giovedì, settembre 22, 2011
A Milano la nuova udienza sull'omicidio della donna uccisa e sciolta nell'acido

Liberainformazione - «Mia mamma mi ha avuta a 17 anni, eravamo amiche. Era il mio punto di riferimento, avevamo gli stessi gusti musicali tant'è vero che andammo insieme al concerto del primo maggio a Roma, ci scambiavamo persino i vestiti. Lei diceva che fino a quando ci sarei stata io, non le sarebbe successo niente». Eppure la presenza di Denise Cosco, la notte tra il 24 e 25 novembre 2009, non ha impedito alla madre Lea Garofalo di andare incontro al suo destino che qualcuno aveva disegnato per lei in maniera efferata.
Quel “qualcuno” ha il volto e il nome di Carlo Cosco, padre di Denise, accusato di aver progettato e organizzato il sequestro e l'omicidio della donna. Aiutato dai suoi fratelli Giuseppe e Vito Cosco, che hanno interrogato prima e ucciso con un colpo di pistola poi la vittima, dopo che Massimo Sabatino e Carmine Venturino l'avevano sequestrata. Su tutti pende l'accusa di distruzione di cadavere mediante scioglimento nell'acido.

Ieri, nell'aula di Palazzo di Giustizia di Milano, a pochi passi da loro Denise Cosco ha coraggiosamente ripercorso la sua vita, scandendo in maniera meticolosa l'ultima giornata vissuta con sua madre e i giorni immediatamente successivi. A pochi passi il padre, gli zii, l'amico paterno Massimo e il fidanzato Carmine, che aveva conosciuto «nel 2009, al matrimonio di mio zio. Mi confortava, di lui mi fidavo». Non poteva immaginare Denise che in realtà il giovane era stato assoldato da Carlo Cosco affinché controllasse la figlia. Fisicamente li divideva un paravento, di fatto era come se i loro sguardi penetrassero quella protezione. Denise Cosco lucidamente ha raccontato al pm Marcello Tatangelo di quando suo padre fu arrestato con l'accusa di omicidio: era il 1995, lei aveva cinque anni. In quegli anni con il padre intrattenne solo rapporti epistolari durante l'anno scolastico, mentre d'estate si recava in carcere per andarlo a trovare, accompagnata dai parenti paterni. «Mia madre non era d'accordo – ricorda – non voleva che io andassi in prigione da lui; me lo faceva presente, però non mi ha mai impedito di farlo». Nel 2002 Lea Garofalo decide di collaborare con la giustizia, o meglio di testimoniare, di raccontare fatti e dinamiche a lei note. In seguito alle sue dichiarazioni lei e la figlia vengono inserite nel programma di protezione.

«Mi è sembrata la logica conseguenza delle denunce che aveva fatto mia madre e di una serie di minacce che avevamo subite, come l'auto incendiata dopo che lei aveva parlato con mio zio Vito dicendogli che non voleva più che io andassi in carcere a trovare mio padre». Da allora iniziano per madre e figlia sette anni di continui trasferimenti, private della loro identità ma senza averne una di copertura (e questo impedirà alla donna di trovarsi un lavoro), lontane dalla loro terra e famiglia d'origine. Lea Garofalo infatti con la madre e la sorella si sentiva sporadicamente solo per telefono, ma senza mai rivelare il luogo dove si trovavano. «Io mi ero ambientata, andavo a scuola, avevo una vita sociale – ricorda Denise Cosco – ma mia mamma aveva una vita molto solitaria. Era sfiduciata verso lo Stato, si chiedeva perché non ci fosse un processo dopo le denunce che lei aveva sporto, dopo ciò che aveva raccontato. Voleva solo andare via, garantirmi un futuro migliore: sognava di trasferirsi in Australia».

Nel 2008 l'incontro con l'associazione Libera e l'avvocato Enza Rando, nel 2009 il reintegro nel sistema di protezione dal quale Lea Garofalo e la figlia erano state cancellate e la decisione, nel mese di maggio, di tornare in Calabria. Nel mese di novembre di quell'anno madre e figlia tornano a Firenze per prendere parte a un processo che vedeva Lea Garofalo accusata di lesioni a danno di una ragazza: aveva schiaffeggiato in pubblico la parte offesa, dopo che questa aveva insultato Denise, accusandola di rivolgere sguardi particolari al suo fidanzato. Era il 20 novembre 2009: quel giorno Enza Rando conobbe Denise, ma fu anche l'ultima volta che vide Lea Garofalo. Quel giorno le due donne partirono per Milano dove si trovava Carlo Cosco. «Quando siamo partite dalla Calabria non avevamo intenzione di andare da lui, ma poi mia madre disse che gli voleva parlare per mettere in chiaro alcune questioni. Parlare insomma del passato ma anche del futuro, soprattutto del mio futuro».

Carlo Cosco si era offerto di trovare loro una sistemazione in un albergo a Milano, e in quei giorni i tre passano diverse ore insieme. «Era già successo che i miei genitori restassero insieme da soli, per quello quando mio padre mi ha detto che mi avrebbe accompagnato dai miei zii per cena e poi sarebbe passato a prendere mia madre non mi sono preoccupata. Adesso però penso che non l'avrei dovuta lasciare da sola». Di quelle ore Denise ricorda «di aver provato a chiamare mia madre intorno alle 20, ma il telefono era irraggiungibile. Strano, perché lei prima di staccarlo mi mandava un sms per avvertirmi. Abbiamo mangiato a cena ma mio zio non c'era, è rincasato verso le 21.30 per poi uscire nuovamente. Ho notato che mia zia non l'ha cercato per sapere se fosse venuto a cena, come invece era accaduto qualche sera prima. Quando mio padre è rientrato siamo usciti perché mia madre ed io saremmo dovuti partire alle 23.30 con un treno che ci avrebbe riportate in Calabria, ma mia madre sul luogo dell'appuntamento non c'era». Iniziano le ricerche di padre e figlia, che racconta: «Mio padre in quell'occasione non mi guardò nemmeno una volta in faccia, diceva solo che se mia madre non si era presentata era perché mi aveva voluto abbandonare. Era impassibile».

All'una e trenta di notte si recano dai Carabinieri ma non è ancora possibile sporgere una denuncia di scomparsa, sono passate troppe poche ore. Sarà Marisa Garofalo, che nel frattempo si era sentita con la nipote – mia zia aveva la sensazione che fosse successo qualcosa, mi disse: «L'hanno fatta sparire» – a sbloccare la situazione, chiamando le forze dell'ordine operanti a Petilia Policastro e facendo presente che Lea Garofalo, inserita nel programma di protezione, era scomparsa. Il giorno dopo Denise sarà contattata dagli stessi carabinieri e invitata a raccontare quanto avvenuto, «però sapevo che mio padre avrebbe fatto pressioni per leggere quei verbali ed evitai di far scrivere nero su bianco che sospettavo di lui e della sua famiglia. Perché in questi casi o lasci che ti uccidano, oppure queste persone te le fai amiche». La ragazza rivela che due giorni dopo, il 26 novembre, incontra Elisa, la fidanzata di Rosario Curcio, la quale le spiega che la sera del 24 aspettava il fidanzato che però non si è presentato all'appuntamento. Come giustificazione aveva addotto di aver dovuto aggiustare un'auto, insieme a Carmine Venturino. Denise capisce, anche se non può immaginare l'atrocità di quanto accaduto. È una combattente coraggiosa: per un anno dall'omicidio di sua madre racconta di aver «mangiato con queste persone (la famiglia di suo padre, n.d.r.), di essere andata in vacanza con loro, di aver giocato con i miei cugini. Io sapevo, l'avevo capito dalla sera stessa, ma cosa avrei dovuto fare? Non volevo fare la stessa fine di mia madre».

Un destino purtroppo solo allontanato di qualche mese: il 5 maggio 2009 Massimo Sabatino tentò infatti di uccidere Lea Garofalo. Lei e la figlia erano tornate a Campobasso, dove Carlo Cosco si era impegnato a trovare loro un appartamento pagando l'affitto. Unico neo: la lavatrice non funzionante, ma l'uomo si offre di chiamare un idraulico. Di fatto il giorno dopo alla porta busserà Massimo Sabatino, con l'intento di uccidere Lea Garofalo. Le urla della donna sveglieranno Denise che quella mattina era rimasta a casa da scuola e che riesce ad andare in soccorso della madre. Spaventate, per due giorni le due donne dormono in una tenda sulla piazza del Comune, sentendosi più al sicuro lì, in mezzo alla gente, che non a casa dove era avvenuto il fatto.

La ragazza dovrà tornare a deporre nel corso della prossima udienza, sottoponendosi agli sguardi dei suoi famigliari, compatti nel sostenere gli imputati che appaiono ridanciani e sereni all'interno delle gabbie, ma anche al fuoco di fila della difesa. In quell'occasione però ci sarà anche l'interrogatorio delle parti civili, rappresentate dagli avvocati Roberto D'Ippolito (per la madre e la sorella di Lea Garofalo) e da Ilaria Ramoni e Enza Rando (in difesa di Denise). È stata proprio quest'ultima a dare il via alle deposizioni dei teste, iniziando il personale racconto ricordando quando per la prima vide Lea Garofalo: «La incontrai per la prima volta intorno al 2008, lei aveva contattato l'associazione di cui faccio parte spiegando che era una collaboratrice di giustizia: ci incontrammo a Roma, ma lei non aveva con sé alcun materiale, quindi fu più una sorta di incontro-sfogo». Da allora le due donne si scambiano solo qualche telefonata e sms, per poi rivedersi il 20 novembre 2009 in occasione del processo a Firenze. Per l'ultima volta con Lea, per la prima volta con Denise, senza immaginare che avrebbero iniziato a camminare insieme alla ricerca della verità per la morte di Lea Garofalo.

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