venerdì, settembre 30, 2011
Una petizione del Global Council of Indian Christians alla Commissione nazionale per i diritti umani stila un lungo elenco di crimini, ingiustizie e complicità dell’amministrazione locale e dello Stato a danno delle vittime dei pogrom anticristiani del 2008. I radicali indù continuano a perseguitare cattolici e pentecostali, aiutati dalla polizia.

New Delhi (AsiaNews) – I cristiani vittime dei pogrom di Kandhamal (Orissa) nell’agosto 2008 non solo attendono ancora giustizia, ma anche di essere messi in condizione di sopravvivere. Questo è il motivo di una petizione che Sajan K. George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic) ha indirizzato ieri, nel terzo anniversario dei massacri, al giudice K.G. Balakrishna, presidente della National Human Rights Commission (Nhrc) a New Delhi. La petizione ricorda che ci sono ancora 54 famiglie cattoliche e 17 pentecostali a Nandagiri, una “colonia” per profughi nel cui recinto esiste una piccola sala comunitaria che serve come luogo di culto.


La sala è sotto minaccia di demolizione da parte delle autorità anche se, dopo la notifica della demolizione , ci sono state assicurazioni verbali che essa non verrà applicata.

“Ancora una volta ci rivolgiamo al Nhrc chiedendo la vostra attenzione favorevole alle severe violazioni dei diritti umani e alla giustizia naturale a Kandhamal, Orissa” apre la sua petizione Sajan K. George. “Vi preghiamo di prendere in considerazione il grido di aiuto di centinaia di vittime dell’odio e dell’apatia del governo”. Oltre 100 cristiani sono stati uccisi tre anni fa nei pogrom, e molte migliaia costretti a fuggire nella giungla per salvarsi. Ma la persecuzione continua ancora. “In molte stazioni di polizia sono state sporte denunce contro i cristiani per presunte conversioni forzate. Quando è stato chiesto [ai poliziotti] perché agivano in base a denunce così inconsistenti, hanno rivelato di aver ricevuto ordini dall’alto: i cristiani portati alla polizia sotto denunce false devono essere subito incarcerati, picchiati e non possono uscire su cauzione”. Spesso, lamenta la petizione, questa ingiustizia è visibile; ma più di frequente, è solo la punta di un iceberg, e il grosso non appare.

“Il Kandhamal è diventato un caso esemplare per la giustizia criminale. Non solo per verificare la capacità del governo di smantellare le bande radicali criminali, ma anche per la sua capacità di assicurare i diritti dei cittadini (cristiani). Vi elenchiamo alcuni fatti della tragedia che continua a svolgersi anche oggi a Kandhamal”.

Nell’elenco si ricordano le morti misteriose, come quella di Mukesh Nayak, un cristiano di 43 anni di Baliguda, che aveva testimoniato nei processi del Kandhamal; l’incapacità di arrestare gli assassini del pastore Saul Pradhan.

Il governo dello Stato non ha nemmeno dato un compenso adeguato alle vittime dei pogrom, e ha utilizzato un sistema irrazionale e arbitrario per decidere sull’entità dei danni sofferti, e chi doveva essere risarcito. Inoltre, afferma la petizione, lo Stato dell’Orissa ha miserevolmente fallito nelle operazioni di riabilitazione e di ripristino della situazione per le vittime della violenza interreligiosa.

L’elenco continua con alcuni esempi singoli. C’è il caso di Mithun Digal, di Belgadi, a cui è stato negato il diritto di registrarsi presso il District Employment Exchange, per ragioni pretestuose. Non può avere certificato di casta, residenza e fiscale.

Snehalata Behera, di 16 anni, è diventata vedova quattro mesi fa a Luhapanga, e le è stata negata la pensione e il pagamento dell’assicurazione perché non ha una carta BPL (Below Poverty Line). Le autorità locali si rifiutano ingiustamente di darle la carta.

Un altro caso riguarda Indira Awas, a cui è stata negata la pensione di vecchiaia. “Sono solo alcuni esempi che dimostrano l’atteggiamento delle varie branchie dell’amministrazione verso i cristiani”.

Il problema riguarda anche molte altre famiglie oltre quelle di Nadagiri. La petizione spiega che “quando le folle impazzite attaccarono i cristiani e distrussero case e proprietà, la maggior parte delle vittime si è rifugiata nel cuore delle foreste, lasciando praticamente tutto dietro di sé; era un problema di vita e di morte”. La maggior parte di essi hanno perso nella distruzione delle case le carte di identità, i certificati di voto e i documenti di proprietà. Quando sono rientrati, magari dopo un periodo di tempo lungo, oltre ai documenti hanno visto che avevano perso anche il luogo in cui era situata la loro casa. “Bisogna predisporre regole speciali per garantire i documenti alle vittime che ne hanno diritto”.

L’elenco delle ingiustizie nel presente è ancora lungo. La comunità cristiana del villaggio di Bakingia (Raikia) durante i pogrom ha avuto la chiesa distrutta. In seguito hanno ricominciato a edificarla, ma sono stati obbligati a fermare i lavori a causa delle minacce dei radicali indù. E inoltre più di duecento bambini sono stati obbligati a smettere di andare a scuola.

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