a quelli dell'Unfccc, che contiene misure giuridicamente vincolanti per ridurre le emissioni di gas serra».
Il premier di Saint Vincent e Grenadine, Ralph Gonsalves, si è detto «Sconcertato per l'intransigenza dei principali responsabili delle emissioni e delle nazioni sviluppate che si rifiutano di farsi carico di arrestare i cambiamenti climatici che sono collegati agli eccessi delle loro politiche di spreco. Il tempo sta finendo per molti Paesi, sia per il livello del mare e gli uragani e le tempeste che chiedono un tributo sempre più feroce».
Il primo Ministro di Capo Verde, José Maria Neves, ha detto di «Contare su tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite per compiere la transizione verso l'economia verde e lo sviluppo sostenibile. A Capo Verde è attualmente in corso un programma ambizioso per la copertura nazionale in energie rinnovabili del 50% entro il 2020».
Il premier di Samoa, Tuila'epa Sailele Malielegaoi, ha chiesto «Maggiori risorse per la mitigazione dei cambiamenti climatici e i progetti di adattamento nei piccoli Stati insulari. Il Green Climate Fund è attualmente in fase di progettazione, i rappresentanti dei governi e gli esperti coinvolti faranno bene a prestare attenzione alle attuali architetture di finanziamento del cambiamento climatico, in modo che non siano ripetute le carenze degli altri meccanismi di finanziamento». Malielegaoi ha sollevato un altro aspetto ambientale che preoccupa sempre di più i piccoli Stati insulari dell'Oceania: «Tutti i paesi con interessi nella pesca nell'Oceano Pacifico devono lavorare insieme per fermare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata nella regione».
Il Primo Ministro di Vanuatu, Meltek Sato Kilman Livtuvanu, ha chiesto all'Onu di inviare missioni di alto livello nel Pacifico «Per avere una comprensione più completa di quanto le popolazioni della regione siano vulnerabili alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Mi appello ai leader delle nazioni avanzate perché rinnovino ed onorino i loro impegni per finanziare, in particolare, gli sforzi per assistere le comunità più vulnerabili, soddisfare le loro necessità di adattamento e per assicurare che le nazioni insulari sopravvivano, impedendo l'imminente disastro globale che i cambiamenti climatici possono costituire».
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