Sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla piaga della malnutrizione. E’ questo l’obiettivo dell’odierna Giornata mondiale dell’alimentazione, indetta dalla Fao.
RadioVaticana - L’iniziativa, incentrata sul tema “Prezzi degli Alimenti – dalla crisi alla stabilità”, è anche un’occasione per riflettere sulle speculazioni che rendono ancora più grave il dramma della fame. Quale è oggi la situazione a livello globale? Risponde al microfono di Amedeo Lomonaco, il responsabile del Cesvi per le policy, Stefano Piziali, curatore dell’edizione italiana del rapporto “Indice globale della fame” (Global hunger index): ascolta .
R. –A livello globale, secondo dati della Fao, sono circa 925 milioni le persone che soffrono di denutrizione, ovvero non riescono a raggiungere un livello sufficiente di calorie per condurre una vita sana e produttiva.
D. – Quali sono le cause che ostacolano la lotta contro la fame?
R. – Le cause sono diverse. In Asia meridionale, il problema principale è il basso status sociale delle donne: le donne hanno poco accesso all’educazione, non hanno accesso ai sistemi di salute e tutto questo si ripercuote sul livello nutrizionale dei bambini. In Africa subsahariana, il problema è differente: abbiamo ancora purtroppo le conseguenze della grande pandemia di Aids. Inoltre ci sono diversi Paesi con un livello di governo debolissimo e molti conflitti ancora in atto. Tutto questo indebolisce la capacità delle comunità di far fronte al problema della malnutrizione.
D. – A questo si aggiungono la crescita e l’instabilità dei prezzi dei generi alimentari...
R. – Negli ultimi dieci anni, i prezzi sono stati caratterizzati da estrema volatilità, ovvero da improvvise accelerazioni di prezzo, seguite da ricadute repentine. Tutto questo ha delle conseguenze e degli impatti gravissimi sulla vita delle popolazioni più povere. Alla base di questa volatilità, formulando l’indice globale della fame, abbiamo identificato tre fattori: le speculazioni finanziarie, l’impennata che ha avuto la coltivazione delle terre fertili per produrre bio carburanti che sottraggono produzione alimentare e i cambiamenti climatici che, in alcuni Paesi, stanno indebolendo la capacità dei poveri di resistere alle crisi.
D. – Come prevenire crisi umanitarie come quella che ha colpito il Corno d’Africa?
R. – Dobbiamo prepararci alle emergenze, non dobbiamo subirle. Una delle raccomandazioni che l’indice globale della fame suscita è proprio quella, per esempio, di costruire delle reti di protezione per i più poveri. Reti alle quali possano attingere. Sistemi che possano essere reti in cui viene distribuito denaro, piuttosto che cibo, nei momenti critici oppure anche meccanismi assicurativi che possano permettere ai più poveri di avere assicurazioni sul loro prodotto. Abbiamo lavorato in un Paese – l’Uganda – che è stato escluso da questa grave crisi proprio perché, negli ultimi anni, l’impegno delle organizzazioni internazionali è stato importante nel cercare di aiutare le comunità ad affrontare i momnti critici.
D. – A proposito del Rapporto indice globale della fame, di cui lei è il curatore dell’edizione italiana, dallo studio si ricava che tale indice è diminuito negli ultimi 21 anni. Possiamo prevedere che, a lungo termine, questa lotta contro la fame sarà vinta?
R. – Sì, dobbiamo credere in questo sforzo. Il problema della fame, pur avendo molte cause, può essere aggredito proprio da diversi punti di vista e può essere debellato e risolto, perché abbiamo visto che alcuni Paesi stanno facendo dei passi avanti. Dobbiamo quindi seguire la strada intrapresa da questi Stati. (ap)
Il rapporto “Indice globale della fame” è stato pubblicato in Italia da “Link 2007”, consorzio che raggruppa diverse Organizzazioni non governative, in collaborazione con Cesvi (Cooperazione e sviluppo) e Cosv (Coordinamento delle Organizzazioni per il Servizio Volontario). La ricerca, presentata nei giorni scorsi a Milano, prende in esame tre indicatori: la percentuale di persone denutrite, il tasso di mortalità infantile e la percentuale di bambini fino a 5 anni sottopeso. Dallo studio emerge che tale indice è diminuito negli ultimi 21 anni, ma di poco e non in maniera uniforme.
RadioVaticana - L’iniziativa, incentrata sul tema “Prezzi degli Alimenti – dalla crisi alla stabilità”, è anche un’occasione per riflettere sulle speculazioni che rendono ancora più grave il dramma della fame. Quale è oggi la situazione a livello globale? Risponde al microfono di Amedeo Lomonaco, il responsabile del Cesvi per le policy, Stefano Piziali, curatore dell’edizione italiana del rapporto “Indice globale della fame” (Global hunger index): ascolta .
R. –A livello globale, secondo dati della Fao, sono circa 925 milioni le persone che soffrono di denutrizione, ovvero non riescono a raggiungere un livello sufficiente di calorie per condurre una vita sana e produttiva.
D. – Quali sono le cause che ostacolano la lotta contro la fame?
R. – Le cause sono diverse. In Asia meridionale, il problema principale è il basso status sociale delle donne: le donne hanno poco accesso all’educazione, non hanno accesso ai sistemi di salute e tutto questo si ripercuote sul livello nutrizionale dei bambini. In Africa subsahariana, il problema è differente: abbiamo ancora purtroppo le conseguenze della grande pandemia di Aids. Inoltre ci sono diversi Paesi con un livello di governo debolissimo e molti conflitti ancora in atto. Tutto questo indebolisce la capacità delle comunità di far fronte al problema della malnutrizione.
D. – A questo si aggiungono la crescita e l’instabilità dei prezzi dei generi alimentari...
R. – Negli ultimi dieci anni, i prezzi sono stati caratterizzati da estrema volatilità, ovvero da improvvise accelerazioni di prezzo, seguite da ricadute repentine. Tutto questo ha delle conseguenze e degli impatti gravissimi sulla vita delle popolazioni più povere. Alla base di questa volatilità, formulando l’indice globale della fame, abbiamo identificato tre fattori: le speculazioni finanziarie, l’impennata che ha avuto la coltivazione delle terre fertili per produrre bio carburanti che sottraggono produzione alimentare e i cambiamenti climatici che, in alcuni Paesi, stanno indebolendo la capacità dei poveri di resistere alle crisi.
D. – Come prevenire crisi umanitarie come quella che ha colpito il Corno d’Africa?
R. – Dobbiamo prepararci alle emergenze, non dobbiamo subirle. Una delle raccomandazioni che l’indice globale della fame suscita è proprio quella, per esempio, di costruire delle reti di protezione per i più poveri. Reti alle quali possano attingere. Sistemi che possano essere reti in cui viene distribuito denaro, piuttosto che cibo, nei momenti critici oppure anche meccanismi assicurativi che possano permettere ai più poveri di avere assicurazioni sul loro prodotto. Abbiamo lavorato in un Paese – l’Uganda – che è stato escluso da questa grave crisi proprio perché, negli ultimi anni, l’impegno delle organizzazioni internazionali è stato importante nel cercare di aiutare le comunità ad affrontare i momnti critici.
D. – A proposito del Rapporto indice globale della fame, di cui lei è il curatore dell’edizione italiana, dallo studio si ricava che tale indice è diminuito negli ultimi 21 anni. Possiamo prevedere che, a lungo termine, questa lotta contro la fame sarà vinta?
R. – Sì, dobbiamo credere in questo sforzo. Il problema della fame, pur avendo molte cause, può essere aggredito proprio da diversi punti di vista e può essere debellato e risolto, perché abbiamo visto che alcuni Paesi stanno facendo dei passi avanti. Dobbiamo quindi seguire la strada intrapresa da questi Stati. (ap)
Il rapporto “Indice globale della fame” è stato pubblicato in Italia da “Link 2007”, consorzio che raggruppa diverse Organizzazioni non governative, in collaborazione con Cesvi (Cooperazione e sviluppo) e Cosv (Coordinamento delle Organizzazioni per il Servizio Volontario). La ricerca, presentata nei giorni scorsi a Milano, prende in esame tre indicatori: la percentuale di persone denutrite, il tasso di mortalità infantile e la percentuale di bambini fino a 5 anni sottopeso. Dallo studio emerge che tale indice è diminuito negli ultimi 21 anni, ma di poco e non in maniera uniforme.
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