venerdì, ottobre 14, 2011
Benedetto XVI ha ricevuto stamani un udienza in Vaticano il patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, in occasione della Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe, in corso in questi giorni a Roma

Radio Vaticana - Al termine dell’udienza, Alessandro Gisotti ha intervistato il patriarca Twal che si sofferma sull’incontro con il Papa e sulla “primavera araba”: ascolta.
R. - Sono molto grato che il Santo Padre abbia sempre a cuore la Terra Santa e abbia a cuore la pace in tutto il Medio Oriente. Questo lo vediamo in tutti i suoi interventi: sia l’altro giorno per l’Egitto sia questa volta per noi. Pensa a noi, pensa ai cristiani, pensa alla pace per tutti! Non si può avere una pace per un popolo e non per un altro: o tutti godiamo di questa pace o si continuerà purtroppo in questo ciclo di violenza.

L’incontro di oggi è stato molto paterno: il Santo Padre ha questo grande dono dell’ascolto. Ascolta le nostre grida: grida perché ci sia più giustizia, più pace, una vita normale. Ci siamo ricordati i suoi bellissimi discorsi, durante la sua ultima visita in Terra Santa, due anni fa. L’ultimo discorso, specialmente, è rimasto nel cuore di tutti, quando ha detto: “Come amico degli israeliani, come amico dei palestinesi, ciò che mi ha fatto più pena è stato vedere queste mura, che separano gli uomini: dobbiamo cominciare ad abbatterle con una conversione interna; cominciamo con una piccola grande conversione dei nostri cuori e speriamo che queste mura un giorno spariranno”. Incoraggiamo, con lui, tutti, a venire a trovarci: con i pellegrinaggi, con le preghiere e con la solidarietà.
D. – La "primavera araba" ha destato molte speranze, molte aspettative. C’è adesso, forse, più preoccupazione da parte dei cristiani? R. – Questi eventi, questa "primavera araba", per me è come un semaforo, che prima era sempre rosso – nessuno poteva attraversare e nessuno poteva aprire bocca – ed ora è verde: tutti si "buttano", ma non sappiamo dove ci porterà. Ci sono poi elementi esterni che entrano in gioco, forse per rovinare queste nostre speranze. Io continuo ad essere ottimista e a non aver paura, perché noi cristiani siamo parte integrante del popolo, nel bene e nel male. D. – Siamo ormai nell’imminenza dell’incontro di Assisi. Quanto questo momento forte di dialogo interreligioso può aiutare anche le popolazioni, e i cristiani in particolare, della Terra Santa, del Nord Africa? R. – E’ un bene che si faccia e noi incoraggiamo questi incontri, però noi abbiamo bisogno di vivere pienamente la vita di ogni giorno. Vogliamo sentire questa libertà di movimento, libertà di coscienza, libertà di culto. Dobbiamo pensare alla vita di ogni giorno! D. – Una libertà che è per tutti – come diceva prima – non solo per i cristiani... R. – Sì. Abbiamo sempre avuto la libertà di culto. Quello che io chiedo è la libertà di coscienza, che ciascuno secondo la propria coscienza – che si converta all’islam, che si converta al cristianesimo – si esprima con libertà, una libertà interna di fronte a Dio e alla storia. Questo è quello di cui abbiamo bisogno, ma siamo ancora un po’ lontani da questa libertà.

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