Partendo dal recente disastro in Nuova Zelanda, Chiara Bartoli ripercorre la tragica storia degli incidenti a navi e petroliere che hanno causato danni ambientali enormi. Ma purtroppo l’uomo sembra non trarne insegnamento…
Una settimana fa la nave Rena della compagnia greca Costamare Shipping si è impigliata in una barriera corallina della Nuova Zelanda. Nei serbatoi della nave si è aperto un varco, da cui finora sono fuoriuscite in mare circa 350 tonnellate di petrolio; i serbatoi della portacontainers contengono ancora circa 1300 tonnellate di petrolio, che i soccorritori stanno strenuamente tentando di estrarre. Il loro lavoro è reso ancor più difficiledall'inclinazione dello scafo, pari a 22 gradi, e dalla poppa che si trova sommersa di 90 metri: il rischio più grande è che la nave si spezzi. Inoltre il maltempo ha arrestato le operazioni dei soccorritori. Da uno dei 90 container caduti in mare sta infine fuoriuscendo un gas infiammabile a contatto con l'acqua, il ferrosicilone, che potrebbe causare esplosioni.
Intanto sulla spiaggia Bay of Plenty circa 500 militari puliscono le dense bolle di petrolio, mentre i volontari del Wwf si occupano degli animali. Finora sono morti circa 1000 uccelli, tra cui i pinguini blu e molte specie rare, come il piviere e la sterna bianca. Il comandante e il primo ufficiale sono stati arrestati e successivamente rilasciati su cauzione, ma sono stati rinviati a giudizio: rischiano fino a 12 mesi di prigione e una multa di 5.700 euro secondo la legge marittima riguardo attività pericolose coinvolgenti navi o prodotti marittimi. Il premier John Key chiede un'assunzione pubblica di responsabilità: come è stato possibile l'incidente in presenza di mare calmo e di una chiara indicazione sulle mappe della barriera corallina?
Il disastro ambientale e la lentezza con la quale il governo gli sta facendo fronte sembrano giungere al momento giusto in Nuova Zelanda, al centro dei dibattiti che riguardano le trivellazioni previste nei pressi delle coste neozelandesi. Come afferma infatti Greenpeace New Zealand: “La strenua difesa di John Key dei piani petroliferi del suo governo è stata piena di falsità e di offuscamento, nel tentativo di portare questo Paese alla rovina ecologica. Quel che è troppo è troppo. Per lui è arrivato il momento di assumersi le proprie responsabilità e di prendere le misure per definire un futuro più pulito e più intelligente”. Il ministro dell'ambiente neozelandese, Nick Smith, ha inoltre affermato che si tratta del “peggior disastro ambientale mai avvenuto in Nuova Zelanda”.
Ma di certo non è il peggior disastro nella storia del mondo, anzi vi è una lunga lista di enormi incidenti dovuti al petrolio. Facciamo un breve excursus partendo dal disastro del 1967 nei pressi delle Isole Scilly, nel Regno Unito: la petroliera che si arenò al largo della Cornovaglia, la Torrey Canyon, fu la prima con una capienza di greggio pari a 120.000 tonnellate, che furono quasi completamente disperse in mare. Undici anni più tardi, in Francia, la Amondo Cadiz si incagliò negli scogli al largo delle coste bretoni e si spaccò in due, rilasciando in mare ben 223 mila tonnellate di greggio e causando la morte di 9.000 tonnellate di ostriche. A distanza di mesi, furono ritrovati pesci con tumori alla pelle o quelli a prima vista sani con uno sgradevole sapore di petrolio. La Pompa petrolifera Ixtoca I causò nel Golfo del Messico (teatro, come vedremo, di un altro gravissimo incidente) delle macchie nere che raggiunsero le 480.000 tonnellate e che causarono enormi danno all'ambiente.
Nel 1989 la Exxon Valdez, una nave appartenente ad una società petrolifera statunitense, urtò degli scogli nei pressi del golfo di Alaska, liberando in mare circa 40.000 tonnellate di greggio. Seppure si tratti di una quantità molto minore di greggio fuoriuscito rispetto ai casi visti in precedenza, gli effetti che essa produsse furono catastrofici per la fauna e la flora: si parla di 253.000 animali e di miliardi di uova di salmone morti. Gli Stati Uniti furono costretti a rivedere le misure di sicurezza e decisero di far ricadere sulle compagnie petrolifere i costi dovuti ad incidenti del genere.
Nel 1991, durante la Guerra del Golfo, l'esercito iracheno decide di dar fuoco ai pozzi di petrolio in Kuwait, causando una fuoriuscita di greggio che arrivò fino al milione e mezzo di tonnellate disperse. Infine, il più grande incidente, purtroppo molto recente, avviene nuovamente nel Golfo del Messico nel 2010, in quello che si è configurato come il più grave disastro ambientale della storia americana, essendo stati riversati in mare circa 1.186.000 tonnellate di greggio.
Ripercorrendo la storia dei disastri ambientali dovuti al petrolio, risalta ben agli occhi come le cifre di tonnellate riversate in mare vadano ad aumentare. È lecito quindi dubitare della capacità dell'uomo di imparare dai propri errori, magari per prevenire quelli futuri. Uomini e donne dovrebbero ricordare di non possedere il mondo, ma di esserne “ospiti”. E dovrebbero amarlo, rispettarlo e soprattutto non danneggiarlo, in vista delle generazioni future.
Una settimana fa la nave Rena della compagnia greca Costamare Shipping si è impigliata in una barriera corallina della Nuova Zelanda. Nei serbatoi della nave si è aperto un varco, da cui finora sono fuoriuscite in mare circa 350 tonnellate di petrolio; i serbatoi della portacontainers contengono ancora circa 1300 tonnellate di petrolio, che i soccorritori stanno strenuamente tentando di estrarre. Il loro lavoro è reso ancor più difficiledall'inclinazione dello scafo, pari a 22 gradi, e dalla poppa che si trova sommersa di 90 metri: il rischio più grande è che la nave si spezzi. Inoltre il maltempo ha arrestato le operazioni dei soccorritori. Da uno dei 90 container caduti in mare sta infine fuoriuscendo un gas infiammabile a contatto con l'acqua, il ferrosicilone, che potrebbe causare esplosioni.
Intanto sulla spiaggia Bay of Plenty circa 500 militari puliscono le dense bolle di petrolio, mentre i volontari del Wwf si occupano degli animali. Finora sono morti circa 1000 uccelli, tra cui i pinguini blu e molte specie rare, come il piviere e la sterna bianca. Il comandante e il primo ufficiale sono stati arrestati e successivamente rilasciati su cauzione, ma sono stati rinviati a giudizio: rischiano fino a 12 mesi di prigione e una multa di 5.700 euro secondo la legge marittima riguardo attività pericolose coinvolgenti navi o prodotti marittimi. Il premier John Key chiede un'assunzione pubblica di responsabilità: come è stato possibile l'incidente in presenza di mare calmo e di una chiara indicazione sulle mappe della barriera corallina?
Il disastro ambientale e la lentezza con la quale il governo gli sta facendo fronte sembrano giungere al momento giusto in Nuova Zelanda, al centro dei dibattiti che riguardano le trivellazioni previste nei pressi delle coste neozelandesi. Come afferma infatti Greenpeace New Zealand: “La strenua difesa di John Key dei piani petroliferi del suo governo è stata piena di falsità e di offuscamento, nel tentativo di portare questo Paese alla rovina ecologica. Quel che è troppo è troppo. Per lui è arrivato il momento di assumersi le proprie responsabilità e di prendere le misure per definire un futuro più pulito e più intelligente”. Il ministro dell'ambiente neozelandese, Nick Smith, ha inoltre affermato che si tratta del “peggior disastro ambientale mai avvenuto in Nuova Zelanda”.
Ma di certo non è il peggior disastro nella storia del mondo, anzi vi è una lunga lista di enormi incidenti dovuti al petrolio. Facciamo un breve excursus partendo dal disastro del 1967 nei pressi delle Isole Scilly, nel Regno Unito: la petroliera che si arenò al largo della Cornovaglia, la Torrey Canyon, fu la prima con una capienza di greggio pari a 120.000 tonnellate, che furono quasi completamente disperse in mare. Undici anni più tardi, in Francia, la Amondo Cadiz si incagliò negli scogli al largo delle coste bretoni e si spaccò in due, rilasciando in mare ben 223 mila tonnellate di greggio e causando la morte di 9.000 tonnellate di ostriche. A distanza di mesi, furono ritrovati pesci con tumori alla pelle o quelli a prima vista sani con uno sgradevole sapore di petrolio. La Pompa petrolifera Ixtoca I causò nel Golfo del Messico (teatro, come vedremo, di un altro gravissimo incidente) delle macchie nere che raggiunsero le 480.000 tonnellate e che causarono enormi danno all'ambiente.
Nel 1989 la Exxon Valdez, una nave appartenente ad una società petrolifera statunitense, urtò degli scogli nei pressi del golfo di Alaska, liberando in mare circa 40.000 tonnellate di greggio. Seppure si tratti di una quantità molto minore di greggio fuoriuscito rispetto ai casi visti in precedenza, gli effetti che essa produsse furono catastrofici per la fauna e la flora: si parla di 253.000 animali e di miliardi di uova di salmone morti. Gli Stati Uniti furono costretti a rivedere le misure di sicurezza e decisero di far ricadere sulle compagnie petrolifere i costi dovuti ad incidenti del genere.
Nel 1991, durante la Guerra del Golfo, l'esercito iracheno decide di dar fuoco ai pozzi di petrolio in Kuwait, causando una fuoriuscita di greggio che arrivò fino al milione e mezzo di tonnellate disperse. Infine, il più grande incidente, purtroppo molto recente, avviene nuovamente nel Golfo del Messico nel 2010, in quello che si è configurato come il più grave disastro ambientale della storia americana, essendo stati riversati in mare circa 1.186.000 tonnellate di greggio.
Ripercorrendo la storia dei disastri ambientali dovuti al petrolio, risalta ben agli occhi come le cifre di tonnellate riversate in mare vadano ad aumentare. È lecito quindi dubitare della capacità dell'uomo di imparare dai propri errori, magari per prevenire quelli futuri. Uomini e donne dovrebbero ricordare di non possedere il mondo, ma di esserne “ospiti”. E dovrebbero amarlo, rispettarlo e soprattutto non danneggiarlo, in vista delle generazioni future.
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