Bene le grandi imprese europee ma l'Italia non ci fa una bella figura
GreenReport - Quando due anni fa Newsweek pubblicò il suoi primi "Green Rankings" delle 500 multinazionali, il cambiamento climatico era in cima all'ordine del giorno della politica mondiale. La camera Usa si apprestava a dare il via libera ad un disegno di legge sul cap-and-trade del carbonio e le maggiori economie sembravano pronte a trovare a Copenhagen un accordo per tagliare drasticamente le emissioni di gas serra.
Quella breve stagione di consapevole preoccupazione sembra essere stata soffocata dalla crisi economico-finanziaria che assorbe le preoccupazioni dei governi, ma se la politica esita il business a quanto pare sa che senza una svolta "green" non ci sarà una vera ripresa, nemmeno per le multinazionali che governano il mondo. Le grandi imprese non lo fanno per il bene del pianeta, ma per le loro aziende. Come spiega Thomas Lyon, della Ross School of Business dell'università del Michigan, «Le grandi aziende hanno deciso che questo è un gioco a lungo termine. Per i corporate executives ciò che conta è tagliare i rifiuti nei profitti e che la riduzione dello spreco dell'energia, per esempio,faccia diminuire le emissioni di gas serra, mentre rafforza la loro linea di fondo. Siamo di fronte ad un futuro in cui le risorse che un tempo erano date per scontate, acqua, terra, minerali, combustibili fossili, saranno limitate e costose. Prepararsi ora per avere successo (ed fare profitti) in un futuro difficile potrebbe fare la differenza».
Mark Vachon, a capo dell'Ecomagination program della General Electic (63esima nella classifica Usa) sottolinea: «Non ci aspettiamo una chiara politica negli Stati Uniti in tempi brevi. Ma questo non significa che dobbiamo mettere giù le nostre matite. Infatti fare business in questo spazio potrebbe essere esattamente quello che dovremmo fare».
I Green Rankings di Newsweek sono composti da due classifiche una delle 500 più grandi aziende Usa e l'altra delle 500 più grandi multinazionali del mondo ed entrambe evidenziano che anche le imprese sono in forte ritardo sulle prestazioni ambientali. I dati raccolti da Trucost e Sustainalytics valutano l'impatto ambientale delle imprese, compresi emissioni di gas serra e utilizzo dell'acqua; la gestione, comprese le politiche ambientali, programmi e iniziative; la divulgazione, compresi company reporting e il coinvolgimento nelle iniziative di trasparenza.
Le centinaia di grandissime imprese monitorate da Newsweek sono responsabili di oltre 6 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra all'anno, quasi quanto le emissioni annuali degli Usa, il secondo più grande inquinatore del pianeta dopo la Cina. Una cifra che sarebbe ancora più grande se si includesse l'energia consumata dai loro prodotti dopo la vendita.
La classifica Newsweek evidenzia l'uscita degli Usa dalle parte alta della classifica della sostenibilità: se si esclude l'Ibm che è seconda nella classifica globale, bisogna scorrere 12 posti prima di trovare un'altra impresa statunitense: l'HP al numero 15. La classifica delle prime 15 è occupata soprattutto da aziende europee e di Australia, Brasile, India, Canada, Giappone e Messico.
I buoni risultati delle grandi imprese europee dipendono soprattutto dalla (vituperata dalle imprese) più stringente regolamentazione ambientale dell'Ue e perché il business europeo, grazie alle regole, risulta molto più trasparente di quello del resto del mondo.
Ecco la classifica delle 15v multinazionali più "green" del mondo con il punteggio raggiunto:
Munich Re (Germania, 83,6), Ibm (Usa, 82,5), National Australia Bank (Australia, 82,2), Bradesco (Brasile, 82,2), ANZ Banking Group (Australia, 80,9), BT Group (Gran Bretagna, 80,4), Tata Consultancy Services (India, 79,1), Infosys (India, 77,3) Philips (Olanda 77,2), Swisscom (Svizzera 77), Societe Generale (Francia, 76,6), Bell Canada Enterprises (Canada 76,5), Fujitsu (Giappone 76,1), Wal-Mart de Mexico (Messico 75,9), Hewlett-Packard (Usa 75,8).
L'Italia non ci fa una gran bella figura: la prima nostra grande impresa è Telecom Italia, ventitreesima con un punteggio di 74,9, seguita da Fiat ventinovesima (74,1) stesso punteggio di Generali Group. Poi ci sono: Intesa San Paolo (57esima e 70,21); Unicredit (69esima e 69,5); Fiat Industrial (99esima e 66,5); Finmeccanica (135esima e 63,6); Saipem ( 261esima e 56,5); Eni (277esima e 55,9); Luxottica (382esima e 50,1); Enel (398esima e 49,3).
Ma le attività produttive stentano a diventare "green" e la testa della classifica mondiale è occupata soprattutto da banche e compagnie assicurative . La multinazionale più "verde" è Munich Re, il colosso assicurativo tedesco. Ma questo dato non corrisponde ad una buona classifica delle imprese finanziarie, molte delle quali hanno nei loro portafogli investimenti in attività dannose per l'ambiente, come l'estrazione del carbone o di la perforazione di pozzi di gas e petrolio.
«Per la prima volta quest'anno - spiega , Newsweek- La classifica ha tenuto pienamente conto di tali rischi, coerentemente con il più recente Greenhouse Gas Protocol standard. Questo spiega in parte perché companies come T. Rowe Price (numero 500 negli Usa) non abbiano una classifica migliore».
GreenReport - Quando due anni fa Newsweek pubblicò il suoi primi "Green Rankings" delle 500 multinazionali, il cambiamento climatico era in cima all'ordine del giorno della politica mondiale. La camera Usa si apprestava a dare il via libera ad un disegno di legge sul cap-and-trade del carbonio e le maggiori economie sembravano pronte a trovare a Copenhagen un accordo per tagliare drasticamente le emissioni di gas serra.
Quella breve stagione di consapevole preoccupazione sembra essere stata soffocata dalla crisi economico-finanziaria che assorbe le preoccupazioni dei governi, ma se la politica esita il business a quanto pare sa che senza una svolta "green" non ci sarà una vera ripresa, nemmeno per le multinazionali che governano il mondo. Le grandi imprese non lo fanno per il bene del pianeta, ma per le loro aziende. Come spiega Thomas Lyon, della Ross School of Business dell'università del Michigan, «Le grandi aziende hanno deciso che questo è un gioco a lungo termine. Per i corporate executives ciò che conta è tagliare i rifiuti nei profitti e che la riduzione dello spreco dell'energia, per esempio,faccia diminuire le emissioni di gas serra, mentre rafforza la loro linea di fondo. Siamo di fronte ad un futuro in cui le risorse che un tempo erano date per scontate, acqua, terra, minerali, combustibili fossili, saranno limitate e costose. Prepararsi ora per avere successo (ed fare profitti) in un futuro difficile potrebbe fare la differenza».
Mark Vachon, a capo dell'Ecomagination program della General Electic (63esima nella classifica Usa) sottolinea: «Non ci aspettiamo una chiara politica negli Stati Uniti in tempi brevi. Ma questo non significa che dobbiamo mettere giù le nostre matite. Infatti fare business in questo spazio potrebbe essere esattamente quello che dovremmo fare».
I Green Rankings di Newsweek sono composti da due classifiche una delle 500 più grandi aziende Usa e l'altra delle 500 più grandi multinazionali del mondo ed entrambe evidenziano che anche le imprese sono in forte ritardo sulle prestazioni ambientali. I dati raccolti da Trucost e Sustainalytics valutano l'impatto ambientale delle imprese, compresi emissioni di gas serra e utilizzo dell'acqua; la gestione, comprese le politiche ambientali, programmi e iniziative; la divulgazione, compresi company reporting e il coinvolgimento nelle iniziative di trasparenza.
Le centinaia di grandissime imprese monitorate da Newsweek sono responsabili di oltre 6 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra all'anno, quasi quanto le emissioni annuali degli Usa, il secondo più grande inquinatore del pianeta dopo la Cina. Una cifra che sarebbe ancora più grande se si includesse l'energia consumata dai loro prodotti dopo la vendita.
La classifica Newsweek evidenzia l'uscita degli Usa dalle parte alta della classifica della sostenibilità: se si esclude l'Ibm che è seconda nella classifica globale, bisogna scorrere 12 posti prima di trovare un'altra impresa statunitense: l'HP al numero 15. La classifica delle prime 15 è occupata soprattutto da aziende europee e di Australia, Brasile, India, Canada, Giappone e Messico.
I buoni risultati delle grandi imprese europee dipendono soprattutto dalla (vituperata dalle imprese) più stringente regolamentazione ambientale dell'Ue e perché il business europeo, grazie alle regole, risulta molto più trasparente di quello del resto del mondo.
Ecco la classifica delle 15v multinazionali più "green" del mondo con il punteggio raggiunto:
Munich Re (Germania, 83,6), Ibm (Usa, 82,5), National Australia Bank (Australia, 82,2), Bradesco (Brasile, 82,2), ANZ Banking Group (Australia, 80,9), BT Group (Gran Bretagna, 80,4), Tata Consultancy Services (India, 79,1), Infosys (India, 77,3) Philips (Olanda 77,2), Swisscom (Svizzera 77), Societe Generale (Francia, 76,6), Bell Canada Enterprises (Canada 76,5), Fujitsu (Giappone 76,1), Wal-Mart de Mexico (Messico 75,9), Hewlett-Packard (Usa 75,8).
L'Italia non ci fa una gran bella figura: la prima nostra grande impresa è Telecom Italia, ventitreesima con un punteggio di 74,9, seguita da Fiat ventinovesima (74,1) stesso punteggio di Generali Group. Poi ci sono: Intesa San Paolo (57esima e 70,21); Unicredit (69esima e 69,5); Fiat Industrial (99esima e 66,5); Finmeccanica (135esima e 63,6); Saipem ( 261esima e 56,5); Eni (277esima e 55,9); Luxottica (382esima e 50,1); Enel (398esima e 49,3).
Ma le attività produttive stentano a diventare "green" e la testa della classifica mondiale è occupata soprattutto da banche e compagnie assicurative . La multinazionale più "verde" è Munich Re, il colosso assicurativo tedesco. Ma questo dato non corrisponde ad una buona classifica delle imprese finanziarie, molte delle quali hanno nei loro portafogli investimenti in attività dannose per l'ambiente, come l'estrazione del carbone o di la perforazione di pozzi di gas e petrolio.
«Per la prima volta quest'anno - spiega , Newsweek- La classifica ha tenuto pienamente conto di tali rischi, coerentemente con il più recente Greenhouse Gas Protocol standard. Questo spiega in parte perché companies come T. Rowe Price (numero 500 negli Usa) non abbiano una classifica migliore».
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