sabato, ottobre 15, 2011
Dall'interno dell'occhio del ciclone della crisi - non solo finanziaria, ma economica, sociale, ecologica - il precipitare degli eventi rende ai pensieri estremamente difficoltoso l'articolare un filo logico che possa essere riavvolto alle cause di questa attuale situazione di continuo allarmismo.

GreenReport - Nella marea di dati che ci vengono offerti per sondare la realtà che ci circonda, uno in particolare è significativamente utile per interpretare il desiderio di rivoluzionare il paradigma vigente da parte delle giovani generazioni di tutto il globo: il coefficiente di Gini, uno tra gli indici più comunemente usati per misurare una disuguaglianza (nello specifico, quella della ricchezza). Secondo il recente documento Ocse "Growing income inequality in Oecd countries: what drives it and how can policy tackle it?", il 10% della popolazione più ricca dei paesi appartenenti all'organizzazione internazionale ha redditi superiori anche di nove volte rispetto al 10% della popolazione più povera. Se il coefficiente di Gini (che quando ha valore 0 indica perfetta distribuzione, e quando 1 una situazione di perfetta disuguaglianza) per la media Ocse era pari a 0,28 nella metà degli anni '80, alla fine degli anni 2000 era pari a 0,31 - 0,35 in Italia, uno dei dati peggiori in Europa. Disuguaglianze ancora più ampie possono essere riscontrate tra i paesi Ocse e quelli poveri, o in via di sviluppo.

Senza un'adeguata riforma delle politiche fiscali e previdenziali e del mercato del lavoro, conclude l'Ocse, le disuguaglianze sono destinate ad ampliarsi ulteriormente. Che c'entra dunque il coefficiente di Gini con le proteste di piazza planetarie che si stanno accendendo, e che confluiranno domani in una manifestazione internazionale? I ragazzi in strada, sostanzialmente, protestano perché il coefficiente è troppo alto, e chiedono di concentrasi sulle riforme in questione. Richieste socialdemocratiche dunque, riportate in auge ed accompagnate dalla volontà di partecipare direttamente al cambiamento, in una democrazia più forte.

L'elevata disuguaglianza, d'altronde, è tra le concause che più hanno contribuito (e che contribuiscono) all'incremento «dei livelli di indebitamento del settore pubblico e privato e le relative bolle azionarie e creditizie», come osserva l'economista Nouriel Roubini, in un suo recente intervento sulle pagine di Project Syndacate.

«Il mediocre aumento dei redditi, che si è registrato negli ultimi decenni e che ha interessato tutti tranne i ricchi, ha aperto un divario tra redditi e propensione al consumo - continua Roubini. Nei Paesi anglosassoni, la risposta è stata quella di democratizzare il credito - mediante liberalizzazione finanziaria - favorendo in tal modo un'impennata del debito privato, dal momento che le famiglie si sono indebitate per compensare la differenza. In Europa, il divario è stato colmato con i servizi pubblici, come istruzione gratuita e sanità, che non sono stati interamente finanziati dalle tasse, alimentando i disavanzi pubblici e il debito. In entrambi i casi, i livelli debitori alla fine sono diventati insostenibili».

«Il problema non è nuovo. Karl Marx lodava esageratamente il socialismo, ma aveva ragione ad affermare che la globalizzazione, il capitalismo finanziario sfrenato e la ridistribuzione di redditi e ricchezza dal lavoro al capitale avrebbe potuto portare il capitalismo all'autodistruzione. Secondo il suo pensiero, il capitalismo sregolato poteva causare attacchi regolari di sovracapacità e sottoconsumo, nonché la ricorrenza di crisi finanziarie distruttive, alimentate da bolle creditizie e da forti oscillazioni dei prezzi azionari».

Il desiderio che accomuna coloro che ormai vengono comunemente definiti indignados, è dunque ribaltare l'ideologia iperliberista che ha preso il sopravvento sul welfare state dopo il trentennio d'oro che va dagli anni '50 agli '80 (caratterizzati da un'ascesa dei redditi, e bassa disuguaglianza), approfittando delle imperfezioni che comunque caratterizzavano l'impostazione dello stato sociale, ma che aspettavano soltanto di essere corrette.

Leggendo la bozza del "nuovo statuto economico del popolo americano" (il manifesto dei ragazzi di "Occupy wall street"), sintetizzata dal Sole 24 Ore e che sarà presentata oggi - dopo esser stata redatta in crowd sourcing - può esser racchiusa in sole tre richieste-base: abbattere le disuguaglianze, promuovere uno sviluppo sostenibile ed affermare il potere della democrazia.

Non è infatti l'elenco di proposte dettagliate che i ragazzi stanno provando a articolare - in modo a volte confuso ed estremista, contraddittorio e forse eccessivamente utopico - che è necessario concentrare l'attenzione. Come sottolineato anche dal premio Nobel per l'economia Krugman sul New York Times, e riportato dal Sole, non spetta «ai ragazzi di Occupy wall street formulare richieste dettagliate, ma sarebbe il caso che il movimento di mettesse d'accordo sulle linee guida principali di un cambiamento possibile».

È infatti impossibile che cambiamento culturale profondo di cui si sente la necessità provenga da una "lista della spesa" contenente le più svariate proposte; serve un'altra idea, una nuova base teorica e culturale che prenda sostanza e si diffonda come un virus per soppiantare il vecchio paradigma. Quest'idea è quella di una socialdemocrazia sostenibile, e non aspetta altro che essere accesa: gli indignados di tutto il mondo sono primi in lista tra i candidati teodofori.

di Luca Aterini

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