I figli di immigrati in Italia hanno spesso la fortuna di essere cittadini poliedrici che a 15 anni parlano già 3 lingue; sono in grado di interpretare i linguaggi dei media italiani e contemporaneamente le dinamiche dei Paesi di provenienza dei loro genitori. Hanno fatto sintesi di due mondi: perché non sfruttare questa ricchezza?
di Claudia Zichi
Lubna Ammoune è la curatrice di Yalla!, un blog molto seguito dagli appassionati delle vicissitudini dei musulmani in Italia. Non è facile descrivere il suo metodo di lavoro: alla base c'é la semplice volontà di far conoscere una cultura che risente ancora oggi di molti pregiudizi, e il desiderio di spiegarsi e far conoscere le proprie storie. Yalla! deriva da YallaItalia, una piattaforma web, che nasce come mensile, ideata da Martino Pillitteri, presidente dell'Associazione Italo-Egiziana, e sostenuto con impegno e profonda passione dal professore Paolo Branca, islamista e docente di lingua e letteratura araba all'Università Cattolica di Milano. Sulla home page del sito si legge che si tratta di uno spazio per giovani che nessuno ha trovato il modo di definire: seconde generazioni, nuovi italiani, generazioni 1.5, figli di immigrati. Una serie di espressioni lente, lentissime, che non colgono la dinamicità e la rapidità con cui la società italiana sta cambiando e i mille volti che ne rappresentano il carburante silenzioso. Sono giovani che offrono il proprio punto di vista su una realtà complessa, senza offrire rassicuranti schemi stereotipati o provocazioni violente e fini a se stesse. L'obiettivo che si propongono è di guardare se stessi e gli altri usando lo stesso paio di occhiali. Esprimono la loro opinione come cittadini che appartengono contemporaneamente a due mondi, quello italiano e quello musulmano. Forti di questa fortuna, si divertono a coglierne gli aspetti più interessanti, contraddittori, ambigui, e anche quelli provocatori.
A questo proposito, poniamo a Lubna alcune domande relative al suo blog e alla sua quotidianità come ragazza italiana musulmana.
D. Come è nata l'idea di curare il blog Yalla!?
R. I direttori di Vita (magazine no-profit) mi hanno proposto di curare questo spazio in occasione del rinnovamento della grafica del sito del settimanale. All’inizio ero molto titubante e mi sentivo impreparata, ma sono state molte le persone pronte a incoraggiarmi e così ho iniziato questa meravigliosa esperienza. Mi gratifica profondamente, e l’opportunità di avere un riscontro diretto e continuo dai lettori è preziosa. Prima di postare i pezzi cerco di documentarmi e di attingere da diverse fonti perché sento una grande responsabilità. Poi capita che i temi vengano scelti per letture casuali, riflessioni personali, segnalazioni da direttori, colleghi, amici e spesso anche da lettori.
D. Pensi che la tua decisione di portare il velo abbia una qualche influenza nei tuoi rapporti con gli altri? Permettersi il lusso un giorno di non dover più dare spiegazioni ti sembra un obiettivo reale?
R. Con ogni persona si vive una situazione diversa, con ognuno si crea un rapporto unico, ma in realtà non mi sono mai posta questo interrogativo. Non penso che portare il velo debba o possa giocare un ruolo importante nei rapporti. Forse può essere una “distrazione” all’inizio perché non tutti sono abituati a vedere una ragazza che porta il velo, ma poi credo che si vada oltre. Può capitare di ricevere delle domande sulla mia decisione, ma io sono disposta a spiegare le mie ragioni anche solo per cambiare le percezioni che a volte si hanno su basi poco solide. Ciò che mi piacerebbe trasmettere è l’idea che portare il velo non rende meno italiane, così come non portarlo non rende meno musulmane. Incontrare e conoscere una ragazza col velo diventa sempre più comune, quindi molto probabilmente andando avanti il non dover più dare spiegazioni può effettivamente essere un obiettivo reale.
D. Hai scritto recentemente un articolo molto interessante sulla traduzione che diventa interpretazione; ne cito alcune parti: "Traduzione e interpretazione sono figlie del loro tempo e questo contesto è lo stesso che influenza, in parte, la maturazione spirituale e religiosa di un credente. La lingua del Corano è l'arabo classico e un termine può avere vari significati, elemento che preoccupa le autorità religiose che non vogliono cambiare insegnamenti che per secoli sono stati tramandati". Siamo d'accordo sul fatto che il sapere sia un obbligo, tuttavia mi risulta difficile pensare che le autorità religiose possano permettere una traduzione che si distacchi anche solo lievemente dalla tradizione predominante. Credi invece che sia possibile una lettura consapevole e forse, perdona il termine, più distaccata del Corano? É una sfida che il singolo può compiere da solo?
R. Si tratta indubbiamente di una sfida e credo che, nel proprio piccolo, ognuno debba decidere autonomamente se percorrere questo passo o meno: appartiene al cammino della fede che personalmente intendo come atto libero e scelta quotidiana. Credo sia un percorso, un cammino di crescita. Lungo il cammino hai chi ti accompagna ma certi sentieri vanno percorsi individualmente. Davanti a un bivio potrai scegliere autonomamente, potrai chiedere consiglio, potrai trovare appoggio o disapprovazione. Se la nostra religione diventasse una lista di precetti da seguire, se riducessimo la religione a risposte e lasciassimo da parte dubbi e interrogativi, se credessimo di aver trovato la soluzione a tutto seguendo ciecamente, senza coscienza né conoscenza approfondita, ciò che porta lungo la retta via, svuoteremmo la fede del suo significato più alto. È in questo contesto che s’inserisce anche l’interpretazione delle sacre scritture. Naturalmente vi devono essere dei punti di riferimento e delle letture che possano accompagnare. Tutti i testi sacri hanno la caratteristica di contenere categorie di pensiero che sono comunque improbe e la delicatezza degli argomenti richiede senso critico che può nascere da una componente culturale imprescindibile.
D. Per quanto riguarda la primavera araba, è indubbio che nel Maghreb e in Medio Oriente siano stati i media sociali a facilitare sia l’organizzazione della rivoluzione dal basso sia la consapevolezza che questi stati fossero nel mezzo di una trasformazione radicale. Vorrei chiederti come sono state percepite dai musulmani europei le rivendicazioni sfociate in proteste in Tunisia, Libia, Egitto. Si tratta davvero di una "rinascita", come vogliono farci intendere i media mondiali?
R. Le nuove tecnologie hanno sicuramente avuto un impatto fondamentale nei recenti movimenti nel Maghreb e in Medio Oriente, dando vita un’amplificazione della rivoluzione e del movimento. In questi ultimi mesi abbiamo potuto parlare di una rivoluzione web anche perché la prima disposizione presa da ogni dittatore che sentiva il rischio di perdere il potere è stata quella di tentare di interrompere il più possibile le comunicazioni. La diffusione delle informazioni e della cultura (che sono le basi per costruire una consapevolezza) rappresenta difatti un rischio troppo grande e un’insidiosa minaccia. Internet (in particolare i social network), forse ancor più della carta stampata, ha avuto e tuttora possiede quel razionale per il quale “ora tutti sanno e sarà impossibile dimenticare” e “quella forza inarrestabile della verità che irrompe”. Segnalazioni, eventi, idee, link, rimandi, stime, cifre, analisi… le piazze arabe erano infiammate tanto quanto lo sono state quelle virtuali di facebook e twitter. Mai come in questo momento si è sentita la distanza tra i media tradizionali che fanno da eco al governatore di turno e i new media, che danno una voce al popolo. Dopo questa consapevolezza che ha portato molti a rivendicare la libertà di pensiero e di espressione sono anche cambiate le dinamiche dei profili dei cittadini del web: prima dei movimenti molti blog nascevano e morivano da un giorno all’altro, la maggior parte presentava scelte di inserire pseudonimi, tanti si firmavano come anonimi; eppure rivendicavano nei loro contenuti libertà inalienabili con una forza impressionante. Cos’è cambiato oggi? Questi stessi blogger sono usciti dall’anonimato e anche le dinamiche tra loro hanno assunto un significato diverso; su facebook non si accettano più né amicizie né contributi che non riportino la firma. La presa di coscienza ha portato queste persone a uscire allo scoperto, senza timore di rivelare i propri ideali tanto quanto la propria identità: ci si mette nome, cognome e si mostra il proprio volto. Sono loro a volerlo dichiarare: “Ci mettiamo la faccia”.
di Claudia Zichi
Lubna Ammoune è la curatrice di Yalla!, un blog molto seguito dagli appassionati delle vicissitudini dei musulmani in Italia. Non è facile descrivere il suo metodo di lavoro: alla base c'é la semplice volontà di far conoscere una cultura che risente ancora oggi di molti pregiudizi, e il desiderio di spiegarsi e far conoscere le proprie storie. Yalla! deriva da YallaItalia, una piattaforma web, che nasce come mensile, ideata da Martino Pillitteri, presidente dell'Associazione Italo-Egiziana, e sostenuto con impegno e profonda passione dal professore Paolo Branca, islamista e docente di lingua e letteratura araba all'Università Cattolica di Milano. Sulla home page del sito si legge che si tratta di uno spazio per giovani che nessuno ha trovato il modo di definire: seconde generazioni, nuovi italiani, generazioni 1.5, figli di immigrati. Una serie di espressioni lente, lentissime, che non colgono la dinamicità e la rapidità con cui la società italiana sta cambiando e i mille volti che ne rappresentano il carburante silenzioso. Sono giovani che offrono il proprio punto di vista su una realtà complessa, senza offrire rassicuranti schemi stereotipati o provocazioni violente e fini a se stesse. L'obiettivo che si propongono è di guardare se stessi e gli altri usando lo stesso paio di occhiali. Esprimono la loro opinione come cittadini che appartengono contemporaneamente a due mondi, quello italiano e quello musulmano. Forti di questa fortuna, si divertono a coglierne gli aspetti più interessanti, contraddittori, ambigui, e anche quelli provocatori.
A questo proposito, poniamo a Lubna alcune domande relative al suo blog e alla sua quotidianità come ragazza italiana musulmana.
D. Come è nata l'idea di curare il blog Yalla!?
R. I direttori di Vita (magazine no-profit) mi hanno proposto di curare questo spazio in occasione del rinnovamento della grafica del sito del settimanale. All’inizio ero molto titubante e mi sentivo impreparata, ma sono state molte le persone pronte a incoraggiarmi e così ho iniziato questa meravigliosa esperienza. Mi gratifica profondamente, e l’opportunità di avere un riscontro diretto e continuo dai lettori è preziosa. Prima di postare i pezzi cerco di documentarmi e di attingere da diverse fonti perché sento una grande responsabilità. Poi capita che i temi vengano scelti per letture casuali, riflessioni personali, segnalazioni da direttori, colleghi, amici e spesso anche da lettori.
D. Pensi che la tua decisione di portare il velo abbia una qualche influenza nei tuoi rapporti con gli altri? Permettersi il lusso un giorno di non dover più dare spiegazioni ti sembra un obiettivo reale?
R. Con ogni persona si vive una situazione diversa, con ognuno si crea un rapporto unico, ma in realtà non mi sono mai posta questo interrogativo. Non penso che portare il velo debba o possa giocare un ruolo importante nei rapporti. Forse può essere una “distrazione” all’inizio perché non tutti sono abituati a vedere una ragazza che porta il velo, ma poi credo che si vada oltre. Può capitare di ricevere delle domande sulla mia decisione, ma io sono disposta a spiegare le mie ragioni anche solo per cambiare le percezioni che a volte si hanno su basi poco solide. Ciò che mi piacerebbe trasmettere è l’idea che portare il velo non rende meno italiane, così come non portarlo non rende meno musulmane. Incontrare e conoscere una ragazza col velo diventa sempre più comune, quindi molto probabilmente andando avanti il non dover più dare spiegazioni può effettivamente essere un obiettivo reale.
D. Hai scritto recentemente un articolo molto interessante sulla traduzione che diventa interpretazione; ne cito alcune parti: "Traduzione e interpretazione sono figlie del loro tempo e questo contesto è lo stesso che influenza, in parte, la maturazione spirituale e religiosa di un credente. La lingua del Corano è l'arabo classico e un termine può avere vari significati, elemento che preoccupa le autorità religiose che non vogliono cambiare insegnamenti che per secoli sono stati tramandati". Siamo d'accordo sul fatto che il sapere sia un obbligo, tuttavia mi risulta difficile pensare che le autorità religiose possano permettere una traduzione che si distacchi anche solo lievemente dalla tradizione predominante. Credi invece che sia possibile una lettura consapevole e forse, perdona il termine, più distaccata del Corano? É una sfida che il singolo può compiere da solo?
R. Si tratta indubbiamente di una sfida e credo che, nel proprio piccolo, ognuno debba decidere autonomamente se percorrere questo passo o meno: appartiene al cammino della fede che personalmente intendo come atto libero e scelta quotidiana. Credo sia un percorso, un cammino di crescita. Lungo il cammino hai chi ti accompagna ma certi sentieri vanno percorsi individualmente. Davanti a un bivio potrai scegliere autonomamente, potrai chiedere consiglio, potrai trovare appoggio o disapprovazione. Se la nostra religione diventasse una lista di precetti da seguire, se riducessimo la religione a risposte e lasciassimo da parte dubbi e interrogativi, se credessimo di aver trovato la soluzione a tutto seguendo ciecamente, senza coscienza né conoscenza approfondita, ciò che porta lungo la retta via, svuoteremmo la fede del suo significato più alto. È in questo contesto che s’inserisce anche l’interpretazione delle sacre scritture. Naturalmente vi devono essere dei punti di riferimento e delle letture che possano accompagnare. Tutti i testi sacri hanno la caratteristica di contenere categorie di pensiero che sono comunque improbe e la delicatezza degli argomenti richiede senso critico che può nascere da una componente culturale imprescindibile.
D. Per quanto riguarda la primavera araba, è indubbio che nel Maghreb e in Medio Oriente siano stati i media sociali a facilitare sia l’organizzazione della rivoluzione dal basso sia la consapevolezza che questi stati fossero nel mezzo di una trasformazione radicale. Vorrei chiederti come sono state percepite dai musulmani europei le rivendicazioni sfociate in proteste in Tunisia, Libia, Egitto. Si tratta davvero di una "rinascita", come vogliono farci intendere i media mondiali?
R. Le nuove tecnologie hanno sicuramente avuto un impatto fondamentale nei recenti movimenti nel Maghreb e in Medio Oriente, dando vita un’amplificazione della rivoluzione e del movimento. In questi ultimi mesi abbiamo potuto parlare di una rivoluzione web anche perché la prima disposizione presa da ogni dittatore che sentiva il rischio di perdere il potere è stata quella di tentare di interrompere il più possibile le comunicazioni. La diffusione delle informazioni e della cultura (che sono le basi per costruire una consapevolezza) rappresenta difatti un rischio troppo grande e un’insidiosa minaccia. Internet (in particolare i social network), forse ancor più della carta stampata, ha avuto e tuttora possiede quel razionale per il quale “ora tutti sanno e sarà impossibile dimenticare” e “quella forza inarrestabile della verità che irrompe”. Segnalazioni, eventi, idee, link, rimandi, stime, cifre, analisi… le piazze arabe erano infiammate tanto quanto lo sono state quelle virtuali di facebook e twitter. Mai come in questo momento si è sentita la distanza tra i media tradizionali che fanno da eco al governatore di turno e i new media, che danno una voce al popolo. Dopo questa consapevolezza che ha portato molti a rivendicare la libertà di pensiero e di espressione sono anche cambiate le dinamiche dei profili dei cittadini del web: prima dei movimenti molti blog nascevano e morivano da un giorno all’altro, la maggior parte presentava scelte di inserire pseudonimi, tanti si firmavano come anonimi; eppure rivendicavano nei loro contenuti libertà inalienabili con una forza impressionante. Cos’è cambiato oggi? Questi stessi blogger sono usciti dall’anonimato e anche le dinamiche tra loro hanno assunto un significato diverso; su facebook non si accettano più né amicizie né contributi che non riportino la firma. La presa di coscienza ha portato queste persone a uscire allo scoperto, senza timore di rivelare i propri ideali tanto quanto la propria identità: ci si mette nome, cognome e si mostra il proprio volto. Sono loro a volerlo dichiarare: “Ci mettiamo la faccia”.
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