Giornata di mobilitazione internazionale degli "indignati", che oggi sono in piazza in oltre 900 città del mondo per protestare contro il sistema economico-finanziario accusato di essere la causa dell'attuale crisi che colpisce in particolare le giovani generazioni. La protesta coinvolge le principali capitali del mondo, da Madrid a New York, da Santiago del Cile ad Atene, da Tokyo a Sydney, da Taiwan fino a Roma: qui nel pomeriggio si è scatenata una vera e propria guerriglia urbana.
Radio Vaticana - Una protesta che unisce i quattro angoli del pianeta, per ribadire la necessità di rivedere al più presto il sistema finanziario e quello politico. Le risposte messe in campo fino ad ora non piacciono agli indignati che dicono di non voler pagare gli effetti della crisi. Hanno scelto la tenda come simbolo della propria campagna e hanno rifiutato qualsiasi appartenenza politica: un movimento nuovo, ispirato alle rivolte nel mondo arabo, che chiede in primis di tassare le rendite e le transazioni finanziarie. Un’ottantina i Paesi coinvolti dalla mobilitazione odierna. Negli Stati Uniti, da dove è partita l’ondata di dissenso con l’occupazione simbolica di Wall Street, i cortei iniziano nel pomeriggio ma la polizia in queste ore ha arrestato numerose persone in varie città. Manifestazioni anche in Oriente: Corea del Sud, Giappone, Filippine e Nuova Zelanda. A Taiwan, in centinaia, con il sostegno di un famoso magnate dell’industria dell’elettronica, hanno assediato il simbolo del capitalismo e cioè il grattacielo Taipei 101, dove ha sede la Borsa. E a proposito di sostegno è arrivato anche quello del prossimo governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, il quale ha detto che i giovani fanno bene a protestare e che anche la sua generazione ha fatto altrettanto a suo tempo. Intanto, sono affollate anche le piazze delle città del vecchio continente, che hanno raccolto l’invito della Rete 15 ottobre. A Roma i black bloc hanno scatenato una vera e propria guerriglia urbana incendiando automobili e attaccando banche e negozi. Attaccato anche il Ministero della Difesa. Scontri con la polizia. Per il momento si registra un ferito grave.
Ma i giovani "indignados" che sono scesi in piazza in modo pacifico hanno avuto ben altre motivazioni. Sentiamo le voci di alcuni manifestanti raccolte a Roma da Arcangelo Esposito prima dell'inizio degli incidenti:
R. – Io sono un neo laureato disoccupato e sento fortemente il bisogno, come tutti quelli che stanno qui oggi, di andare al cuore del problema. Il cuore del problema in questo momento è la gestione dei finanzieri in generale che comandano molto di più dei governi attuali. Un tempo c’era il problema di non avere prospettive adeguate alla propria preparazione. Qui il problema è diverso: qui non ci sono prospettive, punto!, anche inadeguate.
R. – Il nostro modo di utilizzare i social network ci ha dato la possibilità di costruire un appello, un appuntamento senza sigle, e questo per noi è stato molto importante.
R. – Noi crediamo allo slogan che stiamo usando: "siamo il 99 per cento". E’ quello che sta girando in tutte le piazze mondiali. Più generazioni hanno deciso di non affrontare più in maniera solitaria quello che subiscono quotidianamente: il discorso sullo sfruttamento, non solo nei luoghi di lavoro, ma anche all’interno dell’università. Fortunatamente in questo momento c’è una possibilità vera di vivere un momento storico: quello di cambiare radicalmente le cose.
D. – Quando vedi passare qui la gente, cosa vedi nei suoi occhi?
R. – Tanta solidarietà. Tutte le persone che sono passate vogliono parlare con noi, vogliono capire perché siamo qui. Nessuno ha detto: “State facendo male”.
D. – E voi come volete continuare questa protesta?
R. – E’ una protesta molto partecipata, una protesta molto pacifica, ma è una protesta che comunque è anche radicale.
D. – Che significa radicale?
R. – Radicale nei contenuti: noi vogliamo cambiare il mondo!
Radio Vaticana - Una protesta che unisce i quattro angoli del pianeta, per ribadire la necessità di rivedere al più presto il sistema finanziario e quello politico. Le risposte messe in campo fino ad ora non piacciono agli indignati che dicono di non voler pagare gli effetti della crisi. Hanno scelto la tenda come simbolo della propria campagna e hanno rifiutato qualsiasi appartenenza politica: un movimento nuovo, ispirato alle rivolte nel mondo arabo, che chiede in primis di tassare le rendite e le transazioni finanziarie. Un’ottantina i Paesi coinvolti dalla mobilitazione odierna. Negli Stati Uniti, da dove è partita l’ondata di dissenso con l’occupazione simbolica di Wall Street, i cortei iniziano nel pomeriggio ma la polizia in queste ore ha arrestato numerose persone in varie città. Manifestazioni anche in Oriente: Corea del Sud, Giappone, Filippine e Nuova Zelanda. A Taiwan, in centinaia, con il sostegno di un famoso magnate dell’industria dell’elettronica, hanno assediato il simbolo del capitalismo e cioè il grattacielo Taipei 101, dove ha sede la Borsa. E a proposito di sostegno è arrivato anche quello del prossimo governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, il quale ha detto che i giovani fanno bene a protestare e che anche la sua generazione ha fatto altrettanto a suo tempo. Intanto, sono affollate anche le piazze delle città del vecchio continente, che hanno raccolto l’invito della Rete 15 ottobre. A Roma i black bloc hanno scatenato una vera e propria guerriglia urbana incendiando automobili e attaccando banche e negozi. Attaccato anche il Ministero della Difesa. Scontri con la polizia. Per il momento si registra un ferito grave.
Ma i giovani "indignados" che sono scesi in piazza in modo pacifico hanno avuto ben altre motivazioni. Sentiamo le voci di alcuni manifestanti raccolte a Roma da Arcangelo Esposito prima dell'inizio degli incidenti:
R. – Io sono un neo laureato disoccupato e sento fortemente il bisogno, come tutti quelli che stanno qui oggi, di andare al cuore del problema. Il cuore del problema in questo momento è la gestione dei finanzieri in generale che comandano molto di più dei governi attuali. Un tempo c’era il problema di non avere prospettive adeguate alla propria preparazione. Qui il problema è diverso: qui non ci sono prospettive, punto!, anche inadeguate.
R. – Il nostro modo di utilizzare i social network ci ha dato la possibilità di costruire un appello, un appuntamento senza sigle, e questo per noi è stato molto importante.
R. – Noi crediamo allo slogan che stiamo usando: "siamo il 99 per cento". E’ quello che sta girando in tutte le piazze mondiali. Più generazioni hanno deciso di non affrontare più in maniera solitaria quello che subiscono quotidianamente: il discorso sullo sfruttamento, non solo nei luoghi di lavoro, ma anche all’interno dell’università. Fortunatamente in questo momento c’è una possibilità vera di vivere un momento storico: quello di cambiare radicalmente le cose.
D. – Quando vedi passare qui la gente, cosa vedi nei suoi occhi?
R. – Tanta solidarietà. Tutte le persone che sono passate vogliono parlare con noi, vogliono capire perché siamo qui. Nessuno ha detto: “State facendo male”.
D. – E voi come volete continuare questa protesta?
R. – E’ una protesta molto partecipata, una protesta molto pacifica, ma è una protesta che comunque è anche radicale.
D. – Che significa radicale?
R. – Radicale nei contenuti: noi vogliamo cambiare il mondo!
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