Più tasse per tutti, Italia terza in Europa:
un mezzo per redistribuire la ricchezza, o per impoverire i soliti?
un mezzo per redistribuire la ricchezza, o per impoverire i soliti?
"Rompere il circolo vizioso della pressione fiscale": è questo l'esplicativo titolo del nuovo studio pubblicato da Confesercenti, che sottolinea nuovamente come il consolidato leit-motiv dei governi berlusconiani si stia confermando solo un miraggio (o meglio, una bugia).
Greenreport - Di quanto aumenterà effettivamente la pressione fiscale italiana, nel prossimo futuro? A questa domanda Confesercenti risponde che la salita sarà di 2,2 punti percentuali (comprendendo nel computo il taglio alle agevolazioni fiscali), portando ad un nuovo picco del prelievo già nel 2013, quando si toccherà la vetta del 44,8%. Come riportato dallo studio, la recente nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Def 2011) diramata dal Tesoro parlava invece di un aumento della pressione fiscale della metà, l'1,1% di Pil fra il 2010 ed il 2014 (dal 42,6% al 43,7%).
Tale valutazione ufficiale viene dunque valutata ‹‹quantomeno reticente: il previsto taglio delle agevolazioni fiscali (dai 4 miliardi del 2012, ai 16 del 2013, ai 20 del 2014), computato ai fini del calcolo dei saldi di finanza pubblica, è stato invece ignorato quando si è trattato di misurare la futura evoluzione della pressione fiscale››.
‹‹Si è in presenza di una scelta non trasparente, che non può trovare giustificazione, come si sostiene, nella "attesa di una puntuale definizione delle riduzioni". Se, infatti, con la manovra non è stato deciso quali agevolazioni tagliare e se operare in modo lineare o in modo selettivo, è stato però deciso - ed assorbito nei saldi di finanza pubblica - quanto tagliare. Dunque, va sgombrato un equivoco: per i prossimi anni è stata già decisa una riduzione delle agevolazioni fiscali e ciò si tradurrà in un aumento del prelievo sull'economia››.
Spulciando ulteriormente tra le conclusioni dello studio in questione, si scopre che la stima del 2,2% di aumento della pressione fiscale, già il doppio di quella ufficialmente prevista, viene definita "ottimistica" dagli autori, poiché ‹‹non tiene conto degli aumenti di prelievo, pressoché scontati, che opereranno Regioni ed enti locali››.
Inserendo il dato del livello di prelievo fiscale raggiunto in Italia in una prospettiva storica, Confesercenti sottolinea come ‹‹nei primi dieci anni del nuovo millennio - con "l'ultraliberista" Berlusconi come protagonista indiscusso della politica, presidente del Consiglio dal 2001 ad oggi, tranne nei due anni di parentesi prodiana, ndr - il nostro è stato uno dei pochi paesi che hanno visto accrescere la tassazione (quasi 2 punti di Pil)››. Nello stesso periodo, oltre all'Italia, nell'Unione europea solo Estonia, Slovenia, Portogallo, Malta, Cipro e Repubblica Ceca hanno accresciuto la pressione fiscale, mentre negli altri paesi è diminuita (in Svezia e Finlandia di 4 punti di Pil).
Il Bel paese si troverà così sul podio come terzo classificato, dietro Danimarca e Svezia, nella classifica degli stati Ue con le tasse più alte. Questa medaglia di bronzo non è affatto un male in se: basta leggere i nomi dei due stati che ancora ci precedono in classifica per osservare come alti livelli di tassazione possano essere indicativi di alto benessere sociale.
La pressione fiscale è infatti un volano indispensabile per lo stato nella sua funzione di redistributore della ricchezza tra i cittadini, compensando le difficoltà dei meno agiati con un efficiente sistema di welfare. Neanche regge l'equazione che eguaglia alte tasse a bassa competitività, spacciata come indiscussa verità dagli industriali nostrali e non, con i paesi scandinavi saldamente al top delle classifiche sulla competitività globale stilate ogni anno dal World economic forum.
Invocare meno tasse per rilanciare la crescita (crescita di che cosa?) equivale dunque a cercare di sciogliere un nodo gordiano della politica economica molto più complesso, eppur indispensabile da affrontare, in un'analisi che non può non comprendere anche elementi etici. La maggioranza degli italiani sarebbe probabilmente felice di essere i terzi più grandi pagatori di tasse nell'Unione, se questo significasse avere uno stato proporzionalmente attento alla qualità della loro vita, ed altrettanto efficace ad offrire un giusto supporto per renderla migliore. Questo nesso non viene invece quasi mai evidenziato quanto meriterebbe, e le tasse viste (e proposte al pubblico) come il "male assoluto".
Certo è che una tassazione giusta, per definizione, non può essere anche indiscriminata: le categorie (persone o beni che siano) da cui attingere devono essere ben definite. Chi paga le tasse deve sapere che al suo sacrificio monetario corrisponde che una condizione di vita migliore per se e per i propri concittadini: il nesso tra le due cose deve essere però evidente, perché il patto regga. E che la figura dell'evasore fiscale non rientri nel piano sembra quasi fin troppo scontata per meritare di essere nominata.
In un recente intervento di Jeffrey Sachs ripreso ieri anche dal Sole 24 Ore, rispettato economista americano e direttore dell'Earth Institute alla Columbia university sottolinea un aspetto forse scontato, ma quasi mai immediatamente percepito, dell'economia mondiale: ‹‹le economie di maggior successo oggi non sono quelle asiatiche, ma quelle scandinave. Usando il gettito fiscale per finanziare livelli elevati di servizi pubblici, questi Paesi mantengono un efficace equilibrio fra prosperità economica, giustizia sociale e prosperità ambientale. È questo il segreto per il benessere nell'economia globalizzata dei nostri giorni. Forse altre parti del mondo - e in particolare i giovani - stanno cominciando a rendersi conto di questa nuova realtà››.
Greenreport - Di quanto aumenterà effettivamente la pressione fiscale italiana, nel prossimo futuro? A questa domanda Confesercenti risponde che la salita sarà di 2,2 punti percentuali (comprendendo nel computo il taglio alle agevolazioni fiscali), portando ad un nuovo picco del prelievo già nel 2013, quando si toccherà la vetta del 44,8%. Come riportato dallo studio, la recente nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Def 2011) diramata dal Tesoro parlava invece di un aumento della pressione fiscale della metà, l'1,1% di Pil fra il 2010 ed il 2014 (dal 42,6% al 43,7%).
Tale valutazione ufficiale viene dunque valutata ‹‹quantomeno reticente: il previsto taglio delle agevolazioni fiscali (dai 4 miliardi del 2012, ai 16 del 2013, ai 20 del 2014), computato ai fini del calcolo dei saldi di finanza pubblica, è stato invece ignorato quando si è trattato di misurare la futura evoluzione della pressione fiscale››.
‹‹Si è in presenza di una scelta non trasparente, che non può trovare giustificazione, come si sostiene, nella "attesa di una puntuale definizione delle riduzioni". Se, infatti, con la manovra non è stato deciso quali agevolazioni tagliare e se operare in modo lineare o in modo selettivo, è stato però deciso - ed assorbito nei saldi di finanza pubblica - quanto tagliare. Dunque, va sgombrato un equivoco: per i prossimi anni è stata già decisa una riduzione delle agevolazioni fiscali e ciò si tradurrà in un aumento del prelievo sull'economia››.
Spulciando ulteriormente tra le conclusioni dello studio in questione, si scopre che la stima del 2,2% di aumento della pressione fiscale, già il doppio di quella ufficialmente prevista, viene definita "ottimistica" dagli autori, poiché ‹‹non tiene conto degli aumenti di prelievo, pressoché scontati, che opereranno Regioni ed enti locali››.
Inserendo il dato del livello di prelievo fiscale raggiunto in Italia in una prospettiva storica, Confesercenti sottolinea come ‹‹nei primi dieci anni del nuovo millennio - con "l'ultraliberista" Berlusconi come protagonista indiscusso della politica, presidente del Consiglio dal 2001 ad oggi, tranne nei due anni di parentesi prodiana, ndr - il nostro è stato uno dei pochi paesi che hanno visto accrescere la tassazione (quasi 2 punti di Pil)››. Nello stesso periodo, oltre all'Italia, nell'Unione europea solo Estonia, Slovenia, Portogallo, Malta, Cipro e Repubblica Ceca hanno accresciuto la pressione fiscale, mentre negli altri paesi è diminuita (in Svezia e Finlandia di 4 punti di Pil).
Il Bel paese si troverà così sul podio come terzo classificato, dietro Danimarca e Svezia, nella classifica degli stati Ue con le tasse più alte. Questa medaglia di bronzo non è affatto un male in se: basta leggere i nomi dei due stati che ancora ci precedono in classifica per osservare come alti livelli di tassazione possano essere indicativi di alto benessere sociale.
La pressione fiscale è infatti un volano indispensabile per lo stato nella sua funzione di redistributore della ricchezza tra i cittadini, compensando le difficoltà dei meno agiati con un efficiente sistema di welfare. Neanche regge l'equazione che eguaglia alte tasse a bassa competitività, spacciata come indiscussa verità dagli industriali nostrali e non, con i paesi scandinavi saldamente al top delle classifiche sulla competitività globale stilate ogni anno dal World economic forum.
Invocare meno tasse per rilanciare la crescita (crescita di che cosa?) equivale dunque a cercare di sciogliere un nodo gordiano della politica economica molto più complesso, eppur indispensabile da affrontare, in un'analisi che non può non comprendere anche elementi etici. La maggioranza degli italiani sarebbe probabilmente felice di essere i terzi più grandi pagatori di tasse nell'Unione, se questo significasse avere uno stato proporzionalmente attento alla qualità della loro vita, ed altrettanto efficace ad offrire un giusto supporto per renderla migliore. Questo nesso non viene invece quasi mai evidenziato quanto meriterebbe, e le tasse viste (e proposte al pubblico) come il "male assoluto".
Certo è che una tassazione giusta, per definizione, non può essere anche indiscriminata: le categorie (persone o beni che siano) da cui attingere devono essere ben definite. Chi paga le tasse deve sapere che al suo sacrificio monetario corrisponde che una condizione di vita migliore per se e per i propri concittadini: il nesso tra le due cose deve essere però evidente, perché il patto regga. E che la figura dell'evasore fiscale non rientri nel piano sembra quasi fin troppo scontata per meritare di essere nominata.
In un recente intervento di Jeffrey Sachs ripreso ieri anche dal Sole 24 Ore, rispettato economista americano e direttore dell'Earth Institute alla Columbia university sottolinea un aspetto forse scontato, ma quasi mai immediatamente percepito, dell'economia mondiale: ‹‹le economie di maggior successo oggi non sono quelle asiatiche, ma quelle scandinave. Usando il gettito fiscale per finanziare livelli elevati di servizi pubblici, questi Paesi mantengono un efficace equilibrio fra prosperità economica, giustizia sociale e prosperità ambientale. È questo il segreto per il benessere nell'economia globalizzata dei nostri giorni. Forse altre parti del mondo - e in particolare i giovani - stanno cominciando a rendersi conto di questa nuova realtà››.
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