Riportiamo l'interessante intervento dell'astrofisico durante l'incontro in Vaticano sui nuovi evangelizzatori
Uccr - L’astrofisico Marco Bersanelli, ordinario presso l’Università degli Studi di Milano, collaboratore presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica e l’Agenzia Spaziale Europea e responsabile della progettazione e sviluppo del Low Frequency Instrument utilizzato dal satellite Planck, è intervenuto il 15 ottobre all’incontro in Vaticano sui nuovi evangelizzatori, tenendo una relazione intitolata: «La scienza nasce dalla meraviglia per l’esserci delle cose». E’ possibile leggere il suo intervento integrale sul sito di Euresis (www.euresis.org), qui verranno sintetizzati alcuni passaggi più interessanti.
Lo scienziato ha iniziato raccontando del fascino per la «natura, soprattutto per la vastità e la bellezza del cielo» fin da quando era ragazzino. «Ho seguito gli studi di astrofisica e oggi, dopo tanti anni, con molta fortuna e poco merito, mi trovo sulla frontiera della ricerca». E ancora oggi è sconcertato per la «vastità dell’universo che emerge dall’indagine scientifica contemporanea», un’estensione abissale. L’astrofisico recita le parole del Salmo 8 quando dice ”Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, / la luna e le stelle che tu hai fissate, / che cosa è l’uomo perché te ne ricordi / e il figlio dell’uomo perché te ne curi?”. E commenta: «Che cos’è l’uomo, che cosa è ciascuno di noi nella stanza smisurata della creazione? Polvere. L’uomo è “quasi nulla” nell’immensità dell’universo. La scienza moderna, ben lungi dal ridimensionare questa sproporzione, la amplifica a dismisura. Ma il Salmo non finisce qui, e subito mette in luce l’altro versante del paradosso della condizione umana: “Eppure l’hai fatto poco meno di Te, / di gloria e di onore lo hai coronato”».
L’uomo non è affatto messo da parte dalla vastità degli spazi, egli «è una particella infinitesima nell’universo, eppure ogni essere umano, l’io di ciascuno di noi, è un punto vertiginoso nel quale l‘universo diventa cosciente di sé», «fra tutte le creature è quella in grado di ammirare la creazione, di percepire con meraviglia la presenza delle cose, e di cercarne il significato. È impressionante pensare alla piccolezza dell’uomo, e al tempo stesso alla grandezza della sua natura, commensurabile solo con l’infinito. L’uomo è l’autocoscienza del cosmo». La scienza nasce proprio dallo stupore della «presenza della realtà come qualcosa che lo precede, come qualcosa di “dato”». L’ammirazione del ricercatore oggi si fissa «nel fatto che la scienza stessa sia possibile. Mi sorprende fino alla commozione ogni volta che riusciamo a “capire” qualcosa, e anche se una scoperta è stata il risultato di un grande sforzo, mi sembra sempre un regalo, qualcosa di non-dovuto. Vi è qualcosa di inspiegabile nella capacità della nostra ragione (pur con tutti i suoi limiti ed errori) di cogliere il meraviglioso ordine nascosto che regge l’universo». Chi siamo noi, granelli di polvere nella vastità del cosmo, si chiede l’astrofisico, «per essere dotati della capacità di intendere – con il linguaggio della matematica – la struttura del mondo fisico fino alle sue rive più lontane, distanti dalla nostra esperienza diretta, dalle particelle elementari alle galassie, dalla cosmologia alla fisica quantistica?».
Dopo aver citato un episodio nel suo rapporto con don Luigi Giussani, riflette: «Tutto, ultimamente, viene da Lui. Le stelle del cielo, fino alle ultime galassie in fondo all’abisso, l’universo informe e infuocato dei primi istanti. E il nostro piccolo pianeta, le nuvole e le montagne, i fiori. Tutto, ultimamente, viene da Lui. La scienza ci mostra tesori di bellezza altrimenti inaccessibili, ci parla dell’evoluzione e del mutare delle cose, dei nessi nascosti tra i fenomeni, ma non ci dice nulla della radice ultima del loro “esserci”, del loro significato, della loro singolarità. Tutto, ultimamente, viene da Lui. Qualunque analisi scientifica è muta di fronte alla singola persona, al dramma del suo dolore, alla sua attesa di felicità». E conclude: «È commovente pensare che il mistero infinito che trae dal nulla l’universo in ogni istante si è preso cura di ciascuno di noi, fino a diventare compagnia umana alla nostra vita. “Per noi Dio non è un’ipotesi distante”, ha detto Benedetto XVI, “non è uno sconosciuto che si è ritirato dopo il Big Bang. Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù Cristo vediamo il volto di Dio, nelle sue parole sentiamo Dio stesso parlare con noi”».
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