Una descrizioni veritiera e scherzosa della nostra attuale scuola italiana
Il libro di Antonio Ferrero (edito da Edizioni Clandestine 2011) fa uno zoom sulla situazione della nostra scuola in sette capitoli godibilissimi e molto spiritosi. Si nota subito che la vecchia scuola nozionistica, quella frequentata dagli attuali cinquantenni, è ahimè un ricordo di tempi lontani, quando gli alunni e i docenti avevano dei ruoli rigidamente codificati: gli alunni dovevano imparare e i docenti insegnare. Dice Antonio Ferrero: “Una volta erano i ragazzi a dover giustificare le loro mancanze, adesso siamo noi a dover chiedere scusa se diamo un’insufficienza”. Direi esilarante il primo capitolo, che esprime esaurientemente questo concetto. Così risponde un vecchio professore ad un nuovo entrato che voleva rendersi conto di come funzionava la scuola: “Oggi prima che un preside qualsiasi ti lasci mettere un quattro in pagella ti costringono a cercare tante di quelle attenuanti che neanche Perry Mason riuscirebbe a starci dietro ... Lo scoprirai agli scrutini soprattutto del secondo quadrimestre; porta qualcuno col quattro e vedrai che terzo grado dovrai affrontare: hai fatto il numero di verifiche sufficienti per poterlo valutare? Hai attivato corsi di recupero dopo la prima insufficienza? Hai comunicato l’andamento alla famiglia? Lo hai messo in condizioni di rimediare? Hai tenuto conto della sua situazione familiare problematica? … Ebbene se pure rispondi affermativamente a tutte le domande e insisti perché abbia il quattro in pagella e magari venga bocciato, allora esce l’unico vero argomento valido: se lo respingiamo e non si iscrive più rischiamo di non avere il numero di studenti sufficiente per confermare le classi attuali. Te la senti di prenderti la responsabilità di mandare a casa un tuo collega precario?“.
Ecco, questa è la morale della favola. Questa nostra scuola italiana è intrisa di principi astratti e insieme utilitaristici dove la didattica, l’apprendimento e la valutazione sono completamente separati e dove agli obiettivi, con i relativi argomenti e le modalità di raggiungimento, vengono sostituiti delle fantomatiche fasi del “Sapere”, “Saper Fare” e “Saper Essere”.
Uno dei capitoli più significativi, e allo stesso tempo spiritosi, è quello dedicato all’ora di spiegazione del sesso. Si racconta di una professoressa specializzata in Scienza della Formazione, nuovo termine che sta al posto di Psicologia, che è ossessionata da questo tema e dal desiderio di spiegarlo ai suoi studenti. Alla fine questa lezione si riduce alla spiegazione dei metodi contraccettivi e la studentessa cattolica che cerca di parlare di amore e di astinenza viene messa subito in minoranza.
Non poteva mancare di certo il capitolo sull’ora di religione incentrato, guarda caso, sull’opportunità di rimuovere il crocifisso dalle aule, con la solita professoressa protestataria, impegnata e determinata nel riconoscere i diritti delle minoranze religiose e nell’esigenza di non discriminarle con la presenza del Crocifisso nelle aule… Non pensando che così avrebbe discriminato più del 90 per cento degli studenti italiani che aderiscono alle religione cattolica!
E così, passo dopo passo, Antonio Ferrero conduce il lettore a farsi un benevolo sorriso nei confronti dei comportamenti della nostra classe insegnante, impegnata però, con tanta buona volontà a condurre, gli alunni verso la classe terminale per ottenere il sospirato diploma o pezzo di carta che dir si voglia!
Ma, al di là della recensione, forse questa povera scuola italiana ha perso di vista l’alunno e il compito di prendere a cuore la sua storia e la sua vita, di metterlo veramente al centro del suo interesse. “L’educazione dell’uomo è un risveglio umano - diceva Maritain - ma non di un uomo astratto, bensì ‘individuato’ da un volto, da una storia, da un nome. Se l’educatore perde l’orizzonte dell’individualità, fallisce in quello che è il compito primo dell’educazione: condurre quel volto, quella storia, quel nome a rispondere creativamente al mondo che lo interpella. In ciò consiste la sua grande responsabilità: far proprio il motto di Don Milani dell’‘I care’, mi interessa, mi sta a cuore; il dire all’altro «tu mi interessi perché in te c’è una luce che non brilla e mai è brillata in nessun essere prima d’ora. Accompagno la tua crescita e accetto di esserCI con amore dentro la tua storia, perché tu possa trovare la strada per una tua piena e personale realizzazione. Voglio che tu sia ‘un essere che esiste volentieri, che non si vergogna di esistere’”.
Il libro di Antonio Ferrero (edito da Edizioni Clandestine 2011) fa uno zoom sulla situazione della nostra scuola in sette capitoli godibilissimi e molto spiritosi. Si nota subito che la vecchia scuola nozionistica, quella frequentata dagli attuali cinquantenni, è ahimè un ricordo di tempi lontani, quando gli alunni e i docenti avevano dei ruoli rigidamente codificati: gli alunni dovevano imparare e i docenti insegnare. Dice Antonio Ferrero: “Una volta erano i ragazzi a dover giustificare le loro mancanze, adesso siamo noi a dover chiedere scusa se diamo un’insufficienza”. Direi esilarante il primo capitolo, che esprime esaurientemente questo concetto. Così risponde un vecchio professore ad un nuovo entrato che voleva rendersi conto di come funzionava la scuola: “Oggi prima che un preside qualsiasi ti lasci mettere un quattro in pagella ti costringono a cercare tante di quelle attenuanti che neanche Perry Mason riuscirebbe a starci dietro ... Lo scoprirai agli scrutini soprattutto del secondo quadrimestre; porta qualcuno col quattro e vedrai che terzo grado dovrai affrontare: hai fatto il numero di verifiche sufficienti per poterlo valutare? Hai attivato corsi di recupero dopo la prima insufficienza? Hai comunicato l’andamento alla famiglia? Lo hai messo in condizioni di rimediare? Hai tenuto conto della sua situazione familiare problematica? … Ebbene se pure rispondi affermativamente a tutte le domande e insisti perché abbia il quattro in pagella e magari venga bocciato, allora esce l’unico vero argomento valido: se lo respingiamo e non si iscrive più rischiamo di non avere il numero di studenti sufficiente per confermare le classi attuali. Te la senti di prenderti la responsabilità di mandare a casa un tuo collega precario?“.
Ecco, questa è la morale della favola. Questa nostra scuola italiana è intrisa di principi astratti e insieme utilitaristici dove la didattica, l’apprendimento e la valutazione sono completamente separati e dove agli obiettivi, con i relativi argomenti e le modalità di raggiungimento, vengono sostituiti delle fantomatiche fasi del “Sapere”, “Saper Fare” e “Saper Essere”.
Uno dei capitoli più significativi, e allo stesso tempo spiritosi, è quello dedicato all’ora di spiegazione del sesso. Si racconta di una professoressa specializzata in Scienza della Formazione, nuovo termine che sta al posto di Psicologia, che è ossessionata da questo tema e dal desiderio di spiegarlo ai suoi studenti. Alla fine questa lezione si riduce alla spiegazione dei metodi contraccettivi e la studentessa cattolica che cerca di parlare di amore e di astinenza viene messa subito in minoranza.
Non poteva mancare di certo il capitolo sull’ora di religione incentrato, guarda caso, sull’opportunità di rimuovere il crocifisso dalle aule, con la solita professoressa protestataria, impegnata e determinata nel riconoscere i diritti delle minoranze religiose e nell’esigenza di non discriminarle con la presenza del Crocifisso nelle aule… Non pensando che così avrebbe discriminato più del 90 per cento degli studenti italiani che aderiscono alle religione cattolica!
E così, passo dopo passo, Antonio Ferrero conduce il lettore a farsi un benevolo sorriso nei confronti dei comportamenti della nostra classe insegnante, impegnata però, con tanta buona volontà a condurre, gli alunni verso la classe terminale per ottenere il sospirato diploma o pezzo di carta che dir si voglia!
Ma, al di là della recensione, forse questa povera scuola italiana ha perso di vista l’alunno e il compito di prendere a cuore la sua storia e la sua vita, di metterlo veramente al centro del suo interesse. “L’educazione dell’uomo è un risveglio umano - diceva Maritain - ma non di un uomo astratto, bensì ‘individuato’ da un volto, da una storia, da un nome. Se l’educatore perde l’orizzonte dell’individualità, fallisce in quello che è il compito primo dell’educazione: condurre quel volto, quella storia, quel nome a rispondere creativamente al mondo che lo interpella. In ciò consiste la sua grande responsabilità: far proprio il motto di Don Milani dell’‘I care’, mi interessa, mi sta a cuore; il dire all’altro «tu mi interessi perché in te c’è una luce che non brilla e mai è brillata in nessun essere prima d’ora. Accompagno la tua crescita e accetto di esserCI con amore dentro la tua storia, perché tu possa trovare la strada per una tua piena e personale realizzazione. Voglio che tu sia ‘un essere che esiste volentieri, che non si vergogna di esistere’”.
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