sabato, ottobre 29, 2011
Isoke Aikpitanyi è una giovane ragazza nigeriana arrivata nel 2000 in Italia con il sogno di trovare un lavoro e una vita migliore. Tuttavia come troppo spesso accade le cose sono andate diversamente: resa schiava dalla mafia nigeriana e italiana, è costretta a prostituirsi...

di Claudia Zichi

Dopo essere riuscita a liberarsi dall'oppressione, ha scelto di aiutare le altre decine di migliaia di ragazze nigeriane schiavizzate in Italia avviando il progetto «La ragazza di Benin City», divenuto ormai un’associazione. Nel libro “Le ragazze di Benin City”, di cui è coautrice, racconta la disgrazia di 50 ragazze nigeriane che hanno subito le sue stesse violenze. Sentiamo la sua storia dalla stessa voce di Isoke.

D. Nelle interviste rilasciate, dici di aver lasciato la tua famiglia per fare loro un favore, dato l'alto numero di fratelli. Si tratta di una motivazione comune tra le giovani ragazze nigeriane? Perché si arriva a pagare anche 30mila euro per una destinazione sconosciuta?

R. Io sentivo di dover fare qualcosa per aiutare mia mamma, rimasta sola a preoccurarsi di tanti figli. Nella maggior parte dei casi, invece, la famiglia sacrifica una figlia, più o meno consapevole di cosa andrà a fare. Chiamatela povertà, ignoranza… ma così stanno le cose. Oggi si parla non di 30mila ma di 80mila euro. Nel 2000, quando nella trappola ci sono finita io, si parlava di 30 milioni di lire. Perchè si accetta? Anzitutto perchè l'Europa è un miraggio, un sogno, poi perchè nessuna ragazza capisce bene che cosa vogliono dire 30 o 80mila euro; o forse sono dollari? o naira (la moneta nigeriana)? Se fossero naira sarebbe certo una cifra ingente, ma sicuramente non allo stesso livello degli euro. In secondo luogo si fidano dei trafficanti, spesso amici di famiglia, e pensano davvero che il prezzo da pagare per il ‘riscatto’ non sia poi così alto.


D. Come arrivano in Africa le false notizie di “ottimi” posti di lavoro in Italia? Alcune ragazze sono mai riuscite a tornare a casa per raccontare la verità?

R. I trafficanti, detti italos, raggiungono città e villaggi, individuano ragazze e poi avvicinano le famiglie. Spesso sono le famiglie stesse che cercano gli italos. Molte ragazze poi tornano a casa, ma non con l'intenzione di viverci, e quando tornano non vogliono ammettere che la loro storia è stata così tanto drammatica: vogliono sembrare ricche. D'altra parte, se al loro ritorno non fossero ricche chi le perdonerebbe per essersi comportate in modo così indecente? In fondo tutti sanno qual è il loro destino, ma tutti fanno finta di nulla a patto che le ragazze inviino i soldi.


D. La Nigeria è un paese ricchissimo, tra i più ricchi del mondo grazie al petrolio. I proventi dell'esportazione costituiscono circa il 95% delle entrate fiscali. Tuttavia la popolazione vive in una povertà assoluta e continua a dedicarsi principalmente all'agricoltura. Cosa succede alle giovani ragazze quando si rendono conto del gap tra la ricchezza del loro paese e la povertà della loro vita quotidiana? Immagino che influisca profondamente anche la conoscenza, seppure superficiale, dello stile di vita dei bianchi…

R. Le ragazze cercano una opportunità per migliorare la qualità della loro vita poiché sembra loro che in Europa il benessere sia alla portata di tutti. Arrivate in Europa accettano qualsiasi compromesso, persino l'idea di doversi prostituire che, talvolta, qualcuno prospetta loro: il sogno è un sogno e tutte credono che quando arriveranno saranno così furbe e in gamba da prendere il meglio, non il peggio.


D. In Africa la donna svolge un ruolo centrale per la società: lavora, gestisce l'economia della casa e si occupa dell'educazione dei figli. Quello che forse manca è una vera consapevolezza di questo ruolo. Cosa succede quando, arrivate in Italia, le donne si accorgono di essere finite in trappola? C'è qualcuna che vorrebbe tornare indietro?

R. Indietro non si torna, la ragazze che arrivano non sono niente, sono merce di proprietà della mafia nigeriana e delle maman che le hanno comperate o le gestiscono per conto di terzi. Sono clandestine, spesso analfabete, spesso minorenni, si trovano in un paese nel quale non conoscono nessuno, e non conoscono la lingua per farsi sentire. E le cose non cambiano, da circa vent'anni il governo italiano finanzia progetti contro la tratta e a sostegno delle vittime, ma i risultati non si vedono: solo una su dieci riesce a uscire da quella trappola.


D. Parliamo di te: come sei riuscita a liberarti dal giro della tratta? Quali sono gli obiettivi che tu e il tuo compagno Claudio Magnabosco vi siete proposti attraverso il progetto “La ragazza di Benin City”?

R. Io ho detto basta, ho cercato l'aiuto di servizi sociali accreditati e finanziati e inizialmente sono stata respinta perchè non sapevo neppure chi e che cosa denunciare. Da sola ho affrontato i trafficanti che mi hanno quasi uccisa. Sono scappata, ho trovato un rifugio da Claudio e da allora, insieme, cerchiamo di dare una risposta a chi non la trova, in modo autofinanziato e indipendente da leggi, associazioni, enti e istituzioni. Da allora abbiamo dato sostegno a casa nostra a più di cento ragazze. In rete, con altre ex vittime o con persone che come noi offrono accoglienza, ne abbiamo sostenute migliaia.


D. Il libro “Le ragazze di Benin City”, scritto insieme alla giornalista di Panorama Laura Maragnani, racconta l'esperienza drammatica di 50 donne nigeriane attratte in Italia con l'inganno e poi costrette a prostituirsi per ripagare l'ingente debito contratto. Si tratta solo una minuscola parte delle migliaia di ragazze africane che arrivano nel nostro bel paese. Il libro ha avuto un enorme successo, tanto che è stato creato anche un premio “La ragazza di Benin City” che ogni anno verrà attribuito ad un personaggio che abbia contribuito a creare una cultura della solidarietà relativamente al problema della schiavitù e della condizione della donna. Ti ritieni soddisfatta del risultato raggiunto?

R. Il libro, pubblicato nel 2007, parla in primo luogo di me e delle prime 50 ragazze che hanno ricevuto aiuto. Nel 2011 ho scritto un altro libro: "500 storie vere", in cui parlo di 500 ragazze, racconto la loro storia, i loro drammi e le mancate risposte alle loro richieste e ai loro diritti. Non sono soddisfatta, resta ancora troppo da fare e mi manca soprattutto l'ascolto da parte di istituzioni e associazioni. Spesso sono invitata ad eventi e manifestazioni organizzate da associazioni di sostegno, tuttavia se da un lato io rappresento l'esempio tangibile della possibilità di uscire dalla tratta, dall'altro a volte il supporto delle associazioni non è sufficiente.


D. Chi ti ha ostacolato maggiormente in questo cammino che hai deciso di intraprendere? E chi, dall'altra parte, ti ha maggiormente sostenuta?

R. Mi ostacolano le leggi, l'articolo 18 della Bossi-Fini ad esempio non è la migliore legge europea contro il traffico delle donne, come tutti credono, ma anzi è il principale ostacolo all'uscita dalla tratta soprattutto per le ragazze nigeriane. Dall'altro lato mi sostengono il mio compagno, la rete di donne che lottano contro le violenze al genere femminile, quelle che combattono per la loro dignità, e infine anche i maschi che stanno mettendo finalmente in discussione le loro responsabilità rispetto alle violenze della tratta. Mi ostacola il fatto che ho fatto di questo impegno una “missione” e non ho un lavoro, ho lasciato quello che avevo per dedicarmi interamente al sostegno di mie sorelle vittime di questa tragedia...

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