Mi chiedo come si possa essere ancora fieri di avere il sole, il mare, il buonumore. Tutto ciò non dipende da noi, è stata una fortuna. Vorrei che al mio Paese fosse restituita la credibilità, assente ormai da troppo tempo...
Secondo i dati dell'OCSE (Organizzazione e Cooperazione Sviluppo Economico), in Italia il 46,7% dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha un impiego temporaneo. Dall'inizio della crisi la percentuale dei giovani precari è in costante aumento: 42,3% nel 2007, 43,3% nel 2008 e 44,4% nel 2009. Secondo i dati, nel 1994 la percentuale di under 25 italiani con un impiego temporaneo era del 16,7%. Fino a 10 anni fa era ancora possibile iscriversi all'università seguendo i propri interessi e le proprie passioni; ma ormai questo sembra essere diventato un lusso che i giovani non possono più permettersi. É meglio essere pratici, informarsi su quali siano le professioni del futuro, e puntare a quelle. Ma ben venga anche questa possibilità se serve, se poi sarà possibile immaginarsi un futuro nel proprio paese. L'incertezza non è stimolante e riduce le prospettive.
In Italia, i disoccupati senza lavoro da 6 mesi o più sono il 64,5% (in aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2009) e quelli senza lavoro da un anno o più il 48,5% (+4 punti percentuali rispetto al 2009). Come sottolinea l'Ocse nel rapporto: "Fasi prolungate di disoccupazione sono particolarmente penalizzanti, perché aumentano il rischio di una marginalizzazione permanente dal mercato del lavoro, come risultato del deprezzamento delle abilità e della perdita di autostima e motivazione".
Il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, ha infine sottolineato l'importanza di "raggiungere una migliore corrispondenza tra le competenze che i giovani acquisiscono a scuola e quelle necessarie nel mondo del lavoro". É un buon augurio ma è un risultato difficile da raggiungere in una paese dove l'idea di base è "l'università non è sufficiente". I programmi di studio delle università italiane sono però i più corposi di tutta Europa, eppure non è sufficiente. Viene il dubbio che il fine sia proprio quello di non colmare il divario tra mondo teorico e mondo pratico, in modo che le piccole e grandi aziende possano avere altri due, o tre anni se sono fortunati, di guadagno senza spesa, grazie ai tirocini non retribuiti.
I tirocini, laddove siano ritenuti necessari allo svolgimento di una professione, dovrebbero prevedere un minimo compenso. Gli specializzandi in medicina durante il loro periodo di pratica sono stipendiati, e attualmente è in discussione una legge che prevede un riconoscimento finanziario al lavoro dei praticanti in uno studio legale. Retribuzioni di questo tipo purtroppo non sono ancora prese in considerazione per laureati in lettere destinati all'ambito dell'editoria e dell'insegnamento.
Riguardo ad attività professionali non retribuite, mi viene in mente un video molto polemico visto recentemente. Maddalena è un attrice che sempre più spesso, dopo la richiesta di una prestazione professionale, si tratti di una lettura o di un piccolo video, si sente dire: "Però naturalmente, ovviamente, chiaramente non possiamo pagarti". Lei si rifiuta di lavorare gratis, e si rammarica che nemmeno una grande casa editrice possa destinare 50 euro lordi per un video. Succede anche nelle piccole realtà, e uno dice: "Beh, è ovvio". No, non è ovvio, perché si potrebbe essere retribuiti anche con una cifra simbolica. Invece c'è una pessima educazione al riconoscimento del valore degli altri.
Questo succede ai liberi professionisti, figuriamoci agli sprovveduti neo-laureati. Ed è una realtà tutta italiana: ho stampate in mente le facce sbalordite e confuse di amici tedeschi e svedesi quando parlo loro di collaborazioni o tirocini anche obbligatori ma sempre, inesorabilmente, non retribuiti. Mi chiedo se sia così difficile cambiare le cose…
Secondo i dati dell'OCSE (Organizzazione e Cooperazione Sviluppo Economico), in Italia il 46,7% dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha un impiego temporaneo. Dall'inizio della crisi la percentuale dei giovani precari è in costante aumento: 42,3% nel 2007, 43,3% nel 2008 e 44,4% nel 2009. Secondo i dati, nel 1994 la percentuale di under 25 italiani con un impiego temporaneo era del 16,7%. Fino a 10 anni fa era ancora possibile iscriversi all'università seguendo i propri interessi e le proprie passioni; ma ormai questo sembra essere diventato un lusso che i giovani non possono più permettersi. É meglio essere pratici, informarsi su quali siano le professioni del futuro, e puntare a quelle. Ma ben venga anche questa possibilità se serve, se poi sarà possibile immaginarsi un futuro nel proprio paese. L'incertezza non è stimolante e riduce le prospettive.
In Italia, i disoccupati senza lavoro da 6 mesi o più sono il 64,5% (in aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2009) e quelli senza lavoro da un anno o più il 48,5% (+4 punti percentuali rispetto al 2009). Come sottolinea l'Ocse nel rapporto: "Fasi prolungate di disoccupazione sono particolarmente penalizzanti, perché aumentano il rischio di una marginalizzazione permanente dal mercato del lavoro, come risultato del deprezzamento delle abilità e della perdita di autostima e motivazione".
Il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, ha infine sottolineato l'importanza di "raggiungere una migliore corrispondenza tra le competenze che i giovani acquisiscono a scuola e quelle necessarie nel mondo del lavoro". É un buon augurio ma è un risultato difficile da raggiungere in una paese dove l'idea di base è "l'università non è sufficiente". I programmi di studio delle università italiane sono però i più corposi di tutta Europa, eppure non è sufficiente. Viene il dubbio che il fine sia proprio quello di non colmare il divario tra mondo teorico e mondo pratico, in modo che le piccole e grandi aziende possano avere altri due, o tre anni se sono fortunati, di guadagno senza spesa, grazie ai tirocini non retribuiti.
I tirocini, laddove siano ritenuti necessari allo svolgimento di una professione, dovrebbero prevedere un minimo compenso. Gli specializzandi in medicina durante il loro periodo di pratica sono stipendiati, e attualmente è in discussione una legge che prevede un riconoscimento finanziario al lavoro dei praticanti in uno studio legale. Retribuzioni di questo tipo purtroppo non sono ancora prese in considerazione per laureati in lettere destinati all'ambito dell'editoria e dell'insegnamento.
Riguardo ad attività professionali non retribuite, mi viene in mente un video molto polemico visto recentemente. Maddalena è un attrice che sempre più spesso, dopo la richiesta di una prestazione professionale, si tratti di una lettura o di un piccolo video, si sente dire: "Però naturalmente, ovviamente, chiaramente non possiamo pagarti". Lei si rifiuta di lavorare gratis, e si rammarica che nemmeno una grande casa editrice possa destinare 50 euro lordi per un video. Succede anche nelle piccole realtà, e uno dice: "Beh, è ovvio". No, non è ovvio, perché si potrebbe essere retribuiti anche con una cifra simbolica. Invece c'è una pessima educazione al riconoscimento del valore degli altri.
Questo succede ai liberi professionisti, figuriamoci agli sprovveduti neo-laureati. Ed è una realtà tutta italiana: ho stampate in mente le facce sbalordite e confuse di amici tedeschi e svedesi quando parlo loro di collaborazioni o tirocini anche obbligatori ma sempre, inesorabilmente, non retribuiti. Mi chiedo se sia così difficile cambiare le cose…
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È presente 1 commento
IERI SERA HO DETTO BASTA.. Ho lavorato gratuitamente per quasi un anno in uno studio professionale di ingegneria come strutturista. 9 ore al giorno più straordinari, tutte le pretese di questo mondo e un contratto di inserimento promesso e ripromesso da mesi, ma che viene sempre posticipato. Ovviamente il contratto (se mai fosse arrivato) sarebbe comunque stato part time e avrei dovuto esse presente full time. Grande responsabilità e pressing psicologico del capo, che da buon padre padrone si permette di gridarti a male parole ogni volta che secondo lui qualcosa non va. Dimenticavo: 200 euro al mese, con cui non pagavo neanche la benzina. Impossibile? ..no, l'Italia. Da oggi c'è un disoccupato in più.
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