giovedì, ottobre 06, 2011
Il nostro corrispondente a Londra, Renato Zilio, ci parla dei tanti giovani italiani che emigrano in cerca di fortuna, di riconoscimento del proprio valore e di una società più giusta e fondata su valori solidi

“Tristissimo”, mi fa con un’aria ancora piu triste. Daniela è arrivata a Londra da qualche giorno e mi descrive così il panorama italiano. Non quello fisico-geografico che resta pur sempre splendido, ma quello degli animi, delle mentalità, delle situazioni sociali. E dalle sue parole avverti un certo nascosto senso di tragedia. Antonella di Andria ritorna per la seconda volta a Londra, dopo avervi fatto un master tempo fa, ed è qui per ritentare la fortuna: in Italia non ha attecchito. Il Sud? “Un deserto! - ti risponde immediatamente - Si è perfino stanchi di cercare lavoro, tanto non lo si trova. Non c’è nulla. Si lavora in nero, anzi - calcando il tono - un nero che più nero non c’è”. Accenna anche allo scadimento di valori: le ragazzine ormai desiderano fare le veline, i ragazzi i calciatori. E viene in sintonia, ti precisa, anche un vuoto culturale. “Ciononostante - mi fa con un’impennata di orgoglio meridionale - no, non sono tutti così. Non così fan tutti. Mi dispiace, ma c’è gente che vale, laggiù!”.

Olga e Giovanna di Rho, due ragazze vitalissime, mi dicono a raffica gli aspetti che colgono nei giovani studenti che conoscono da loro: “Rassegnati, delusi, demotivati, squattrinati e cionostante studiano... chissà perché!”. Chiedo pure della presenza della chiesa da loro... “Lontanissima!” mi scagliano, e non capisco se fisicamente o metafisicamente… ma forse entrambi. Boris, bergamasco di Pontida, qui da vari anni, ha appena incontrato l’altra settimana due trentenni arrivati dall’Italia, anzi “scappati” corregge subito. Li ha aiutati a trovare casa ed altro, anche se con difficoltà. Ormai ce ne sono troppi che arrivano a Londra, in particolare giovani dalla Grecia e dalla Spagna.

Clarissa, piacentina, invece, prende il tempo di riassumermi cosa ha apprezzato in questa metropoli. La cosa più bella è la sincerità: quello che un inglese ti dice è quello che pensa. “Per quanto rude possa essere è la verità, e la verità si gestisce, l'ipocrisia invece ti affonda nei dubbi”, sottolinea con un bel fare magistrale. Poi ha trovato molto rispetto per chi vuole imparare: l'accoglienza verso chi studia è espressa anche ai livelli più alti. Nessuno, poi, si preoccupa di come si appare: piuttosto che pre-giudicare, non giudica affatto. Il sistema giudiziario, invece, è molto razionale e la procedura, penale e civile, economizza tempi e costi. Infine, gli inglesi leggono ovunque e conclude: “Io in Italia venivo guardata bizzarramente quando leggevo camminando per strada o aspettando il bus, qui invece sono... normale!”.

Renata già qui da tempo dipinge il quadro così: molti sono fuggiti dall'Italia in cerca di lavoro e di opportunità e alcuni sono rimasti a seguito di un’esperienza lavorativa, perchè meglio pagati, ma molti qui non vorrebbero stare, lo fanno perchè riescono a guadagnare bene, hanno una buona posizione che in Italia non avrebbero. Altri stanno semplicemente provando a vivere e lavorare in una realtà diversa, per mettersi alla prova.
Spesso si riscontra un disagio a livello umano, perchè l'Inghilterra non ha il calore umano dello Stivale; nella maggior parte si nota la nostalgia del sole, del buon cibo e dell'estro nostrano, ma in tutti si sente la necessità di vivere in una società più rispettosa, meno macchinosa e falsa. In Italia si è tutti amici, è vero, ma è una lama a doppio taglio: questo rapporto spesso richiede favori... E conclude: “In realtà, mi pesa di non essere in lotta effettiva per un'Italia diversa, la critico e vorrei esaltarne le possibilità, ma qui, a Londra, dove sono finita per pura casualità, mi son trovata a casa senza grandi sforzi! Chi vive in Italia, invece, lo vedo frustrato, depresso e scontento di un Paese che si svende, che non investe, che si piange addosso fingendo di stare bene, che vorrebbe ribellarsi, ma ne ha paura o non ne ha le forze.”


Seguendo il filo del discorso dei giovani emerge un’idea inquietante. Sembra che i barconi che approdano alle nostre coste siano paradossalmente - essi stessi - l’immagine della nostra terra: essa getta a mare i suoi giovani. E fa ricordare il ritornello di un vecchio professore che ripeteva spesso: “Quando in una società il vecchio uccide il giovane c’è ben poco da sperare: si autodistrugge senza saperlo”.
Viene, allora, da chiedersi se i responsabili della nostra società siano come gli idoli nella Bibbia, che hanno orecchi ma non sentono, hanno occhi e non vedono, come recita il salmo. Sapendo che la dinamica dell’idolo è concentrare in sè ogni potere e ogni ambizione e farsi adorare. Centrato in se stesso per eccellenza. Forse è la naturale conseguenza di una società che ha assunto ultimamente una perversa regola d’oro: fare i propri interessi. “Siamo rimasti al medioevo! - analizza clinicamente Massimo, un giovane medico veneto - Da noi non c’è stata una rivoluzione francese o una rivoluzione industriale come in Gran Bretagna o una rivoluzione protestante...”

All’estero, poi, il paragone viene naturale. I nostri emigranti italiani hanno costruito per decenni dei ponti con altre culture e con altri popoli, hanno lanciato passerelle, hanno imparato a vivere in simbiosi con loro “facendo la loro patria il mondo”. Nella nostra terra, invece, ci si rinchiude in campanilismi, in clan, in corporazioni e nei propri interessi. Chi governa, poi, sensibile a tutto questo, si mostra incapace di cambiare passo, di lanciarsi nella modernità, di investire sui giovani. Per questo la perdita di identità, di fiducia o di speranza è sempre in agguato in loro.

“Signore, per questi giovani abbandonati da tutti, abbandonati a se stessi, resti ormai solo tu a proteggerli!”. Il nostro sguardo si fa, in fondo, solo compassione e preghiera.

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